Suchergebnisse
Filter
9 Ergebnisse
Sortierung:
Il diritto all'identità di genere inizia al liceo. Una riflessione sul caso Joel Doe et Al. v. Boyertown Areas School District at Al
Il presente contributo affronta il tema dell'identità di genere nella sua dimensione più delicata, quella del riconoscimento e dell'integrazione sociale. In particolare, viene esaminato un caso statunitense – Joel Doe et Al. v. Boyertown Areas School District at Al – al fIne di comprendere come la realtà transgender metta in discussione la tradizionale distinzione binaria tra «maschio» e «femmina» fin dall'età adolescenziale. Il legislatore e le istituzioni pubbliche in generale si ritrovano dunque a dover scegliere quale modello adottare: un modello tradizionale e chiuso rispetto alle diversità di genere – come richiesto dai ricorrenti – oppure un modello inclusivo che permetta di superare il limite del sesso di nascita in ragione di un corretto sviluppo psico-fIsico del minore transgender. In questa analisi, lo scopo è (come spesso accade nel contesto degli studi di diritto comparato) di richiamare l'attenzione del giurista e del legislatore nazionale su un tema che potrebbe irrompere prima o poi anche nel nostro ordinamento, cercando di fornire una chiave di lettura che sembra rispondere in modo bilanciato all'esigenza di tutelare tutti gli interessi in gioco.
BASE
TransAzioni linguistiche: le lingue e il genere negato
The study of non-binary gender individuals has become a recurring and very fashionable topic within sociolinguistics, linguistic anthropology, and critical discourse analysis. Despite the different methodological approaches, all studies seem to aptly underline the importance of two key-concepts: ideology and negotiation practices. Scholars acknowledge that concepts such as sexuality and gender are, indeed, largely informed by the crucial interrelation of power and ideology. Many transgender and gender variant people face problems in daily life because of the lack of negotiation practices and subsequent human rights recognition via European legal procedures. Trans people's legal documents, for instance, do not reflect their true 'self' and this is still today a repeated source of 'authorised' harassment based on ideology. However, gender recognition goes beyond being an administrative act: it is vital for many trans people to be able to participate in society and live a life of dignity and respect. This paper, aiming to support trans rights from a translational view point, presents the analysis of a wide multilingual corpus which comprises a series of EU legal recommendations (in several European languages) adopted by the European Parliament to fully endorse gender equality and to undertake the creation of guidelines for gender-neutral language in each of its official languages. Despite the EU's incredible efforts, the corpus shows that in some European languages, ideology and the total lack of common linguistic practices to be adopted by translators, transgender and gender variant people's human rights are still in danger.
BASE
Io volevo andare nella foresta. Storie di vita per una sociologia dell'esperienza trans
Partendo dalla raccolta di da 35 storie di vita di soggettività trans sul territorio italiano, il lavoro si articola in di due parti: la prima introduce il tema della ricerca, traccia le coordinate teoriche generali e il metodo che ha guidato il lavoro empirico. L'obiettivo della prima parte è quello permette a chi scrive di posizionarsi all'interno di un pensiero queer in cui i soggetti e le soggettivazioni appaiono fluide, instabili e sempre in divenire. Per questa ragione è stato importante riflettere su come raccogliere i dati tenendo insieme la fluidità come qualità intrinseca dell'oggetto di indagine con la necessità di conformarsi al rigore scientifico. Il lavoro apre una riflessione inoltre su quella che può essere definita queerizzazione del metodo di indagine intendendo con questo anche un particolare modo di approcciarsi al queer che include il considerarlo al tempo stesso un approccio teorico, una prospettiva politica, una forma di auto identificazione o di assemblaggi di pratiche del sé. La seconda parte presenta l'analisi delle storie di vita che costituiscono il cuore del lavoro di ricerca; l'ascolto delle narrazioni si è costituito come un lungo e coinvolgente lavoro sul campo. L'analisi si suddivide a sua volta in due parti. Nella prima (cap. 2) si privilegia quella parte della narrazione in cui il soggetto si riconosce, riflette su se stesso e sul proprio desiderio in relazione ad ambiti di vita più affettivamente densi come la famiglia e il gruppo dei pari a scuola. Si tratteggia qui il percorso di autodefinizione caratterizzato dalla scoperta della propria unicità e di ciò che si ritiene essere la "verità" su se stessi. Nella seconda parte (cap. 3), invece, si approfondisce la tensione tra aspetti più prettamente normativi e prescrittivi e il percorso di soggettivazione inteso come affermazione di sé nel sociale. Si descrivono inoltre le forme della resistenza e della negoziazione che permeano l'esperienza sociale dei soggetti trans.
BASE
Donne di città in città da uomini: un'analisi geografica di Sex and the City
Sex and the City è un serial televisivo creato e trasmesso inizialmente negli Stati Uniti, tra il 1998 e il 2004 (in Italia tra il 2000 e il 2004 in prima visione). La serie è basata sull'omonimo romanzo di Candance Bushnell (pubblicato in Italia da Mondadori, 2001), una delle opere che ha contribuito a rilanciare il genere letterario conosciuto come "chick lit". Sia il genere in cui si colloca il libro della Bushnell sia il serial televisivo che ne è derivato hanno riscosso un ampio successo di pubblico e di critica in tutto il mondo. Il serial si guadagnato 7 Emmy Award e 8 Golden Globe. Decisamente un fenomeno socio-culturale di rilievo. Perché? Ambientato in una Manhattan chiaramente upper class, Sex and the city tratta della vita sentimentale e sessuale di quattro amiche tra i 35 e i 45 anni, presentando come modello sociale una tipologia di donne apparentemente emancipate e postmoderne che vantano le medesime opportunità degli uomini: "Per la prima volta nella storia di Manhattan le donne hanno le stesse possibilità economiche e lo stesso potere degli uomini, insieme al lusso di poterli trattare come oggetti sessuali" (Samantha Jones, prima puntata della prima serie). Sex and the city si propone come un manifesto del riscatto femminile, senza tralasciare, attraverso i personaggi secondari, l'ormai immancabile sigla del politically correct, LGBT: lesbian, gay, bisex e transgender. In realtà, però, i fili che ne compongono la trama perpetuano i canoni tradizionali di costruzione dei ruoli maschile/femminile, a partire dal linguaggio adottato fino ad arrivare all'utilizzo ed alla percezione profondamente genderizzata degli spazi. Il concetto di emancipazione incarnato dalle protagoniste, infatti, adotta in pieno il discorso maschilista, naturalizzandolo e perpetrandolo nella gestione delle relazioni tra i generi, con tutte le implicazioni che ciò può avere sugli spazi pubblici e privati.È in tale ottica che questo lavoro si propone di analizzare la "genderizzazione" spaziale (effettiva e percepita) del ...
BASE
Identita personale e laicità
Il presente lavoro nasce dal desiderio di approfondire le tematiche relative all'identità personale e le sue relazioni con l'identità culturale, l'identità religiosa, l'identità e l'identità sessuale, guardandole sotto il profilo dell'autodeterminazione e della laicità dello Stato. A questo scopo ho cercato di ripercorrere il processo evolutivo del diritto all'identità personale, analizzandone lo stato di tutela nel panorama giuridico italiano. Obiettivo principale è stato quello di porre l'attenzione sui diversi problemi connessi all'identità personale in una società sempre più globalizzata e multiculturale. La società attuale è caratterizzata dal pluralismo, che impone una nuova riflessione circa il concetto di identità e un approccio interdisciplinare al tema in questione. Emergono nuove domande di riconoscimento connesse alle diverse identità culturali, religiose, etniche, etiche, politiche, sessuali. Tutte queste sono solo alcune dei fattori costitutivi dell'identità personale e che necessitano di essere presi in considerazione dal diritto. Questo però fa fatica a cogliere l'aspetto "complesso" dell'identità personale, limitandosi spesso all'aspetto "elementare", confondendo in questo modo l'esigenza di tutela dell'identità personale con l'esigenza di identificazione delle persone. Il ritardo del diritto, rispetto alle altre scienze sociali, nell'affrontare questi nuovi temi produce la conseguenza di creare discriminazioni, soprattutto nei confronti di identità "deboli" ( si pensi ai transgender, agli immigrati, agli omosessuali). Sarebbe opportuno che il diritto riconoscesse la connessione tra l'identità personale e la libertà di coscienza e di autodeterminazione. Questo può avvenire solo per mezzo di un diritto laico. Utilizzando il metodo della laicità positiva si può arrivare a garantire la pari dignità sociale delle identità. La laicità positiva consiste nell'attitudine al confronto e al dialogo non solo del legislatore ma anche dei giudici, della pubblica amministrazione e di tutti i cittadini. Solo in questo modo possono superarsi le contrapposizioni tra "identità giuste" e "identità sbagliate", tra "identità naturali" e "identità innaturali". Passando in questo modo da un pluralismo inerte ad un pluralismo dinamico. Il diritto all'identità personale sarebbe oggetto di tutela non solo negativa ma anche positiva: come diritto ad essere sé stessi.
BASE
Donne di città in città da uomini: un'analisi geografica di Sex and the City
Sex and the City è un serial televisivo creato e trasmesso inizialmente negli Stati Uniti, tra il 1998 e il 2004 (in Italia tra il 2000 e il 2004 in prima visione). La serie è basata sull'omonimo romanzo di Candance Bushnell (pubblicato in Italia da Mondadori, 2001), una delle opere che ha contribuito a rilanciare il genere letterario conosciuto come "chick lit". Sia il genere in cui si colloca il libro della Bushnell sia il serial televisivo che ne è derivato hanno riscosso un ampio successo di pubblico e di critica in tutto il mondo. Il serial si guadagnato 7 Emmy Award e 8 Golden Globe. Decisamente un fenomeno socio-culturale di rilievo. Perché? Ambientato in una Manhattan chiaramente upper class, Sex and the city tratta della vita sentimentale e sessuale di quattro amiche tra i 35 e i 45 anni, presentando come modello sociale una tipologia di donne apparentemente emancipate e postmoderne che vantano le medesime opportunità degli uomini: "Per la prima volta nella storia di Manhattan le donne hanno le stesse possibilità economiche e lo stesso potere degli uomini, insieme al lusso di poterli trattare come oggetti sessuali" (Samantha Jones, prima puntata della prima serie). Sex and the city si propone come un manifesto del riscatto femminile, senza tralasciare, attraverso i personaggi secondari, l'ormai immancabile sigla del politically correct, LGBT: lesbian, gay, bisex e transgender. In realtà, però, i fili che ne compongono la trama perpetuano i canoni tradizionali di costruzione dei ruoli maschile/femminile, a partire dal linguaggio adottato fino ad arrivare all'utilizzo ed alla percezione profondamente genderizzata degli spazi. Il concetto di emancipazione incarnato dalle protagoniste, infatti, adotta in pieno il discorso maschilista, naturalizzandolo e perpetrandolo nella gestione delle relazioni tra i generi, con tutte le implicazioni che ciò può avere sugli spazi pubblici e privati.È in tale ottica che questo lavoro si propone di analizzare la "genderizzazione" spaziale (effettiva e percepita) del tessuto urbano di Manhattan in una società fittiziamente paritaria chiedendosi se il conservatorismo maschio-centrico che solitamente si osserva nella divisione, nell'utilizzo e nella percezione di tali spazi permanga tel quel, si trasformi, o venga semplicemente offuscato dalla mascolinizzazione dei comportamenti spaziali da parte delle donne.
BASE
Le funzioni dello spettacolo I
Marco De Marinis distingue la nuova teatrologia degli studi teatrali contemporanei di matrice europea-continentale, e in particolare italiana, dai Performance Studies anglo-americani, pur riconoscendo la presenza di legami fra i due campi di ricerca, quasi inevitabile sia per motivazioni culturali sia per ragioni storiche. De Marinis sostiene, inoltre, che oggi l'interesse della teatrologia italiana è tutto rivolto al "fatto teatrale", inteso come «il complesso dei processi produttivi e ricettivi»2. In Il corpo dello spettatore. Performance Studies e nuova teatrologia (2013)3, egli illustra come le applicazioni dei paradigmi classici e degli schemi nuovi della cultura teatrale contemporanea si siano radicati nel solco della interdisciplinarità, contestualizzando l'analisi teorica degli studi teatrali lungo la frontiera che separa il Novecento dal nuovo secolo. Se da un lato afferma che non si possono trascurare evidenti punti di contatto fra la nuova teatrologia e i Performance Studies, dall'altro evidenzia una oggettiva peculiarità degli studi teatrali continentali, e in particolare italiani, definendo il loro oggetto come «l'insieme dei processi e delle pratiche che fondano e circondano il fatto teatrale»4, e precisando che il centro di questo oggetto è «la relazione teatrale per eccellenza, quella che lega l'attore e il pubblico, e quindi, in definitiva, lo spettatore stesso con l'insieme dei processi e delle pratiche ricettive che lo riguardano»5. La peculiarità transculturale del teatro contemporaneo emerge ben chiara in De Marinis già dagli anni della pubblicazione di Semiotica del teatro (1982) e poi di Capire il teatro (1988)6, ma diventa un inequivocabile precetto teorico nelle sue ultime riflessioni che sono state il filo conduttore del convegno Thinking the Theatre - New Theatrology and Performance Studies. Peraltro, dall'ultimo ventennio del Novecento ad oggi la transculturalità dei generi letterari e artistici ha influenzato gli studi teatrali, fino a mutarne gradualmente gli obiettivi. Così le funzioni dello spettacolo, seppure ricercate negli elementi tradizionali dell'arte scenica, attore, danzatore, suono, spazio, spettatore, testo, vengono spesso ricavate da precetti filosofici, antropologici, psicoanalitici, sociali, gender e transgender, e sempre meno si tende ad esplorare il contesto politico in cui il teatro agisce, e le pratiche di cui il teatro si serve per interpretare o denunciare conflitti, soprusi, disagi culturali e sociali. Una progressiva diminuzione dell'uso del termine rappresentazione e un uso più frequente del termine performance ha generato anche sostanziali equivoci non solo di natura semantica ma anche di natura semiotica. Le forme e i modi del Nuovo Teatro – che De Marinis aveva individuato già a partire dal suo primissimo concepimento e che la nuova teatrologia è riuscita a contestualizzare in questo inizio secolo – vengono formulati dalla generazione che è cresciuta nutrendosi più di recezione di idee che di pratiche teatrali, più di processi e di sistemi astratti che degli sviluppi dei processi e dei sistemi di rappresentazione. Nella sessione da me presieduta si è potuto constatare come soprattutto le proposte degli artisti più giovani siano oramai distanti dal teatro storicamente inteso. La prassi teatrale è stata completamente smarrita nel lento smantellamento novecentesco, e la parte teatrale residuale di ogni nuovo "gruppo" ha bisogno del sostegno delle pratiche di altre forme d'arte: insomma, il Nuovo Teatro post-novecentesco è senza teatro.
BASE
Sex Zoned! Geografie del sex work e corpi resistenti al governo dello spazio pubblico
La tesi si interessa alla dimensione spaziale della prostituzione di strada, prendendo le mosse da tre motivazioni principali: il fatto che la presenza del sex work ci interroga sulla dimensione di genere dello spazio urbano; il fatto che la rimozione dei corpi delle sex workers dalle strade delle città italiane ci interpella sulla concezione e sul governo dello spazio pubblico nella sua interezza e sulla cultura civica urbana attuale che esso esprime; il fatto che le sex workers che esercitano in strada sono spesso testimonianza di una marginalità che nasce nella dimensione economica e sociale, ma può essere contrastata o amplificata nella dimensione spaziale. Chi si occupa di pensare lo spazio, dunque, ha il dovere di interrogarsi sul ruolo fondamentale che esso può avere nelle traiettorie di emancipazione, affermazione o marginalizzazione di chi lo vive. Il primo capitolo problematizza le pratiche di gestione e rimozione della prostituzione di strada come forme di governo spaziale. La ricognizione di studi portati avanti sul tema, in particolar modo nell'ambito anglosassone della geografia critica, e l'analisi delle politiche europee e italiane in materia hanno evidenziato come tale politiche sembrino essere riconducibili a due paradigmi di governo principali, quello del contenimento e quello dell'esclusione. Entrambi i paradigmi ottengono la rimozione dei corpi indesiderati e inopportuni dalla vista di un certo tipo di cittadinanza, ma attraverso due azioni nettamente diverse: la prima legittima, la seconda vieta. Il caso italiano, inoltre, ha poi evidenziato come l'esclusione spaziale si espliciti in particolar modo nelle politiche legate alla retorica del decoro e nell'uso delle ordinanze sindacali come strumento di governo del territorio. Sempre rispetto al caso italiano, la tesi problematizza la costruzione del discorso predominante sulla prostituzione (alimentato da una parte della letteratura prodotta sull'argomento) per il suo effetto di negazione delle sex workers in quanto soggetti di diritto. In estrema sintesi, il mancato riconoscimento di una loro agency sembra essere strumentale alla legittimazione di due diversi livelli di politiche: le strategie messe in atto per la difesa dei confini nazionali dalle migrazioni indesiderate e quelle per un'epurazione dello spazio pubblico in nome del decoro di cui sopra. Attraverso una riflessione sulle resistenze, sui concetti di strategie e tattiche e sulle tecniche di produzione spaziale messe in atto dalle sex workers, emerge la necessità di una nuova lettura, interpretazione e rappresentazione delle loro geografie. Il secondo capitolo esplora l'intersezione tra diversità, sicurezza e femminismi, ma partendo dalla convinzione che alla "diversità" siano ascrivibili anche quelle soggettività o quelle pratiche che consideriamo inquietanti, disturbanti, perturbanti (nonostante siano legali, come il sex work). La questione del rapporto tra progettazione e diversità è significativamente sviluppata dai contributi degli studi di genere e queer alla critica a una pianificazione "classica", focalizzata su un utente della città teoricamente neutro, ma evidentemente connotato dal punto di vista di genere, razza e reddito: contributi sia in termini di individuazione dei caratteri normativi ed escludenti della disciplina della pianificazione, ma anche di suggerimenti di possibili passi nella direzione di una città che accolga la diversità di corpi e usi dello spazio come base della convivenza urbana. La tesi segnala come i tentativi più istituzionali di governo dello spazio pubblico con un'attenzione al genere si muovano su un terreno insidioso, concentrandosi sempre più spesso sul legame tra femminile e sicurezza, e correndo il rischio di formulare politiche ulteriormente escludenti nei confronti di comportamenti considerati extra-normativi (e dunque non considerati meritevoli di sicurezza). La conseguenza indiretta di tali politiche sembra essere l'autodisciplinamento di alcune soggettività: invece di elaborare una città a misura di donne, si suggerisce alle donne come diventare a misura di città. Una via per esorcizzare tali pericoli sembra essere quella di confrontarsi con i contributi elaborati dai movimenti transfemministi queer italiani. La riflessione formulata da molti segmenti di tali movimenti, che evidenzia il carattere dello spazio pubblico come palcoscenico di conflitti aventi come posta in gioco l'appropriazione simbolica e l'uso dello spazio stesso, ha lucidamente intuito la pericolosa deriva delle strategie di governo urbano che si stanno tacitamente imponendo in Italia. Il terzo capitolo si concentra su un'analisi del cosiddetto Daspo urbano, il nuovo strumento di gestione della sicurezza urbana proposto dal noto Decreto Minniti, e della concezione di spazio pubblico che esso sottende. Il tipo di misure e sanzioni e di luoghi in cui possono essere applicate sembra essere volto all'epurazione dagli spazi dei flussi urbani dei soggetti che, pur non avendo commesso reati, sono da considerarsi scomodi per la loro stessa presenza. Un'analisi a mezzo stampa ha permesso di evidenziare come il Decreto stia venendo recepito dalle amministrazioni dei comuni italiani e ha confermato come esso si stia rivelando uno strumento estremamente efficace: per un lato, il suo meccanismo di funzionamento non lascia segni evidenti, se non l'assenza del corpo che ha permesso di rimuovere; per l'altro, la sua estrema versatilità permette di ridefinire continuamente i confini delle aree in cui è applicabile, o i segmenti di popolazione che può colpire. Questa parte del lavoro si chiude con una riflessione sullo spazio pubblico, descrivendo la declinazione che esso sta assumendo nella contemporaneità: nettato e iperfunzionalizzato per una valorizzazione ottimale, in una città epurata progressivamente dei suoi luoghi per qualsiasi uso non basato sul consumo. Come è stato poi confermato dal lavoro di campo, sono spesso invece gli spazi non "imbrigliati", non normati, a rivelarsi luoghi di libertà per le pratiche che sfidano alcune relazioni di potere istituzionalizzate nella società, la cui rimozione ci impedisce di coglierne contraddizioni e ingiustizie. La ricerca si è proposta di strutturare una riflessione sul ruolo dello spazio e della sua gestione in un fenomeno complesso come quello del sex work di strada. Per far ciò ha interpellato, direttamente o indirettamente, alcune delle diverse soggettività coinvolte dal fenomeno, (clienti, sex workers, residenti) provando a far emergere la dimensione spaziale delle loro testimonianze. Il lavoro di campo vede un'analisi dell'articolazione degli spazi (pubblici) del sex work nella città di Roma, cercando di delineare le caratteristiche di tali spazi, e come questi si generino nei luoghi all'intersezione fra discrezione e visibilità, fra isolamento e flussi di passaggio costante, ma anche come le geografie del sex work si distribuiscano per nazionalità e connotati socio-economici del quartiere. Tale analisi è integrata dal sistematico monitoraggio dei materiali di un forum, lo spazio in cui i clienti si scambiano le informazioni relative alla localizzazione delle sex workers. Lo spazio virtuale ha permesso un'osservazione di come la categoria dei clienti, alla quale mi era altrimenti impossibile un accesso diretto, vivesse la dimensione spaziale del fenomeno prostitutivo, e mi ha permesso di aprire un'inaspettata finestra sull'autorappresentazione degli utenti e sulla loro elaborazione collettiva di alcune tematiche. La ricerca ha poi tentato di restituire parzialmente, la storia di vita di una sex worker trans, Paulette, realizzata con un confronto dialogico approfondito. Paulette si rivela a-topos, fuori luogo, una spostata, e vive questa condizione di incongruenza per ben tre motivi contemporaneamente: per la sua condizione di migrante, per la sua occupazione come sex worker, e per il suo essere transgender. Il racconto della sua vita si è strutturato rispetto ai luoghi abitati nel tempo, e comincia ad affrontare il tema della convivenza, approfondendo quali relazioni è riuscita a tessere con chi le stava intorno e come "la città" si è relazionata con la sua presenza. L'individuazione delle difficoltà del suo "percorso urbano" evidenzia inoltre chi e come ha contribuito a rendere la sua vita più difficile, esposta e precaria e il ruolo rivestito dal governo dello spazio in questo senso. La storia di Paulette ha messo in luce le sue geografie negli spazi pubblici romani, tra gli abusi delle forze dell'ordine e la tessitura di relazioni con i vicini del quartiere. Il suo racconto ha permesso di confermare come le politiche di gestione del sex work nello spazio pubblico non abbiano alcun effetto permanente sulla sua rimozione, ma solo sulla sua dislocazione temporanea, e come invece contribuiscano a rompere le eventuali relazioni stabilite con il quartiere: a impedire, insomma, di abitare liberamente nella città d'elezione. Il capitolo seguente affronta un focus particolare sull'area di piazzale Pino Pascali e Casale Rosso, nella zona di Tor Sapienza, dove il disagio provocato dalla presenza di un'importante quantità di sex workers ha spinto il comitato di quartiere locale a promuovere un tavolo per affrontare la questione e formulare una proposta di zoning. La vicenda permette di toccare il tema ben più ampio della contesa dello spazio pubblico e della legittimità dei diversi attori urbani nell'esigerne il controllo. Evidenzia il ruolo dei comitati di quartiere e le nuove forme di corpi intermedi, che possono rivelarsi un potente veicolo e amplificatore di paure collettive e comportamenti discriminatori. Il processo che ha portato alla proposta di zoning, basato su metodi di mediazione del conflitto, suggerisce invece il ruolo di cui l'amministrazione pubblica si dovrebbe far carico: il riconoscimento delle risorse territoriali rappresentate dai comitati di quartiere per un verso, ma anche l'innesco di percorsi collettivi di elaborazione di senso dei processi di trasformazione in atto sul territorio, promuovendo forme di dialogo e mediazione tra i diversi attori in campo. La proposta di zoning, tuttavia, presenta ancora dei forti limiti: il luogo individuato è decisamente isolato, aspetto che confinerebbe le sex workers nell'invisibilità. Inoltre, il processo decisionale messo in atto per formulare la proposta non abbia coinvolto le dirette interessate, delegittimandole nuovamente nell'essere riconosciute come soggetti portatori di istanze e di diritti. L'ultimo caso, riguardante la cosiddetta favela del Quarticciolo, ha approfondito la situazione abitativa di un gruppo di sex workers trans che hanno trovato riparo in una soluzione decisamente precaria, quella dei due edifici occupati nella storica borgata romana. La messa a fuoco della favela consente di descrivere i motivi per cui si arriva ad abitarla, perlopiù legati all'assenza di politiche abitative, ma permette allo stesso tempo di riconoscere le pratiche di sopravvivenza e le tattiche di resistenza messe in campo dalle e dagli abitanti: l'ecosistema della favela riesce a elaborare strumenti non solo per la sussistenza di base, ma anche per la mediazione dei conflitti, producendo relazioni inedite e in continua trasformazione. In questo senso, se osservata come laboratorio di convivenza urbana, consente di osservare i conflitti e le mediazioni attuate spontaneamente tra chi esercita il sex work e gli altri residenti. Pur ammettendo che tale conciliazione è resa possibile dalla condizione di illegalità che accomuna tutti gli occupanti, tale contesto sollecita una riflessione sul privilegio di essere legittimati nell'uso dello spazio urbano: nel momento in cui è impossibile stabilire chi ha diritto o meno di usare gli spazi della città, coloro che la abitano innescano dinamiche di negoziazione diretta che hanno come obiettivo il raggiungimento della coesistenza. La comprensione di tali tattiche non deve però distogliere l'attenzione dall'individuazione di alcune precise responsabilità: parte del degrado del Quarticciolo è generato dalla precarietà in cui vengono situati molti dei suoi abitanti, a causa di un deliberato disinteresse da parte degli attori istituzionali. I casi tratteggiati rappresentano piccole finestre sulla totalità delle dimensioni spaziali che il fenomeno prostitutivo assume a Roma, l'apertura di queste spaccature vorrebbe complessificare l'approccio con cui si governa il sex work, anche perché l'ambiguità della città e del suo governo è particolarmente evidente in questo campo. Le politiche di gestione del sex work sono spesso strumentali all'attivazione, all'assecondamento, all'accelerazione o all'arresto di determinate trasformazioni urbane. Le lavoratrici del sesso, in questo senso, appaiono come utili pedine su un immaginario tabellone di gioco: utili, perché al contrario di homeless o mendicanti (e analogamente agli spacciatori) forniscono un servizio di cui i cittadini per bene fanno largo uso; pedine, perché considerate corpi muti da spostare secondo le circostanze del momento. I diversi casi studio cercano di dimostrare, invece, come intorno al fenomeno si generino e tessano relazioni che intrecciano soggetti e spazi, contribuendo così alla costruzione del territorio urbano: assumendo che al di fuori dello spettro della legge, sono le relazioni a costruire la città in cui viviamo, nonché a definire cosa è o meno accettabile o legittimo. Per quanto la città tenti di allontanare e confinare le presenze che percepisce come perturbanti, tale confinamento genera la tessitura di una notevole quantità di relazioni: riconoscerle può supportare la legittimazione delle sex workers come membri attivi della comunità urbana in cui risiedono, e che in quanto tali sono da considerarsi soggetti di diritto. Questo lavoro sceglie di affrontare l'inquadramento spaziale del problema, partendo dalla convinzione che il governo del sex work su strada apra questioni che riguardano il disagio che emerge nel rapporto con un'alterità e la sua pratica, e che dunque uno dei suoi possibili inquadramenti sia l'essere un problema di convivenza. Un problema che non va sottovalutato, perché rimette in discussione le categorie con le quali ordiniamo l'esistente, e nella sua complessità esplode in quelle che sono invece questioni di ripensamento dell'accezione universalistica di spazio pubblico, ma anche di definizione di diritti e di cittadinanza.
BASE