The thesis is the renewed relationship between man and environment and highlights the need for a new conception of urban territory Government and the establishment of sustainable cities. "Cities are the real engines of regional development and national and, in recent years, have become the focus of attention of national and Community policies that consider completely different and innovative than before".
Il tema della corporate governance è un argomento di recente attualità, in continua evoluzione e oggetto di dibattito da parte dell'ampio pubblico che partecipa con vari ruoli nella vita economica, politica e sociale di ogni Paese. Nonostante gli studi sulla corporate governance siano un fenomeno relativamente recente, che ha conosciuto un rapido sviluppo durante gli ultimi decenni del XX secolo, gli imprenditori e gli amministratori di azienda hanno sempre dedicato grande attenzione al tema del governo delle imprese. Infatti, se pur presentato sotto etichette differenti, si tratta di una tematica che da sempre accompagna la vita delle imprese perché suscitato da domande di fondo in merito a chi debba governare le imprese e secondo quali modalità e per chi l'impresa deve creare valore. Le risposte a queste domande si sono sviluppate nei grandi temi e dibattiti trattati negli anni relativamente ai modelli di governance. L'origine della questione su chi deve governare l'impresa è riconducibile ad uno dei temi storici di corporate governance, ovvero la separazione tra "proprietà e controllo". Ciò avviene quando a causa di una struttura azionaria molto diffusa la gran parte o la totalità degli azionisti non ha la possibilità di esercitare direttamente il controllo sull'impresa, delegando ad un management esterno retribuito il compito di gestione. La scissione tra il diritto residuale di controllo, affidato ai manager, e il diritto al rendimento residuale, che rimane agli azionisti, configura un problema di governance poiché consente a chi governa l'impresa di appropriarsi indebitamente di benefici a danno dell'interesse degli azionisti. Il management rientra nella categoria allargata degli stakeholder dell'impresa, ed è proprio in riferimento alla domanda come e per chi l'impresa deve creare valore l'evoluzione storica del dibattito sulla corporate governance ha visto il contrapporsi di due scuole di pensiero, una sostenitrice dello shareholder model e l'altra dello stakeholder model. La prima, canonizzata da Milton Friedman premio Nobel per l'Economia nel 1976, pone quale obiettivo unico ed ultimo dell'impresa la massimizzazione del valore per gli azionisti. La seconda, che nel corso degli anni ha prevalso sulla prima, si basa su una cultura di impresa secondo la quale occorre creare valore non solo per gli azionisti, ma per tutti i suoi stakeholder. Il lavoro da me condotto relativamente a questa tematica è sviluppato nel primo capitolo dove prima si analizzano le cause di un evoluzione cosi rapida e di un interesse così sostenuto circa la corporate governante sui mercati finanziari e poi si passa in disamina l'evoluzione normativa che ha caratterizzato il nostro ordinamento dagli anni novanta sino ad oggi partendo dal Testo Unico in materia bancaria e creditizia per arrivare alle ultime disposizioni in materia di vigilanza previste da Banca d'Italia. Contestualmente al tema della Corporate Governance, ho ritenuto opportuno analizzare una direttiva che negli ultimi anni, nonostante non siano ancora ben visibili i suoi risultati proprio perché di attuazione recente, ha caratterizzato i mercati finanziari, e in particolare, gli ambiti in cui erano più frequenti le minacce per il mercato, riferendomi con ciò, alla scarsa informativa presente, relativa agli strumenti finanziari e al trattamento del cliente, ai conflitti di interesse che negli ultimi anni hanno dato luogo a crisi finanziarie di enormi dimensioni e devastanti effetti per il mercato, e agli scarsi requisiti organizzativi che venivano previsti per le imprese, specie quelle di investimento, prevedendo per questi una adeguata azione correttiva in prospettiva di cogliere i risultati migliori che il mercato offre così da motivare anche i piccoli risparmiatori nell'investire i loro risparmi e non tenerli "sotto il materasso" per paura di eventi che potrebbero danneggiare la loro economia. Inoltre, un obiettivo fondamentale di questa direttiva, risiede nell'integrazione dei mercati attraverso l'eliminazione dell'obbligo di concentrazione degli scambi, che aveva caratterizzato i mercati finanziari sino a quegli anni, nonché l'effettiva armonizzazione delle regole di condotta che tutti gli operatori dovranno adottare. La disamina di questa direttiva parte, però, da un contesto più generale, andando a toccare i motivi che hanno reso necessaria una revisione normativa in merito, dovuta dalle grandi crisi finanziarie che stanno caratterizzando il mercato finanziario negli ultimi decenni, e andando a verificare quali misure sono state prese dagli stati d'oltreoceano proprio in virtù di una maggiore efficienza ed efficacia dei mercati. Ho poi analizzato il nuovo processo di formazione delle leggi europee adottato dal comitato dei saggi presieduto da Lamfalussy, ideato per agevolare e snellire le modalità di adozione della normativa comunitaria nel settore dei servizi e dei mercati finanziari, facilitandone l'adeguamento ai rapidi sviluppi delle prassi commerciali in questo ambito. Tale approccio normativo fa parte delle misure previste dal piano di azione per i servizi finanziari allo scopo di rafforzare l'integrazione dei mercati finanziari e di innalzare il livello di armonizzazione della regolamentazione comunitaria in materia. Nella relazione, il Comitato Lamfalussy ha proposto l'introduzione di nuove tecniche legislative e regolamentari basate su un approccio a quattro livelli e l'istituzione di due comitati incaricati di assistere la Commissione Europea nella formulazione delle proposte relative all'adozione degli atti normativi comunitari. I livelli in cui si articola l'approccio proposto dal Comitato Lamfalussy intendono accrescere l'efficienza e la trasparenza del processo di regolamentazione comunitaria nel settore dei valori mobiliari. Infine, ho ritenuto opportuno fare una sorta di confronto, se così si può chiamare, tra la MiFID e la Corporate Governance, individuando gli aspetti in comune e i principi adottati per risolvere eventuali tali problemi: mi riferisco ai requisisti organizzativi, ai conflitti di interesse, che negli ultimi anni hanno caratterizzato in negativo il mercato finanziario, nonché agli inducemnts quale elemento congiunto ai conflitti suddetti. Per dare, poi, un taglio più operativo alla tesi ho ritenuto necessario andare a vedere come le banche hanno messo in atto tali misure andando ad analizzare le varie relazioni sulla Corporate Governance e le policy di gestione dei conflitti di interesse nonché l'execution policy così da comprendere le modalità di svolgimento delle operazioni alla luce della nuova normativa e verificare oggettivamente la miglior tutela e la maggior informazione fornita al cliente. Per tutto questo lavoro ho preso ad esempio Intesa Sanpaolo in quanto è stata la prima grande banca ad utilizzare modelli di governante non tradizionali in ambito Italiano, nonostante in Europa fossero già largamente in uso, e sulla quale scia si sono successivamente mosse le altre banche a seguito delle loro fusioni dalle quali sono poi sorti gruppi di primaria importanza sia nel mercato domestico sia a livello continentale.
2008/2009 ; La ricerca realizzata ha inteso analizzare i principali profili geopolitici e geoeconomici connessi alle dinamiche di sviluppo territoriale, con particolare riferimento ai divari economico-sociali che caratterizzano i differenti sistemi locali ed ai conseguenti elementi di marginalità che ne derivano. L'analisi parte dalla ricognizione e dal conseguente approfondimento delle politiche di coesione territoriale elaborate dalle Istituzioni comunitarie a partire dall'Atto unico europeo e della successiva evoluzione delle stesse a seguito del processo di consolidamento dell'Unione Europea e delle recenti fasi di allargamento della stessa. Nel primo capitolo dopo una breve ricostruzione delle principali fasi che hanno caratterizzato la nascita di una reale e autonoma "politica di coesione europea" (1957-1988), si è proceduto ad una più approfondita analisi delle policy e degli strumenti implementati nei diversi periodi di programmazione comunitaria, con particolare riferimento alle riforme che hanno caratterizzato l'individuazione degli obiettivi prioritari di intervento e la connessa disciplina dei Fondi strutturali. Tale indagine è risultata funzionale a comprendere la rilevanza che le strategie di sviluppo e di governance sovranazionali hanno assunto a livello locale, ma, al contempo, ad evidenziare la complessità della dimensione locale e, dunque, la necessità di prevedere differenti modelli di intervento finalizzati a ridurre i divari di sviluppo che tuttora contraddistinguono i diversi sistemi territoriali nazionali. Una delle problematiche più rilevanti derivanti dalla costituzione e dal successivo allargamento dell'UE, infatti, è stata quella della "coesione economica e sociale", espressione con la quale le Istituzioni comunitarie hanno da sempre inteso la prospettiva di uno sviluppo equilibrato di tutto il territorio europeo. Si tratta di un obiettivo che ha rappresentato una priorità delle politiche comunitarie, trovando il suo fondamento giuridico nel titolo XVII del Trattato istitutivo della CEE e, in particolare, nell'art. 158, il cui disposto prevede che la Comunità "mira a ridurre il divario fra le diverse regioni e il ritardo delle regioni meno favorite". Dalla lettura di tale enunciato derivava l'obbligo per gli Stati membri di partecipare attivamente allo sviluppo equilibrato del territorio comunitario, mentre la Comunità europea doveva contribuire alla realizzazione di tale obiettivo attraverso l'utilizzazione coordinata dei diversi fondi e strumenti finanziari disponibili. Soltanto nei primi anni '70, però, ci si rese conto che la persistenza di divari di sviluppo tra le diverse regioni costituiva un effettivo ostacolo al processo di integrazione economica, evidenziandosi la necessità di un'azione comune per correggere i persistenti squilibri. La nuova politica regionale europea si sostanziò, soprattutto, nella elaborazione di programmi di sviluppo contenenti analisi socioeconomiche, nella individuazione di obiettivi prioritari di intervento, nell'adozione di strumenti finanziari strutturali che, nel loro insieme, hanno rappresentato gli elementi fondanti dell'attuale politica di coesione, anche se sono state introdotte nel tempo importanti riforme conseguenti alle nuove esigenze emergenti dalle rilevanti modifiche che negli ultimi decenni hanno interessato i principali profili economici e sociali dei Paesi europei. Nei processi decisionali che hanno portato all'ultimo allargamento dell'UE, infatti, le problematiche legate alla coesione territoriale, già presenti nell'ambito dell' "Europa dei 15", hanno assunto un peso ancor più significativo, non solo per i profondi divari di sviluppo esistenti tra i Paesi dell'Unione ed i "nuovi" Stati membri, ma anche per le implicazioni di natura più strettamente territoriale, riguardanti l'ampliamento delle distanze, l'articolazione di una nuova rete di centri urbani, l'organizzazione e l'assetto di territori caratterizzati da vocazioni ambientali ed economiche differenti. Le attuali dinamiche esistenti tra "aree forti" e "aree deboli" dell'UE, dunque, sono destinate ad avviare la ricerca di nuovi equilibri, nei quali la capacità competitiva delle diverse regioni dovrà misurarsi con prospettive più ampie e complesse. Tali esigenze hanno portato ad una sostanziale riforma della politica regionale dell'Unione e, conseguentemente, ad una nuova impostazione dei Fondi strutturali, nonché all'individuazione di nuovi obiettivi prioritari per il periodo 2007-2013, anche al fine di agevolare la concreta realizzazione della "strategia di Lisbona". In tale contesto, particolare rilievo assumono il tema della "perifericità" (fisica ed economica) di alcuni territori europei, quello della ricerca e dell'innovazione tecnologica, quello del trasferimento di know-how e, più in generale, quello della coesione economica e sociale funzionale a valorizzare i sistemi territoriali in una prospettiva di competitività. La stretta correlazione e la necessaria integrazione tra le politiche sovranazionali e i modelli interni di intervento implementati dai singoli Stati hanno portato, nel secondo capitolo del presente lavoro, ad approfondire gli strumenti adottati in Italia per sostenere le aree in ritardo di sviluppo e pervenire ad una maggiore coesione economica e sociale del territorio nazionale. In fase di recepimento e adeguamento delle politiche comunitarie alle specificità territoriali che contraddistinguono il sistema-paese, il Quadro Strategico Nazionale elaborato dall'Italia, negoziato con le Istituzioni comunitarie e approvato dalla Commissione europea il 13 luglio 2007, ha previsto (tra l'altro) strumenti specifici di intervento volti alla riduzione dei divari "interni" di sviluppo, con particolare riferimento alla "politica regionale unitaria". In particolare, tale politica prevede il rafforzamento di strategie di governance territoriale multilivello (centrale, regionale e locale), al fine di intervenire con maggiore efficacia nella complessa struttura nazionale "coniugando il momento locale, per promuovere l'intermediazione delle conoscenze necessarie alla produzione di beni pubblici e di rete, con il livello centrale, per sfruttare saperi globali ed esternalità e per dare credibilità al governo dei processi" (QSN). Più in generale, dunque, tali considerazioni evidenziano il rapporto inscindibile tra livello di sviluppo e organizzazione territoriale. Riprendendo il concetto di "spirale della marginalità", si può infatti affermare che la marginalità, nelle sue diverse accezioni, comporta una condizione complessa di svantaggio che connota i territori, ovvero "un depotenziamento strutturale della capacità di reazione del sistema locale prodotta dal processo di spopolamento attraverso un incrocio di effetti recessivi (feedback negativi): il calo demografico indebolisce la struttura della popolazione, il potenziale di consumo e di produzione del reddito, il sistema dei servizi locali, e ciò finisce per generare ulteriori spinte allo spopolamento, producendo una spirale perversa e un ostacolo strutturale agli sforzi di rivitalizzazione dell'area" (P. Buran, 1998). Nel terzo capitolo, si è effettuato un passaggio di scala al fine di analizzare un sistema territoriale specifico, così da individuarne gli eventuali profili di marginalità e le strategie messe in campo per il superamento delle condizioni di svantaggio. L'area prescelta è stata la provincia di Salerno che, per estensione territoriale, risulta essere la più ampia della Campania, comprendendo 158 comuni di taglia demografica disomogenea, di cui solo 16 superano i 15.000 abitanti, mentre la gran parte (109 comuni) hanno una taglia demografica inferiore ai 5.000 abitanti. Va rilevato, inoltre, che una parte non trascurabile della popolazione è insediata in aree rurali, in nuclei isolati e in case sparse. Si è proceduto presentando la provincia da vari punti di vista, quello ambientale e paesaggistico, quello connesso alle strutture insediative e quello socio-economico, riservando uno spazio apposito al settore turistico ed al patrimonio culturale. L'analisi ha evidenziato profili di marginalità esaminati poi in dettaglio, attraverso l'individuazione e l'elaborazione di indicatori demografici, socio-economici e strutturali, tradotti successivamente in cartografie tematiche a scala comunale. Nell'elaborare le carte si è esclusa l'area centrale della provincia, ovvero il sistema urbano di Salerno, caratterizzato da continuità abitativa e da densità della popolazione elevate, oltre che dalla presenza di strutture di comunicazione efficienti. I comuni coinvolti nel sistema urbano, pur essendo soltanto 23, rappresentano il 56,77% della popolazione dell'intera provincia, mentre i 128 comuni che ricadono al di fuori di tale sistema sono caratterizzati da una situazione demografica e socio-economica che presenta elementi di forte criticità, sia in termini assoluti, sia in relazione al contesto territoriale oggetto dell'indagine. Sono state realizzate, dunque, 15 tavole in cui le classi di valutazione dei differenti fenomeni hanno tenuto conto delle medie provinciali, così da poter individuare differenti livelli di marginalità relativa. Tali fenomeni sono stati poi descritti attraverso una lettura, sia pure sintetica, delle singole carte. Al fine, di ottenere, in una logica sistemica, un quadro d'insieme delle condizioni di svantaggio a livello provinciale e vista la notevole quantità di scenari prodotti, è stato costruito un cluster attraverso la realizzazione di una matrice all'interno della quale sono stati riportati gli indicatori segnalando, per ogni comune, il totale dei punti di disagio registrati. Sulla base dei dati forniti dalla matrice, si è proceduto alla realizzazione della carta tematica "Marginalità in provincia di Salerno", (tavola n. 16 di seguito riportata) che ha consentito di ottenere un quadro geografico d'insieme sintetico ed efficace così da poter leggere con chiarezza i diversi livelli di marginalità. Le possibili strategie per il superamento delle condizioni di marginalità, infine, sono state individuate riprendendo il Piano Territoriale Regionale (PTR) ed il Piano Territoriale di Coordinamento Provinciale (PTCP), recentemente rielaborato, strumenti che configurano per la provincia strategie unitarie di sviluppo. Queste sono finalizzate a promuovere una crescita integrata del territorio che intende, da un lato, valorizzare le eccellenze e, dall'altro, recuperare le aree più interne e marginali comunque dotate di beni ambientali e culturali tali da poter sicuramente contribuire allo sviluppo complessivo dell'area. ; XXII Ciclo
The paper focuses on the defining features that characterise models of governance in public and private sector organizations. The aim of the analysis is to delineate the cultural and structural specifications that underpin the strategies devised for synergizing the roles and commitments proper to the administrative bodies constituting the diverse models of governance envisaged by current legislation. The study/concludes with a critique on the so-called dual model of governance in force in Institutes of Welfare and National Insurance, in an effort to engender a review process of this specific model.
Molti osservatori, sia in campo accademico che politico-istituzionale, hanno cominciato a tracciare un bilancio critico circa l'incidenza sul modello di sviluppo italiano di oltre di un decennio di politiche integrate per lo sviluppo locale. Ciò accade in un frangente in cui diversi fattori in controtendenza pongono in una nuova luce il mito dell'"Italia locale" e del policentrismo: le logiche di concentrazione sembrano rivivere una attualità inaspettata solo alcuni anni addietro ed alcune metropoli hanno ripreso chiari percorsi di sviluppo "post- industriale"; l'evidente perdita di competitività del sistema italiano, che in molti tendono ad attribuire alla mancanza di "masse critiche" adeguate nei nostri sistemi produttivi (soprattutto nel campo dei servizi), logistici ed infrastrutturali. Tutto ciò si sovrappone all'imminente varo di un nuovo ciclo delle politiche di coesione, nel corso del quale, soprattutto alle regioni del Mezzogiorno, verrà richiesto un maggiore orientamento alla selettività ed alla concentrazione degli investimenti in luoghi e contesti realmente potenziale per lo sviluppo local. Il presente contributo intende affrontare in termini critici la questione delle partnership per lo sviluppo territoriale, ponendo in rilievo la strategicità (ed insieme la manifesta debolezza) delle relazioni "verticali" che esse riescono a stabilire. Tali relazioni (non solo quelle di tipo intergovernativo) risultano essere di decisiva importanza per la riqualificazione infrastrutturale delle città ed il consolidamento dei potenziali competitivi dei "territori dello sviluppo", ponendosi come una chiave di volta per decifrare il futuro del policentrismo in porzioni significative del paese.
The article analyses the health care reforms carried out by several European countries during last 20 years; it specifically focuses on the process of decentralization concerning political, financial and organ- izational competences. In the first section, the concept of health care decentralization is discussed; then the different health care systems of Norway, Sweden, UK and Spain will be compared, confronting their recent reforms and the balance between decentralization and re-centralization in their health care systems. In particular, the article addresses two main questions: the first one concerns the impact of such national reforms on intergovernmental relations, especially those between the State and the regions; the second questions relates instead to the impact of reforms on the organization and delivery of health care services. What comes out, in conclusion, is that differ- ences in efficiency, quality and equity could depend on specific gov- ernance mixes of decentralization and re-centralization.
"Academic governance" is a term which is little known and rarely used in Polish literaturę. However, this term is essential to understand the extensive literaturę on higher education reforms and models published in various countries. When discussing academic governance Solutions, Polish literaturę usually uses the term system (system) to refer to the external environment of universities and the term ustrój (internal organisation) to talk about Solutions within universities. In the first part of his paper, the author defines the notions of academic governance, external academic governance and internal academic governance and then discusses academic governance Solutions in the European Union, English-speaking countries (example of the USA) and in Poland. While in 1960s the European reforms of academic governance were inspired by public governance, the governance structures in the private sector have become the model in recent years. Research confirms that the changes in governance are heading, albeit falteringly, towards an increased marketisation of the European higher education. In Poland, the marketisation of the education system has meant, above all, the emergence of the non-public sector alongside a non-market system, the latter persisting in the public higher education sector. ; Ład akademicki (academic governance) to termin mato znany i rzadko używany w polskiej literaturze przedmiotu. Bez jego wprowadzenia trudno jednak czerpać z dorobku bogatej literatury światowej na temat reform i modeli szkolnictwa wyższego. W polskiej literaturze przy omawianiu rozwiązań dotyczących ładu akademickiego w zewnętrznym otoczeniu uczelni używa się zwykle terminu "system", jeśli natomiast omawia się rozwiązania wewnątrz uczelni, stosuje się zazwyczaj termin "ustrój". W pierwszej części artykułu autor definiuje pojęcia "ład akademicki" oraz "zewnętrzny ład akademicki" i "wewnętrzny ład akademicki", w następnych omawia rozwiązania w dziedzinie ładu akademickiego w Unii Europejskiej, w krajach anglosaskich (na przykładzie Stanów Zjednoczonych) oraz w Polsce. Podczas gdy w latach sześćdziesiątych )0( w. europejskie reformy ładu akademickiego czerpały inspirację z ładu publicznego, to obecnie wzorcem są struktury zarządzania w sektorze prywatnym. Wyniki badań potwierdzają, że zmiany sterowania systemu idą, choć niepewnym krokiem, w kierunku większego urynkowienia europejskiego obszaru szkolnictwa wyższego. W Polsce urynkowienie systemu szkolnictwa jak dotąd polegało głównie na stworzeniu sektora szkół niepublicznych, z jednoczesnym zachowaniem systemu nierynkowego w publicznym sektorze szkolnictwa wyższego.
Il tema delle professioni sociali è divenuto in questi ultimi anni oggetto di numerosi dibattiti e ricerche in quanto si sta rilevando sempre più necessario ed urgente definire chiaramente i profili, le competenze e i percorsi formativi di operatori e professionisti che costituiscono l'elemento chiave per l'attivazione e il funzionamento -in un sistema di welfare in continuo mutamento- di servizi di alto livello qualitativo e rispondenti ai reali bisogni degli utenti. La necessità e l'urgenza di affrontare tale questione è richiesta da molteplici esigenze: prima di tutto di tutelare gli utenti dei servizi soprattutto in vista di una sempre maggiore esternalizzazione della gestione degli interventi; in secondo luogo dall'esigenza di tutelare i diritti degli operatori sociali, sia attualmente in servizio che devono poter vedere riconosciuta e accreditata la loro competenza e professionalità anche in mancanza di pregressi percorsi formativi giuridicamente validi, sia degli operatori che intendono intraprendere questo cammino per poter conseguire titoli professionali, sia regionali che accademici, spendibili su tutto il territorio nazionale e riconosciuti in sede europea; è richiesto infine dallo stesso sistema di welfare affinché si concretizzi la possibilità di collaborazione tra politici, amministratori e professionisti nella costruzione di efficaci politiche sociali. Il contributo, partendo da un'analisi teorica sui classici della sociologia delle professioni, propone una riflessione sui mutamenti identitari dei professionisti nelle organizzazioni del sistema di welfare. In particolare verrà evidenziato, attraverso il lavoro di ricerca empirica, come stanno cambiando le professioni sociali proponendo sia una riflessione sull'identità in cambiamento, sia una prima ipotesi di una tassonomia delle conoscenze e delle competenze degli assistenti sociali della Toscana necessarie per migliorare gli standard qualitativi del servizio sociale e sociosanitario regionale.