Il commercio equo e solidale (Cees) è andato sviluppandosi nel mondo occidentale nel corso degli ultimi quaranta anni, quale risposta alla crescente consapevolezza del fatto che i vantaggi derivanti dagli scambi e dall'espansione del commercio internazionale non risultano equamente ripartiti tra tutti i Paesi e tra i vari strati della popolazione di ciascuno dei Paesi stessi. La progressiva estensione del fenomeno in termini di ampliamento delle aree geografiche coperte e di aumento del quantitativo e delle tipologie dei beni commerciati, nonché il proliferare dei soggetti coinvolti e la loro stessa eterogeneità ha via via evidenziato le potenzialità connesse a tale realtà divenuta, nel corso di pochi decenni, da settore di nicchia, modello di riferimento per un commercio giusto nel panorama internazionale di mercato. Orbene, allo scopo di inquadrare precisamente il fenomeno e di sviscerarne i contenuti si è ritenuto opportuno suddividere la trattazione del tema in quattro macro-blocchi inerenti rispettivamente: la descrizione socio-economica del Cees, i progetti di normazione presenti in materia a livello sovranazionale-nazionale e regionale, le altre esperienze parallelamente sviluppate in altri paesi europei, nonché l'analisi degli strumenti contrattuali in uso nel settore con particolare riguardo ai contratti di Ctm. Il punto di partenza è rappresentato da una serie di considerazioni di ordine introduttivo, con particolare riguardo alla dimensione socio-economica del fenomeno, alla luce della sua crescente evoluzione e del suo attuale valore in termini di incidenza all'interno del nuovo ordine globale delle relazioni economiche. A seguire, dato il taglio essenzialmente giuridico della ricerca, si è ritenuto opportuno penetrare immediatamente la realtà del commercio equo con specifico riferimento alle problematiche ed alle prospettive connesse all'opportunità di una regolamentazione giuridica del fenomeno stesso, le quali costituiscono, precisamente, l'oggetto centrale del presente studio. In particolare si è scelto di elaborare una serie di riflessioni introduttive a proposito dei differenti approcci posti in essere in materia, considerando la complessità del quadro di riferimento nonché la varietà degli intenti. Orbene, nel tentativo di ricostruire le ragioni che hanno determinato l'esigenza di regolamentare la materia, si è pensato in primo luogo di esaminare i numerosi tentativi di autoregolamentazione attuati in tal senso, con riferimento da un lato alle cc. dd. Carte dei Criteri ed in particolare alla Carta Italiana, elaborate allo scopo di identificare i requisiti ed i soggetti destinati ad operare in tale contesto, e dall'altro lato ai sistemi di certificazione privati e specializzati posti in essere allo scopo di etichettare i prodotti del Cees e garantire così la conformità a determinati standard, nonché il rispetto dei principi propri del settore in esame. Una volta esaminati i percorsi inerenti la via dell'autoregolamentazione e le peculiarità connesse agli stessi si è ritenuto interessante procedere nell'analisi dei percorsi di eteroregolamentazione posti in essere in materia, e ciò in particolare sulla scorta dei limiti e delle incongruenze intrinsecamente legate alla strada dell'autodisciplina. La creazione di un preciso schema legislativo in materia, corrispondente ad una vera e propria legge, consentirebbe, infatti - ed è precisamente ciò che la ricerca è tesa a dimostrare - di realizzare, al di là del riconoscimento ufficiale del fenomeno, anche una specifica individuazione dei prodotti del Cees e dei soggetti coinvolti, ciò che determinerebbe, attraverso l'istituzione di un rigoroso sistema sanzionatorio, la conseguente eliminazione del rischio che gli stessi si trovino in un certo senso a miscelarsi inconsapevolmente con soggetti estranei ai principi del movimento, traducendosi implicitamente in una enorme garanzia per il consumatore. Una volta accertata la necessità di regolamentare la materia e una volta enucleate le motivazioni attraverso le quali si è giunti ad affermare la preferenza di soluzioni di tipo eteroregolamentative, si è scelto di proseguire nell'analisi dettagliata dei percorsi e degli interventi legislativi elaborati su scala sovranazionale, nazionale e regionale; ciò al fine di riflettere più compiutamente sul taglio che un intervento regolativo in materia dovrebbe avere. I paragrafi elaborati nell'ambito della Parte II e precisamente inerenti una ricognizione e valutazione critica dei progetti di normazione presenti in materia, si muovono in effetti proprio in tale ottica, nel tentativo di chiarire se, posta la complessità degli interventi legislativi predisposti a vari livelli, sia ravvisabile all'interno di uno di questi un possibile modello da seguire. Sempre allo scopo di riflettere sui profili regolamentativi del fenomeno del Cees e posta la necessità di rintracciare un modello indicativo sulla base del quale pervenire all'elaborazione di un preciso schema di inquadramento legislativo, si è scelto di dedicare le successive fasi della ricerca all'esame delle esperienze maggiormente rilevanti nel settore condotte all'interno di altri paesi. La terza parte-sezione del lavoro di ricerca si incentra, infatti, sull'analisi degli schemi e delle soluzioni legislative elaborate a livello europeo (e non solo) in tale ambito, ciò allo scopo di valutare le affinità e le compatibilità, ma anche eventualmente le divergenze esistenti rispetto al nostro sistema. Ebbene, a parte lo studio delle strategie tracciate all'interno del contesto europeo, ed in modo particolare in paesi come la Spagna e la Francia - attraverso l'analisi delle varie proposte e normative concretamente poste in essere - si è ritenuto interessante proporre anche l'esame di una realtà profondamente differente, sia per struttura che per impostazione, quale, appunto, quella canadese, e ciò considerato in particolare anche il carattere innovativo di una indagine comparata tra le due dimensioni (quella italiana e quella, appunto, canadese). Alla luce di tali considerazioni, nonché allo scopo di rendere effettivamente concreti i profili teorici anzi sviluppati, si è scelto di completare la ricerca mediante l'analisi di alcuni contratti commerciali, utilizzati nella pratica degli affari e recanti appunto norme rispettose dei principi del Cees. In particolare, l'ultima sezione del lavoro, inerente temi di giustizia sociale e diritto dei contratti - con specifico riferimento alla disciplina giuridica del contratto inteso appunto quale mezzo attraverso cui orientare il corretto funzionamento del mercato concorrenziale e fornire adeguate tutele ai consumatori - si sofferma sull'analisi della modulistica contrattuale (Il "Fair Trade Partnership Agreement"; l'"Annual Plan"; il "Fair Trade Purchasing Contract"; il "Delivery Order") utilizzata da Ctm Altromercato nelle operazioni di acquisto, nonché di trasporto e vendita dei prodotti equo-solidali. Tale modulistica, reperita grazie ad una profonda collaborazione con la sede legale del Consorzio, è stata ritenuta particolarmente interessante sotto un duplice profilo: da una parte, infatti, tali strumenti contrattuali potrebbero rappresentare una effettiva garanzia per quel consumatore socialmente responsabile che voglia visionarli al fine di constatare direttamente il rispetto di determinati standard e principi e che voglia, cioè, accertare che i prodotti che acquista siano effettivamente rispettosi di quegli standard; dall'altra parte, tali contratti rappresenterebbero una sorta di garanzia sociale, vale a dire un mezzo attraverso il quale far rispettare i suddetti valori e recuperare, in una prospettiva più ampia, anche determinati diritti. ; The fair trade phenomenon expanded in the western world during the last forty years because the benefits of trade and the expansion of international trade are not equitably distributed among all countries and between different levels of population. The gradual extension of phenomenon, the expansion of the geographic areas covered, the increase of quantity and types of traded goods and the proliferation of actors, gradually showed the strength related to this reality, which has become, in a few years, a true reference model for a fair trade on the international market. However, in order to classify precisely the phenomenon and to reveal its contents, it was considered appropriate to divide the discussion of the topic into four macro-blocks, respectively associated to: -the socio-economic description of the fair trade; -the different standardization projects elaborated in this field at the supranational, national and regional levels; -the other experiences developed in a comparative perspective with other European countries (and not only); -the analysis of contractual instruments used in the sector with particular regard to the contracts used by CTM Altromercato. The starting point is represented by some different preliminary considerations, with special emphasis on socio-economic phenomenon, considering its increasing trend and its current value in terms of incidence on the new global order of economic relations. Secondly, as legal research, it was considered appropriate to immediately penetrate the reality of fair trade, with specific reference to the problems and prospects related to the best legal regulation of this phenomenon, which represents the central object of this study. In particular, we chose to develop some general discussion about the different approaches elaborated in this area, considering the complexity of the framework and the variety of proposals. However, reconstructing the underlying reasons for a legal adjustment of this phenomenon, it was thought primarily to examine the many attempts to self-regulation, referring firstly to the "Carte dei Criteri" and especially the "Carta Italiana", drawn up to identify the requirements and the people suitable to operate in that context, and secondly concerning the private certification schemes, specialized in this field, and created to label the products of fair trade and thus to ensure compliance with standards and respect for the principles of the sector. After examining the pathways of self-regulation and the peculiarities connected to the same, it was considered interesting to carry out the analysis of a different form of regulation, called "heteroregulation", considering, in particular, the limitations and inconsistencies intrinsically linked to the self-discipline. In fact, the creation of a clear legislative framework, corresponding to a real law, would- and this is precisely what the research is oriented to prove - to establish, in addition to official recognition of the phenomenon, the specific identification of the fair trade products and of the parties involved and moreover, establishing a strict system of sanctions, to realize the subsequent elimination of the risk that they are, unconsciously, mixed with persons outside the principles of the movement, meaning a huge guarantee for the consumers. Once we have established the need to regulate this field and once outlined the reasons for a preference of heteroregolamentative type solutions, it was interesting to analyze the detailed paths and the legislative actions drawn up at the supranational , national and regional level, to reflect more broadly on the style that a regulatory intervention in this area would have. The paragraphs elaborated in the II part, concerning a critical evaluation of the projects of regulation existing in this context, want to clarify if, considering the complexity of the sector, a potential model to follow exists. Thirdly, in order to reflect on the regulation profiles of fair trade phenomenon and considering the need to find a legislative framework, it was chosen to dedicate the next stages of research to examine of the most important experiences carried on in this field from other countries. The third part-section of the research is focused on the analysis of legislative solutions developed at European level (and not only) in this context; the aim is to value the similarities and the compatibility, but also the differences, compared to our system. In addiction to the study of strategies, outlined in the European context, and particularly in the countries like Spain and France - through the analysis of various proposals and regulations put in practice - it was considered interesting to propose also the examination of Canadian perspective, considering in particular the innovative nature of a comparative study between these two dimensions (Italian and Canadian). For these considerations and to realize the theoretical profile, it was decided to complete the research with the analysis of some commercial contracts, which are used in the practice of business and containing the fair trade rules and the principles. In particular, the last section of work, concerning the social justice issues and the law of contracts - with particular reference to the legal framework of the contract conceived like an instrument to ensuring the proper functioning of the competitive market and protect consumers - is focused on the analysis of contractual forms ( "Fair Trade Partnership Agreement", "Annual Plan, "Fair Trade Purchasing Contract" and "Delivery Order") used by CTM Altromercato in transactions of purchase, transportation and sale of fair trade products. These contracts, obtained thanks to a strong collaboration with the legal office of the Consortium CTM Altromercato, were considered particularly interesting: first of all, these instruments could be a contractual guarantee for a consumer socially responsible, who wants to view them and to observe directly the relevance of these standards and principles, and to ensure that the products meet those standards; on the other hand, these contracts represent a kind of social security, namely an instrument to enforce these values and also to recover, in a broader perspective, specific rights.
L'ermeneutica filosofica di Hans-Georg Gadamer – indubbiamente uno dei capisaldi del pensiero novecentesco – rappresenta una filosofia molto composita, sfaccettata e articolata, per così dire formata da una molteplicità di dimensioni diverse che si intrecciano l'una con l'altra. Ciò risulta evidente già da un semplice sguardo alla composizione interna della sua opera principale, Wahrheit und Methode (1960), nella quale si presenta una teoria del comprendere che prende in esame tre differenti dimensioni dell'esperienza umana – arte, storia e linguaggio – ovviamente concepite come fondamentalmente correlate tra loro. Ma questo quadro d'insieme si complica notevolmente non appena si prendano in esame perlomeno alcuni dei numerosi contributi che Gadamer ha scritto e pubblicato prima e dopo il suo opus magnum: contributi che testimoniano l'importante presenza nel suo pensiero di altre tematiche. Di tale complessità, però, non sempre gli interpreti di Gadamer hanno tenuto pienamente conto, visto che una gran parte dei contributi esegetici sul suo pensiero risultano essenzialmente incentrati sul capolavoro del 1960 (ed in particolare sui problemi della legittimazione delle Geisteswissenschaften), dedicando invece minore attenzione agli altri percorsi che egli ha seguito e, in particolare, alla dimensione propriamente etica e politica della sua filosofia ermeneutica. Inoltre, mi sembra che non sempre si sia prestata la giusta attenzione alla fondamentale unitarietà – da non confondere con una presunta "sistematicità", da Gadamer esplicitamente respinta – che a dispetto dell'indubbia molteplicità ed eterogeneità del pensiero gadameriano comunque vige al suo interno. La mia tesi, dunque, è che estetica e scienze umane, filosofia del linguaggio e filosofia morale, dialogo con i Greci e confronto critico col pensiero moderno, considerazioni su problematiche antropologiche e riflessioni sulla nostra attualità sociopolitica e tecnoscientifica, rappresentino le diverse dimensioni di un solo pensiero, le quali in qualche modo vengono a convergere verso un unico centro. Un centro "unificante" che, a mio avviso, va individuato in quello che potremmo chiamare il disagio della modernità. In altre parole, mi sembra cioè che tutta la riflessione filosofica di Gadamer, in fondo, scaturisca dalla presa d'atto di una situazione di crisi o disagio nella quale si troverebbero oggi il nostro mondo e la nostra civiltà. Una crisi che, data la sua profondità e complessità, si è per così dire "ramificata" in molteplici direzioni, andando ad investire svariati ambiti dell'esistenza umana. Ambiti che pertanto vengono analizzati e indagati da Gadamer con occhio critico, cercando di far emergere i principali nodi problematici e, alla luce di ciò, di avanzare proposte alternative, rimedi, "correttivi" e possibili soluzioni. A partire da una tale comprensione di fondo, la mia ricerca si articola allora in tre grandi sezioni dedicate rispettivamente alla pars destruens dell'ermeneutica gadameriana (prima e seconda sezione) ed alla sua pars costruens (terza sezione). Nella prima sezione – intitolata Una fenomenologia della modernità: i molteplici sintomi della crisi – dopo aver evidenziato come buona parte della filosofia del Novecento sia stata dominata dall'idea di una crisi in cui verserebbe attualmente la civiltà occidentale, e come anche l'ermeneutica di Gadamer possa essere fatta rientrare in questo discorso filosofico di fondo, cerco di illustrare uno per volta quelli che, agli occhi del filosofo di Verità e metodo, rappresentano i principali sintomi della crisi attuale. Tali sintomi includono: le patologie socioeconomiche del nostro mondo "amministrato" e burocratizzato; l'indiscriminata espansione planetaria dello stile di vita occidentale a danno di altre culture; la crisi dei valori e delle certezze, con la concomitante diffusione di relativismo, scetticismo e nichilismo; la crescente incapacità a relazionarsi in maniera adeguata e significativa all'arte, alla poesia e alla cultura, sempre più degradate a mero entertainment; infine, le problematiche legate alla diffusione di armi di distruzione di massa, alla concreta possibilità di una catastrofe ecologica ed alle inquietanti prospettive dischiuse da alcune recenti scoperte scientifiche (soprattutto nell'ambito della genetica). Una volta delineato il profilo generale che Gadamer fornisce della nostra epoca, nella seconda sezione – intitolata Una diagnosi del disagio della modernità: il dilagare della razionalità strumentale tecnico-scientifica – cerco di mostrare come alla base di tutti questi fenomeni egli scorga fondamentalmente un'unica radice, coincidente peraltro a suo giudizio con l'origine stessa della modernità. Ossia, la nascita della scienza moderna ed il suo intrinseco legame con la tecnica e con una specifica forma di razionalità che Gadamer – facendo evidentemente riferimento a categorie interpretative elaborate da Max Weber, Martin Heidegger e dalla Scuola di Francoforte – definisce anche «razionalità strumentale» o «pensiero calcolante». A partire da una tale visione di fondo, cerco quindi di fornire un'analisi della concezione gadameriana della tecnoscienza, evidenziando al contempo alcuni aspetti, e cioè: primo, come l'ermeneutica filosofica di Gadamer non vada interpretata come una filosofia unilateralmente antiscientifica, bensì piuttosto come una filosofia antiscientista (il che naturalmente è qualcosa di ben diverso); secondo, come la sua ricostruzione della crisi della modernità non sfoci mai in una critica "totalizzante" della ragione, né in una filosofia della storia pessimistico-negativa incentrata sull'idea di un corso ineluttabile degli eventi guidato da una razionalità "irrazionale" e contaminata dalla brama di potere e di dominio; terzo, infine, come la filosofia di Gadamer – a dispetto delle inveterate interpretazioni che sono solite scorgervi un pensiero tradizionalista, autoritario e radicalmente anti-illuminista – non intenda affatto respingere l'illuminismo scientifico moderno tout court, né rinnegarne le più importanti conquiste, ma più semplicemente "correggerne" alcune tendenze e recuperare una nozione più ampia e comprensiva di ragione, in grado di render conto anche di quegli aspetti dell'esperienza umana che, agli occhi di una razionalità "limitata" come quella scientista, non possono che apparire come meri residui di irrazionalità. Dopo aver così esaminato nelle prime due sezioni quella che possiamo definire la pars destruens della filosofia di Gadamer, nella terza ed ultima sezione – intitolata Una terapia per la crisi della modernità: la riscoperta dell'esperienza e del sapere pratico – passo quindi ad esaminare la sua pars costruens, consistente a mio giudizio in un recupero critico di quello che egli chiama «un altro tipo di sapere». Ossia, in un tentativo di riabilitazione di tutte quelle forme pre- ed extra-scientifiche di sapere e di esperienza che Gadamer considera costitutive della «dimensione ermeneutica» dell'esistenza umana. La mia analisi della concezione gadameriana del Verstehen e dell'Erfahrung – in quanto forme di un «sapere pratico (praktisches Wissen)» differente in linea di principio da quello teorico e tecnico – conduce quindi ad un'interpretazione complessiva dell'ermeneutica filosofica come vera e propria filosofia pratica. Cioè, come uno sforzo di chiarificazione filosofica di quel sapere prescientifico, intersoggettivo e "di senso comune" effettivamente vigente nella sfera della nostra Lebenswelt e della nostra esistenza pratica. Ciò, infine, conduce anche inevitabilmente ad un'accentuazione dei risvolti etico-politici dell'ermeneutica di Gadamer. In particolare, cerco di esaminare la concezione gadameriana dell'etica – tenendo conto dei suoi rapporti con le dottrine morali di Platone, Aristotele, Kant e Hegel – e di delineare alla fine un profilo della sua ermeneutica filosofica come filosofia del dialogo, della solidarietà e della libertà. ; The philosophical hermeneutics of Hans-Georg Gadamer – one of the cornerstones in the 20th century philosophy – certainly represents a compound, prismatic and articulated thought, i.e. a philosophy made up of several different dimensions entwined with each other. A simple look at Gadamer's major work Wahrheit und Methode (1960) can already clarify this point, since the book displays a theory of understanding which takes account of three different dimensions of human experience – art, history and language – obviously conceived as mutually related. But this picture gets a lot more complicated if one takes into consideration the many books and articles Gadamer wrote before and after his magnum opus which testify the presence of other interests and topics in his thought. Nevertheless the complexity of Gadamer's philosophical hermeneutics has not always been recognized by his interpreters, who often concentrated only upon Wahrheit und Methode (in particular upon the problems of the Geisteswissenschaften) and gave no attention to other subjects (in particular the ethical and political dimension of his hermeneutical philosophy). Moreover it seems to me that many interpreters didn't pay enough attention to the fundamental unity – which of course doesn't mean "sistematicity" – that reigns in Gadamer's philosophy despite its pluralist and heterogeneous character. My point is that the many dimensions of Gadamer's philosophical hermeneutics – aesthetics and human sciences, language philosophy and moral philosophy, dialogue with the Greeks and critical confrontation with modern thought, reflections upon anthropological problems and observations concerning our actual sociopolitical, scientific and technological condition – actually represent the different sides of one thought centered on what we could define the malaise of modernity. In other words, it seems to me that the whole of Gadamer's philosophy originates from the consciousness raising of the critical situation in which our world finds itself today: a deep crisis which, according to Gadamer, branches out into manifold directions and various dimensions of human life. My interpretation tries then to give an account of both the pars destruens and pars costruens of Gadamer's philosophy, namely of his attempt to investigate and take a hard look at this critical dimensions of human existence in order to let out the point at issue and propose remedies, alternatives and possible solutions. In the first section – entitled Phenomenology of modernity: the various symptoms of the crisis – I explain how a great part of the 20th century philosophy has been concerned with the idea and the feeling of a crisis of our culture and our civilization. In my view Gadamer's hermeneutics too takes part in this global philosophical discourse. I try then to show and illustrate the various symptoms of this crisis analyzed by Gadamer, such as: socioeconomic pathologies of our bureaucratic societies; world-wide growth of the Western way of life to the detriment of other cultures; crisis of our values and beliefs (and consequent spread of relativism, skepticism and nihilism); growing inability to have meaningful relations with art, poetry and culture; finally, problems concerning the proliferation of weapons of mass destruction, the risk of an ecological crisis, and the disturbing, unpredictable consequences of some recent scientific discoveries (above all in the field of genetics). Once outlined Gadamer's critical view of our age, in the second section – entitled Diagnosis of the malaise of modernity: the spread of instrumental and techno-scientific reason – I try to show how, according to Gadamer, a common root lies at the base of the many symptoms of the crisis, namely the birth of modern science and its close, intrinsic relationship with technique and with a specific form of rationality that Gadamer – with reference to the analysis developed by such thinkers as Max Weber, Martin Heidegger and the so-called Frankfurt School – calls «instrumental reason» or «calculating thinking». I try then to give an account of the gadamerian conception of techno-science, meanwhile highlighting some aspects: first, how Gadamer's philosophical hermeneutics should not be interpreted as an antiscientific thought but rather as an antiscientistic thought (which of course is something quite different); second, how Gadamer's reconstruction of the malaise of modernity never ends up in a "totalizing" critique of reason, nor in some sort of negativistic and pessimistic philosophy of history centered on the idea of an inescapable course of the events guided by a polluted, "irrational" rationality; third, how Gadamer – despite all the inveterate interpretations that read his philosophy as a form of authoritarian, traditionalist and antienlightenment thought – never aimed to reject the modern scientific Enlightenment tout court but rather to "correct" some of its tendencies and so to regain a wider and more comprehensive concept of reason. After having analyzed in the first two sections the pars destruens of Gadamer's philosophy, in the third and last section of my work – entitled Therapy of the crisis of modernity: the rediscovery of experience and practical knowledge – I take into consideration the pars costruens of his thought, which according to my interpretation consists of a rediscovery of what he calls «a different kind of knowledge», i.e. of a rehabilitation of the all those forms of pre- and extra-scientific experience that constitute the «hermeneutical dimension» of human life. My analysis of Gadamer's conception of understanding and experience – seen as forms of «practical knowledge» different in principle from theoretical and technical knowledge – leads then to a global interpretation of philosophical hermeneutics as practical philosophy, i.e. as a philosophical elucidation of the prescientific, intersubjective and "of commonsense" reasoning which characterizes our «life-world» and our practical life. But obviously this analysis also implies a special consideration of the ethical and political implications of Gadamer's thought. In particular, I try to examine Gadamer's conception of ethics – taking account of his relation with Plato's, Aristotle's, Kant's and Hegel's moral theories – and finally I sketch an outline of his philosophical hermeneutics as a philosophy of freedom, dialogue and solidarity.
In Italy, Protection System for Asylum Seekers and Refugees (SPRAR) manages the second reception of forced migrants. This organization was founded by the Bossi-Fini law n. 189/2002 and is composed by the network of local governments, which uses the available resources of National Fund for Asylum Policies and Services provided by Government finance law and managed by the Ministry of Interior. Its principal goal is to realize integrated reception projects for refugees, asylum seekers, subsidiary and humanitarian protection holders in order to ensure their socio-economic inclusion within local contexts in cooperation with voluntary and third sector organizations. On 10th July 2014, local governments were signed an agreement between national and regional executive to create a national reception system to face the growing number of people who have arrived on the Italian coasts. The main goal of this system is to overcome only a material reception (food and lodging), in order to offer a "widespread reception" within urban areas. The strategy is to create an individual project and an accompaniment to ensure the integration of each person in the local community. The services provided consist in inclusion of migrants in the national health and scholastic system, orientation and access to other local services, professional training, job placement, legal assistance and social and housing integration . Indeed, it is crucial to emphasize that the Italian reception system is characterized by extreme fragmentation. Only SPRAR provides these services with the goal of enabling social and economic inclusion of hosted people in local context, which is why we talk about second reception centres. In Italy, there are, however, many different types of first and extraordinary reception centres for migrants . They are managed by the prefectures and differ in terms of goals, structural characteristics, services and receptive capacity. Only 18.7% of migrants are hosted in the SPRAR structures, while the remainder incurs the possibility of carrying out the entire procedure of the asylum application in the centres of first and extraordinary reception (IDOS, 2017). In recent years, the Italian reception structures have undergone a reorganization and redenomination phase, in which the SPRAR should have become a reference standard. In fact, this system has positively distinguished itself for its objectives, the structuring of his interventions and many best practices. This did not prevent bad reception occurrences even within SPRAR structures, as well as a large number of violent and verbal conflicts, some of which carried out by Italian citizens to the detriment of asylum seekers and owners of a status of international protection. These episodes, exacerbated by a political and media discourse that represents migrants as a threat (Battistelli et al., 2016), are the consequence and symbol of the fragmentary and contradictory reception policies adopted at a European level, in the individual countries and at a local level (IDOS, 2016). Instability and political, economic and social uncertainty, rulers in this historical period, are manifested in an emergency approach that is characterized by insufficient planning and a lack of coordination between the reception agencies. This orientation, supported by many and incongruent legislative changes, deprives the system of a strong structure and facilitates the overturning of the same principles of "widespread reception" of migrants in local communities. Moreover, this facilitates the affirmation of nationalist, xenophobic and localist drifts, as well as reception situations in which human rights are violated and which do not provide real opportunities for inclusion in the territories in a safe and dignified manner. Therefore, the conceptual distinction of the terms danger, risk and threat, used as the interpretative line of this work, appears fundamental to understand why subjective responses, in terms of perception and actions, differ according to the situations, as well as to manage the effects that derive in a consistent manner (Battistelli e Galantino, 2018). In order to realize the analysis, I decided to use an ethnographic approach that is traced back to the constructivist philosophical paradigm, where the vision of facts is investigated locally. Ethnographers, indeed, study subjects, artefacts and actions in their interactions, from an interpretative-dialectical point of view, without the claim of absolute objectivity of the results (Piccardo and Benozzo, 1996). Then, I have chosen to use focused narrative interviews because they turn to individuals, they aim for their "understanding", and this is part of the renewed interest in the subject's centrality and in the "deliberately intentional" social action (Weber, 1922). It is also an approach that allows investigating deeply the phenomena. It is very interactive, flexible and able to empathize in the perspective of the subject being studied. This makes it easier to interview marginal subjects neglected by "official knowledge" and to rediscover the social function of research, which is "giving voice to those who do not have it" (Crespi, 1985, pp. 351) In addition, observation and fieldwork are supported by a strong theoretical basis that offers its help to the researcher for the understanding of the social world, providing an order that supports they in their critical analysis of the facts. So, empirical work and theory support each other (Silverman, 2002). Then, narrative approach is highly adaptable to the study of organizations and to analyse the collected data. In fact, this approach is characterized for attention given to concrete situations and not to general theorizations (Czarniawska, 2000). Hence, the empirical research carried out in 2016-2018 can be summarized in the following phases: 1- Analysis of secondary data and documents produced by European and national statistical institutes, private associations, protection bodies and by SPRAR itself. 2- Participant observation in: - a political protest demonstration against the opening of a SPRAR centre in XIII Town Hall, on the north-western suburb of Rome; - nine meetings of social operators working in SPRAR network of Rome and in the national CARA and CAS reception centres; - a SPRAR centre (20 reception places increased to 40 in the south-eastern suburbs of Rome, VII Town Hall). One year of observation and shadowing of operators: 16th January 2017 – 22th January 2018; - a SPRAR apartment (14 reception places for families in the residential area of Monte Sacro neighbourhood, Town Hall III). Five days of observation and shadowing of operators in January 2018; - a seminar of reflection organized by SPRAR and ANCI on the reception system in Lazio, focused on the role of the Regions and Municipalities. 3- Forty-one narrative focused interviews: - Twenty-four SPRAR operators working in SPRAR centres of Rome; - Seventeen asylum seekers and refugees from SPRAR centre observed in Town Hall VII of Rome. The intent behind this ethnographic research started in a restructuring phase aimed to make the SPRAR a reference standard of reception for all asylum seekers who came to our country. But it was characterized, as still today, by speculative situations, the high presence on the territory of large collective reception centres and managing bodies without the necessary experience (Olivieri, 2011; Lunaria 2016). Therefore, the analysis of the risk management and the operators perception of the SPRAR of Rome has the objective to unveil and analyse the contradictions and weaknesses that may arise within this model due to a reckless management that produces specific factors of risk. The hypothesis underlying the case study is that, although the SPRAR has been recognized as an ordinary model, it can also be reproduced in a distorted manner, not respecting the reference guidelines. The alteration between SPRAR in books, the theoretical expression of a principle, and SPRAR in action, its implementation (Pound, 1910), is caused by specific factors that can cause significant effects from several points of view. To bring to light these aspects, closely related to the risk management and the perception that its operators have, I achieve a classification of the risks that I applied to three different types of SPRAR structures (large, medium and single apartment). Then, I identified a series of outcomes involving the people hosted, the operators, the local community and the SPRAR organization itself. The decision to draw the case study at the SPRAR of the city of Rome is driven by the complexity that distinguishes this territory on a social, cultural and political level. In fact, I believe it can bring out the contradictions of the model as new forms of confinement compared to territories with reduced complexity. However, allowing a glimpse of a reception of asylum seekers and holders of a protection status also possible within urban and metropolitan areas. The empirical survey shows that an increase in the distortion compared to the assumptions of an integrated and widespread reception in the territories corresponds to a greater possibility that specific risk factors are produced. Which in their turn, crystallizing into unhealthy forms, can involve the people hosted, the operators, the local community and the SPRAR organization itself. The case study and the application of the risk classification, which I achieved based on the evidence revealed from the field, reveal how the identified risk areas (socio-spatial context, production of the service, recipients) and the corresponding categories, do not produce in itself a negative result. However, this can occur if a short-sighted management acts on these aspects and does not align with the proposed guidelines. Therefore, this classification appears to be a useful tool to identify problems and to develop preventive measures, aimed to improve the management of SPRAR centres in metropolitan cities such as Rome (and other contexts), by intervening on the identified risk categories and reducing the factors that eventually emerge. The analysis, focused on three different types of SPRAR structure (large, medium, single apartment) of the Capital, shows how this alteration occurs in a disruptive way in the large collective centres, the most represented in Rome. Meanwhile, greater adherence to the model is shown, with a modality proportional to the size, in the medium-sized structure and in the apartment. The distortion detected in the large SPRAR collective centres of Rome and partly also in the medium-sized centre, reflects the ambivalence of the general reception system. It promotes on the one hand the principles of a good reception that respects human rights and the autonomy of people and by another implements foreclosure practices and new forms of borders (Vacchiano, 2011; Van Haken, 2008). The field research shows that this happens on different levels due to specific material factors (location and capacity of the centres, management of internal spaces, activation of the services provided, etc.) and through the daily practices of the operators who, in a more or less assenting, controlling and disciplining the people hosted, shape their conduct. Therefore, in the daily life of the structures in which the situations described are involved, the principles of freedom, inclusion and autonomy supported by the rhetoric of reception system are governed by a neoliberal logic of citizenship that suggests the criteria to distinguish, in the same integration paths, who is more worthy than other beneficiaries (Van Haken, 2008). Although the case study highlights strong contradictions and weaknesses that come to life in the implementation of the SPRAR model, it also shows the realization of a good reception. That which, despite being included in an extremely complex context such as Rome, attempts to oppose the "logic of large numbers and profits" of large cooperatives and which implements functional inclusion paths to achieve the objectives. Alignment and consistency with the guidelines and the SPRAR operating manual, in fact, allow the construction of a real project of individualized socio-economic integration for the person hosted. Only by acting in a widespread manner on the territory, in apartments or small centres, the genesis of new forms of borders beyond those already present is avoided. In fact, through this management most of the risks identified are eliminated or at least reduced, precisely because the "trajectory of opportunities" of risk (Reason, 1997) towards unfavourable outcomes generally develops within large collective centres. References Battistelli Fabrizio, Farruggia Francesca, Galantino Maria Grazia and Ricotta Giuseppe. 2016. "Affrontarsi o Confrontarsi? Il "Rischio" Immigrati sulla Stampa Italiana e nella Periferia di Tor Sapienza a Roma". Sicurezza e Scienze Sociali 1:86-112. Battistelli Fabrizio e Galantino Maria Grazia. 2018. "Dangers, Risks and Threats: An Alternative Conceptualization to the Catch-All Concept of Risk". Current Sociology 1-15. Czarniawska Barbara. 2000. Narrare l'organizzazione. La costruzione dell'identità istituzionale. Tr.it. Torino: Edizioni di Comunità. Crespi Franco. 1985. Le vie della sociologia. Bologna: Il Mulino. IDOS in partnership with Confronti. 2017. Dossier Statistico Immigrazione 2017. Roma: Inprinting srl. IDOS. 2016. "INTRA MOENIA. Il Sistema di Accoglienza per Rifugiati e Richiedenti Asilo in Italia nei Rapporti di Monitoraggio Indipendenti". Affari Sociali Internazionali IV (1-4). Lunaria. 2016. Il mondo di dentro. Il sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati a Roma. (https://www.lunaria.org/wp-content/uploads/2016/10/Il_mondo_di_dentro.pdf). Olivieri Maria Silvia. 2011. "L'accoglienza frantumata sotto il peso dell'«emergenza»", pp. 35-44 in Lunaria. 2011. Cronache di ordinario razzismo. Secondo libro bianco sul razzismo in Italia. Roma: Edizioni dell'Asino. Piccardo Claudia and Benozzo Angelo. 1996. Etnografia organizzativa. Una proposta di metodo per l'analisi delle organizzazioni come culture. Milano: Raffaello Cortina Editore. Reason James. 1997. Managing the Risks of Organisational Accidents. London: Ashgate Publishing Company. Vacchiano Francesco. 2011. "Discipline della Scarsità e del Sospetto: Rifugiati e Accoglienza nel Regime di Frontiera". Lares LXXVII (1): 181-198. Van Aken Mauro. 2008. Rifugio Milano. Vie di fuga e vita quotidiana dei richiedenti asilo. Roma: Carta. Weber Max. 1922. Economia e Società. Tr.it. Milano: Edizioni di Comunità.
La presente indagine intende esaminare i caratteri ed il ruolo assunti dall'istituto del rinvio pregiudiziale e dall'attivazione in funzione consultiva delle Corti internazionali rispetto all'impatto sull'ordinamento giuridico cui si rivolgono le competenze dell'organo giurisdizionale sovranazionale. L'occasione per l'elaborazione di una nuova indagine in materia, è sorta in virtù dell'avvenuta approvazione da parte del Comitato dei Ministri del Consiglio d'Europa del Protocollo n. 16 alla Convenzione Europea dei Diritti dell'Uomo, il 10 luglio del 2013 . Il Protocollo introduce la previsione di un nuovo potere consultivo da attribuire alla Corte Europea dei Diritti dell'Uomo, permettendo alle più alte Corti di un'Alta Parte contraente di richiedere alla Corte di Strasburgo pareri consultivi su questioni di principio inerenti l'interpretazione o l'applicazione dei diritti e delle libertà fondamentali garantiti dalla Convenzione Europea dei Diritti dell'Uomo e dai protocolli allegati. L'istituto del parere consultivo introdotto dal Protocollo in parola presenta profili di somiglianza ed altri di differenziazione rispetto all'istituto del rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia dell'Unione Europea, contemplato ai sensi dell'articolo 267 del Trattato sul Funzionamento dell'Unione Europea. L'indagine adotta il metodo comparatistico per esaminare i modelli di rinvio pregiudiziale contemplati rispetto alle organizzazioni internazionali considerate, avendo cura di analizzare il ruolo assunto dal rinvio pregiudiziale nel rafforzamento del meccanismo di cooperazione tra giudici nazionali e giurisdizioni internazionali. L'esigenza di dar conto della varietà delle esperienze giurisdizionali nell'abito delle quali è in discussione l'esercizio della funzione consultiva, giustifica l'opportunità di estendere l'oggetto di cognizione del presente lavoro di tesi a sistemi giuridici nell'ambito dei quali l'attivazione in funzione consultiva della Corte internazionale non può dirsi attuativa di alcun rapporto dialogico tra giudice domestico e giurisdizione sovranazionale; è in questa prospettiva che si è trattato della funzione consultiva attribuita alla Corte Interamericana dei diritti dell'uomo ed alla Corte Internazionale di Giustizia, non attivabili per iniziativa dell'organo giurisdizionale nazionale. Quanto precisato è funzionale alla soddisfazione dello scopo ultimo del presente elaborato: fornire una valutazione comparata dell'impatto che tanto il rinvio pregiudiziale alle Corti internazionali quanto la loro attivazione in funzione consultiva, producono sul rafforzamento del processo di integrazione delle organizzazioni internazionali di riferimento. La presente indagine non ha la presunzione di esaurire l'analisi delle esperienze maturate rispetto ai modelli di attribuzione della funzione consultiva all'organo giurisdizionale sovranazionale, né rispetto all'istituto del rinvio pregiudiziale di cui si dotino le organizzazioni internazionali; si pone invece l'obiettivo di esaminare i connotati che, in sede di applicazione dell'istituto del rinvio pregiudiziale o di attivazione in funzione consultiva, siano espressione delle specificità caratterizzanti i sistemi considerati ovvero consentano di rilevare l'esistenza di modelli giuridici efficienti, perciò altrove applicabili. Non sarebbe stato possibile, per ragioni che addicono allo scopo del presente elaborato, oltreché per la varietà dei modelli predisposti con riferimento all'istituto del rinvio pregiudiziale ed all'attivazione in funzione consultiva delle Corti internazionali, fornire un esame complessivamente esaustivo delle esperienze in materia sviluppate. La scelta dei modelli da esaminare ha tenuto conto dei sistemi giuridici la cui trattazione meglio consentisse di orientare questo lavoro di tesi all'obiettivo volto a fornire una valutazione comparata ed evidente dell'impatto che il rinvio pregiudiziale alle Corti internazionali e la loro attivazione in funzione consultiva, riverberano sul consolidamento del processo di integrazione delle organizzazioni internazionali di riferimento. A questo proposito, ad esempio, non si è provveduto all'esame della competenza pregiudiziale riconosciuta al Tribunale andino, pressoché equiparabile alla competenza pregiudiziale riconosciuta alla Corte di Giustizia dell'Unione Europea. Per l'esiguità numerica e la scarsa significatività delle pronunce pregiudiziali emesse, non si è invece dato conto della competenza pregiudiziale attribuita alla Corte Centroamericana di giustizia; è opportuno precisare, al contrario, che l'esiguità numerica delle opinioni rese dal Tribunale Permanente di Revisione, non ha costituito ragione di esclusione dal presente elaborato della funzione consultiva attribuita Tribunale, specie in forza dell'esistenza del progetto presentato dal Parlamento del MERCOSUR, volto alla creazione di una vera e propria Corte di Giustizia, a tale organo giurisdizionale si intende attribuire il ruolo di interprete uniforme del diritto dell'integrazione. A fronte del ruolo concretamente marginale assunto dal rinvio pregiudiziale, l'analisi della Corte Caraibica di Giustizia è apparsa opportuna in relazione al carattere imprescindibile del contributo apportato dal rinvio pregiudiziale rispetto all'elaborazione di principi capaci di incidere sul processo di integrazione, manifestamente arretrato nell'esperienza regionale assunta a modello. Le esperienze maturate nell'ambito delle organizzazioni internazionali sorte nel continente europeo e nel continente americano, sono state capaci di dar vita a meccanismi giurisdizionali più evoluti e sofisticati, in quanto riconducibili a tempi più estesi di gestazione. Esperienze di competenza pregiudiziale o di attivazione dell'organo giurisdizionale sovranazionale in funzione consultiva, tuttavia, si sono certamente avviate anche con riferimento ai sistemi giurisdizionali riconducibili alle organizzazioni regionali appartenenti ad altre aree geografiche, quali, ad esempio, quelle del continente africano. Sul piano dell'attivazione in funzione consultiva, è possibile ricordare la procedura di consultazione facoltativa della Corte comune di giustizia ed arbitrato istituita nell'ambito della Organisation pour l'harmonisation en Afrique du droit des affaires (OHADA), competente ad assicurare l'interpretazione e l'applicazione uniforme del diritto commerciale nell'ambito degli ordinamenti degli Stati parte dell'organizzazione. Tuttavia, non è all'attivazione in funzione consultiva della Corte comune di giustizia, preclusa agli organi giurisdizionali nazionali statuenti in Cassazione, che si rimette il processo di uniforme applicazione del diritto regionale, quanto invece all'esercizio della funzione tipicamente giurisdizionale: qualora nell'ambito del processo per cassazione dinanzi alla suprema corte nazionale sia sollevata una questione di interpretazione o applicazione del diritto OHADA, l'organo giurisdizionale nazionale dovrà sospendere il processo e rimettere la questione alla Corte comune di giustizia ed arbitrato, competente in quel caso a conoscere l'intero ricorso per cassazione. Quanto ai modelli di competenza pregiudiziale maturati nel continente africano, possono essere ricordate la procedura di rinvio pregiudiziale facoltativo alla Corte di Giustizia della Economic Community of Western African States (ECOWAS), la procedura di rinvio pregiudiziale obbligatorio al Tribunale istituito nell'ambito della Southern African Development Community (SADC), cui si associa la mancata previsione di procedure di infrazione volte a sanzionare violazioni del dovere di rinvio pregiudiziale. Sono altresì investite della funzione pregiudiziale, il cui esercizio fa seguito al rinvio pregiudiziale obbligatorio: la Corte di giustizia dell'Africa orientale, istituita nell'ambito della East African Community (EAC), la Corte di giustizia del Common Market for Eastern and Southern Africa (COMESA), la Corte di giustizia della Union économique et monétaire ouest-africaine (UEMOA), la Corte di giustizia istituita nell'ambito della Communauté Économique et Monétaire de l'afrique centrale (CEMAC); nell'ambito delle appena menzionate esperienze di integrazione regionale, sono contemplate procedure di infrazione azionabili in caso di violazione del dovere di rinvio pregiudiziale . L'elaborato si articolerà in quattro capitoli. Il capitolo primo sarà dedicato all'esame della funzione consultiva che il Protocollo n. 16 allegato alla Convenzione Europea dei Diritti dell'Uomo ha attribuito alla Corte Europea dei Diritti dell'Uomo ed al corrispettivo istituto del parere consultivo; provveduto alla contestualizzazione delle ragioni che hanno condotto all'adozione dello strumento in parola, l'elaborato esaminerà le conseguenze che deriverebbero dalla ratifica del presente Protocollo, sia con riferimento agli effetti sui procedimenti giurisdizionali nazionali pendenti, sia alla luce del precario equilibrio che connota il funzionamento del sistema giurisdizionale della Corte di Strasburgo. Il capitolo intenderà altresì prospettare l'impatto che l'attivazione in funzione consultiva della Corte Europea dei Diritti dell'Uomo, sarebbe suscettibile di produrre sulla relazione intercorrente tra la Corte di Strasburgo ed il giudice domestico e discuterà della possibilità di ravvisare nel Protocollo in parola, il meccanismo di raccordo tra la Corte Europea dei Diritti dell'Uomo e la Corte di Giustizia dell'Unione Europea. Il capitolo secondo sarà dedicato al confronto tra il ruolo assunto dal rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia dell'Unione Europea e gli effetti dell'attivazione in funzione consultiva della Corte Europea dei Diritti dell'Uomo; tramite l'individuazione delle specificità connotanti i rispettivi istituti, verrà esaminato l'impatto che l'emissione del rinvio pregiudiziale o del parere consultivo, producono sul giudice remittente oltreché rispetto alla formazione di definiti indirizzi giurisprudenziali, validi in funzione orientativa per gli organi giurisdizionali che in futuro siano investiti della soluzione di analoghe questioni. Il capitolo terzo si proporrà di esaminare le specificità che connotano il rinvio pregiudiziale e l'attivazione in funzione consultiva nel panorama di altre Corti internazionali, con riferimento al ruolo a questo proposito assunto dall'organo giurisdizionale sovranazionale nel sistema dell'organizzazione internazionale di riferimento. Il terzo capitolo sarà articolato in sei paragrafi. Il paragrafo primo del capitolo terzo esaminerà l'istituto del rinvio pregiudiziale nell'ambito delle funzioni giurisdizionali assunte dalla Corte di Giustizia del BENELUX; tracciati gli aspetti connotanti dell'istituto, indicati i soggetti legittimati alla proposizione del rinvio e gli effetti che si producono in seguito al rilascio del provvedimento emesso all'esito del meccanismo pregiudiziale, l'esame sarà condotto avendo cura di confrontare l'istituto in parola con l'istituto del rinvio pregiudiziale alla Corte di Lussemburgo e con la funzione consultiva attribuita dal Protocollo n. 16 alla Convenzione Europea dei Diritti dell'Uomo alla Corte di Strasburgo. Il paragrafo secondo fornirà la complessiva trattazione dei caratteri e del ruolo assunto dalla funzione consultiva di cui è investita la Corte EFTA, nell'ambito delle funzioni giurisdizionali di cui l'organo è investito; a questo proposito l'elaborato intenderà rilevare la relazione tra l'adozione di provvedimenti giurisdizionali contrastanti con le determinazioni tracciate dal parere e l'apertura della procedura di infrazione da parte dell'Autorità di sorveglianza EFTA, a fronte del carattere non coercitivo del parere consultivo reso. Sarà altresì ravvisata l'opportunità di contestualizzare l'azione di rafforzamento costante ed equilibrato delle relazioni commerciali ed economiche che intercorrono le Parti contraenti, nella prospettiva volta ad includere la tutela dei diritti fondamentali rispetto all'azione interpretativa dell'Accordo Istitutivo dello Spazio Economico Europeo. Il paragrafo terzo sarà dedicato alla trattazione dell'istituto del rinvio pregiudiziale alla Corte Caraibica di Giustizia; l'elaborato condurrà l'indagine esaminando gli effetti che la pronuncia pregiudiziale produce rispetto all'elaborazione di principi capaci di incidere sul consolidamento del processo di integrazione regionale, dunque sulla relazione di cooperazione con i giudici nazionali, a fronte dell'impostazione dualista degli ordinamenti degli Stati membri dell'organizzazione di integrazione. Il paragrafo quarto del presente capitolo, nell'ambito dell'organizzazione di integrazione regionale del MERCOSUR, esaminerà il ruolo assunto dall'attivazione in funzione consultiva del Tribunale Permanente di Revisione, in quanto occasione per affermazioni di principio che definiscano la relazione tra l'ordinamento dell'organizzazione di integrazione e gli ordinamenti degli Stati che sono ne sono membri. Fornirà altresì menzione del progetto di revisione di origine parlamentare volto all'istituzione della Corte di Giustizia del MERCOSUR, ossia capace di rafforzare il processo di integrazione regionale, attraverso la previsione dell'istituto del rinvio pregiudiziale, perciò irrobustendo i meccanismi di relazione che intercorrono tra l'organo giurisdizionale domestico ed il Tribunale Permanente di Revisione. Il paragrafo quinto si proporrà di contestualizzare la funzione consultiva di cui è investita la Corte Interamericana dei diritti dell'uomo nel processo diretto al rafforzamento del raccordo tra il sistema convenzionale e gli ordinamenti interni; l'elaborato a tal fine rileverà i tratti connotanti del modello penetrante con cui l'organo giurisdizionale interviene adottando determinazioni interpretative del diritto di integrazione, preservando o promuovendo azioni di revisione democratica dell'ordinamento degli Stati ed il principio dello Stato di diritto, imprescindibili presupposti per lo sviluppo del processo di integrazione in sé orientato alla protezione ed alla promozione dei diritti umani. Il paragrafo sesto ed ultimo del capitolo terzo, esaminerà la funzione consultiva attribuita alla Corte Internazionale di Giustizia, nell'ambito dei mezzi giurisdizionali di soluzione delle controversie di diritto internazionale. Esporrà le ragioni che conducono ad assumere la giurisdizione consultiva a strumento indispensabile per l'accertamento delle regole di diritto internazionale, circoscrivendo la funzione accertativa agli ambiti di competenza giurisdizionale suscettibili di investire la Corte Internazionale, la cui determinazione dipende dall'identità del soggetto dotato di legittimazione attiva che intenda investire della questione l'organo giurisdizionale. Il capitolo quarto ed ultimo sarà dedicato all'esame comparato dei modelli considerati, esporrà le risultanze del processo di indagine trasversale compiuta sui modelli giuridici che contemplano l'esercizio della funzione consultiva ovvero l'istituto del rinvio pregiudiziale. Il capitolo quarto si strutturerà in tre paragrafi. Il paragrafo primo esaminerà l'istituto del rinvio pregiudiziale e la funzione consultiva attribuita alle Corti internazionali, rispetto ai soggetti legittimati all'attivazione in funzione consultiva dell'organo giurisdizionale sovranazionale ovvero alla richiesta di rinvio pregiudiziale. Il paragrafo secondo interesserà il confronto tra i modelli esaminati rispetto all'oggetto ed alla natura del pronunciamento richiesto in sede di attivazione dell'organo giurisdizionale in funzione consultiva ed in sede di proposizione del rinvio pregiudiziale. Il terzo paragrafo del capitolo quarto, sarà dedicato all'esame degli effetti prodotti dall'esercizio della funzione consultiva attribuita alle Corti internazionali considerate ed agli effetti prodotti all'esito del procedimento aperto dal rinvio pregiudiziale su l rafforzamento del processo di integrazione delle organizzazioni internazionali e con riferimento allo sviluppo del dialogo che intercorre tra il giudice domestico e l'organo giurisdizionale sovranazionale, quando allo sviluppo di quel meccanismo di cooperazione, giovi l'attivazione in funzione consultiva dell'organo in parola ovvero il provvedimento emesso all'esito del rinvio pregiudiziale, ossia nelle ipotesi in cui siano i giudici nazionali a domandare l'intervento della Corte internazionale. L'indagine si articolerà distinguendo il ruolo assunto dalla giurisdizione consultiva e dall'istituto del rinvio pregiudiziale nel processo di conservazione e rafforzamento delle organizzazioni in sé orientate alla regolamentazione degli spazi economici comuni dal ruolo assunto dalla giurisdizione consultiva e dall'istituto del rinvio pregiudiziale nel processo di rafforzamento delle organizzazioni in sé orientate alla protezione ed alla promozione dei diritti fondamentali.
Rosario Diana Istituto per la Storia del Pensiero Filosofico e Scientifico Moderno Consiglio Nazionale delle Ricerche (ISPF-CNR) rosariodiana61@gmail.com Editoriale Performative Thinking in Humanities Un Quaderno periodico Editoriale in cui si spiega che il Quaderno Think Tank PTH – Performative Thinking in Humanities diventerà una pubblicazione annuale dedicata alla disseminazione dei saperi filosofici e umanistici attraverso le arti audiovisive e musicali. Filosofia, Musica, Teatro, Impegno, Politica Fabrizio Masucci Museo Cappella Sansevero fabriziomasucci@museosansevero.it Un melologo filosofico per Raimondo di Sangro principe di Sansevero Prefazione del Presidente del Museo Cappella Sansevero al libretto e alla partitura del melologo. Velo, Cristo velato, Museo Cappella Sansevero, Teatro della Filosofia, Disseminazione Rosario Diana Istituto per la Storia del Pensiero Filosofico e Scientifico Moderno Consiglio Nazionale delle Ricerche (ISPF-CNR) rosariodiana61@gmail.com Il pensiero velato Una meditazione notturna del principe di Sansevero melologo in quattro quadri per voce recitante, voci registrate e percussioni libretto Basato sulle opere di Raimondo di Sangro e su altri testi dell'epoca concepiti nella cerchia dei cosiddetti Liberi pensatori, il libretto mette a fuoco la personalità del principe di Sansevero nel momento in cui scrive la Supplica (1753) da inviare a Benedetto XIV per chiedergli di derubricare la sua Lettera apologetica (1751) dall'Index librorum prohibitorum. Raimondo di Sangro viene presentato come un ostinato difensore della libertà di pensiero e della tolleranza. Il suo interesse per il sistema di segni del popolo peruviano (quipu) denuncia in lui un'attenzione per la scrittura, intesa come l'unico strumento concesso all'uomo per lasciare traccia di sé e guadagnare quindi una immortalità (non personale) nella fama. Pensiero critico, Tolleranza, Censura, Scrittura, Sperimentazione Rosalba Quindici Hochschule der Künste Bern rosalbaquindici@yahoo.it Il pensiero velato Una meditazione notturna del principe di Sansevero melologo in quattro quadri per voce recitante, voci registrate e percussioni score Partitura musicale del melologo. Musica contemporanea, Ricerca timbrica, Percussioni, Scrittura, Sperimentazione Rosario Diana Istituto per la Storia del Pensiero Filosofico e Scientifico Moderno Consiglio Nazionale delle Ricerche (ISPF-CNR) rosariodiana61@gmail.com Pandemia 2020 / scena deserta Breve storia di un progetto nato e mutato dall'emergenza sanitaria Il breve saggio racconta le fasi di lavorazione necessarie a produrre il video Pandemia 2020 / scena deserta, che evoca il tema dei teatri chiusi per la l'epidemia di Covid-19 ed è dedicato ad attori e musicisti in difficoltà perché rimasti senza lavoro. L'esplodere dell'emergenza sanitaria ha costretto i partecipanti a modificare il progetto mentre era in corso di svolgimento. Teatro, Video, Scenografia, Musica, Sceneggiatura Nera Prota Accademia di Belle Arti di Napoli nera.prota@yahoo.com Pensare con le mani nell'era digitale Manualità tra Information Technologies (IT) e creatività umana Nelle Accademie di Belle Arti, sempre più spesso l'information technology è proposta come un sostituto o un surrogato dello sviluppo individuale della manualità. Coloro i quali, per qualsiasi motivo, si sentono a disagio nell'usare la loro manualità, possono trovare un'apparente via di uscita nell'uso dei software. Tuttavia, questo trend rinforza la perdita di manualità impedendo alle persone di costruire un loro personale linguaggio artistico. L'aiuto delle macchine nella produzione artistica incontra un'esigenza di mercato, consolidando l'idea fittizia che la creatività umana possa essere espressa attraverso processi standardizzati. Certamente, ciò è funzionale all'interesse del mercato. Per esempio, uno dei software più usati in ambito artistico progettuale è il CAD (Computer-aided design). Il nome del software immediatamente svela la relazione asimmetrica con l'utente. In molti casi, software come il CAD possono interagire direttamente con altre macchine complesse (ossia macchine a controllo numerico) per intraprendere attività di larga scala ed estrema precisione. In questo saggio, l'autrice ricerca il confine tra la produzione industriale e la creatività umana in ambito artistico, sfatando in questo modo alcune ambiguità sul ruolo che la tecnologia ricopre nella società. Design, Virtuale, Arte, Tecnologia, Didattica Benedetta Tramontano Accademia di Belle Arti di Napoli bene_98@hotmail.it Ricerca stilistica e scelte personali Tecla: un'evocazione visuale in tre bozzetti di una città invisibile di Italo Calvino Nel contributo si descrivono le modalità seguite nel dare una raffigurazione fantastica – dunque soggettivo-prospettica – di una delle città invisibili di Italo Calvino: Tecla, la metropoli-cantiere. L'Autrice ha deliberatamente scelto il disegno e la colorazione a mano libera, rifiutandosi di utilizzare software di disegno digitale. Acquerello, china, bozzetto, colore, disegno digitale Rosario Diana Istituto per la Storia del Pensiero Filosofico e Scientifico Moderno Consiglio Nazionale delle Ricerche (ISPF-CNR) rosariodiana61@gmail.it Giancarlo Turaccio Conservatorio Statale di Musica di Salerno "Antonio Martucci" giancarlo.turaccio@gmail.com Un ascolto iniziatico Conversazione tra un filosofo e un compositore sulla musica acusmatica Un ricercatore di filosofia e un docente di composizione dialogano sulla musica acusmatica, ossia quella proposta (anche in concerto) in assenza della sua fonte sonora. La discussione ricostruisce brevemente la storia del concetto e mette in evidenza l'importanza dell'ascolto "puro", fondato sulla relazione diretta fra l'orecchio e l'oggetto sonoro. Pitagorici, Pierre Schaeffer, Walter Benjamin, Oggetto sonoro, Spazializzazione del suono Gianvincenzo Cresta Conservatorio Statale di Musica di Avellino "Domenico Cimarosa" gianvincenzo.cresta@conservatoriocimarosa.org Ricordo di Bruno Maderna (1920-1973) a cento anni dalla nascita Del canto immobile Qualche riflessione su Per Caterina di Bruno Maderna per violino e pianoforte Spesso nell'indagine storico analitica su un compositore si cerca una sintesi e ci si focalizza su alcune opere ritenendole maggiormente rappresentative. È una via possibile che però delimita l'identità del compositore, piegandolo a una narrazione semplificata, mentre invece il cammino creativo di un artista è un complesso caleidoscopio. Per Caterina di Bruno Maderna è un breve brano per violino e pianoforte composto nel 1963, il cui esito, pur ponendosi in rottura rispetto ad altre sue opere e agli stilemi stilistici degli anni '50 e '60, si colloca con naturalezza nell'arco creativo dell'autore. È un brano emblematico del suo modo di vivere la musica come fenomeno unitario, senza steccati stilistici e categorizzazioni. La retorica è per Maderna un mezzo e non un'estetica e la musica un'esperienza complessa che mescola al sonoro il percettivo, il motorio e l'emozionale. Afferma Maderna: «la musica non può essere che un fatto espressivo, un suono suscita reazioni e i suoni non sono che mezzi». Identità, Canto, Antico, Modernità, Libertà Tommaso Rossi Conservatorio Statale di Musica di Benevento "Nicola Sala" info@tommasorossi.it Una grande Aulodìa Flauto e oboe nella "melodia arcaica" di Bruno Maderna Nella variegata e copiosa produzione musicale di Bruno Maderna la scelta di dedicare una particolare attenzione al flauto e all'oboe – i due più acuti rappresentanti della famiglia dei "legni" – sembra andare oltre il pur comprensibile interesse del compositore per l'indagine timbrica di due affascinanti strumenti, ma è legato a ragioni più profonde, che risiedono in aspetti fondanti della poetica musicale del compositore. Il flauto e l'oboe sono "gli" strumenti della mitologia classica, e il loro suono particolare rimanda immediatamente alla Grecia antica, alla civiltà che il popolo greco ha creato e al culto della bellezza che ne è scaturito, influenzando il corso della storia dell'Occidente. Maderna guarda, attraverso il suono di questi strumenti, a questo mondo – oggi perduto – con il preciso desiderio di riproporre utopicamente, in una modernità segnata dalla violenza delle macchine e nel contesto di una società disumanizzata, un ideale superiore ma irraggiungibile di armonia. Attraverso l'analisi di molti dei lavori scritti da Maderna, che hanno per protagonisti il flauto e l'oboe, l'autore ricostruisce alcuni aspetti dell'estetica maderniana. Hyperion, Musica su due dimensioni, Grande Aulodia, Don Perlimplìn, Terzo concerto per oboe Rossella Gaglione Università degli Studi di Napoli Federico II rossellagaglione@hotmail.com Discorsi tra Eco e Narciso A proposito di un recente libro di Dario Giugliano Che rapporto c'è tra ίδιοςe κοινός? E come possono la filosofia (nello specifico la metafisica) e la letteratura coniugare questi due termini? Quanto è difficile, e allo stesso tempo necessario, comunicare con l'Altro, cioè trasferire la propria voce singolare all'interno del sistema segnico condiviso affinché possa essere compresa? Che cos'è l'esperienza? Cosa si intende per idiotismo? Com'è possibile leggere il mito di Eco e Narciso? Questi e altri interrogativi sono alla base del testo di Giugliano che – grazie anche al confronto con vari pensatori (tra cui Platone, Novalis e Nietzsche) – offre numerosi e interessanti spunti di riflessione. Idiotismo, comunicazione, esperienza, Filosofia, linguaggio ; Rosario Diana Istituto per la Storia del Pensiero Filosofico e Scientifico Moderno Consiglio Nazionale delle Ricerche (ISPF-CNR) rosariodiana61@gmail.com Editorial Performative Thinking in Humanities A Periodical Book Editorial explaining that the Book Think Tank PTH – Performing Thinking in Humanities will become an annual publication dedicated to the dissemination of philosophical and humanistic knowledge through the visual and musical arts. Philosophy, Music, Theater, Commitment, Politics Fabrizio Masucci Museo Cappella Sansevero fabriziomasucci@museosansevero.it A Philosophical Melologue for Raimondo di Sangro principe di Sansevero Preface by the President of the Sansevero Chapel Museum to the libretto and score of the melologue. Veil, Veiled Christ, Sansevero Chapel Museum, Philosophy Theater, Dissemination Rosario Diana Istituto per la Storia del Pensiero Filosofico e Scientifico Moderno Consiglio Nazionale delle Ricerche (ISPF-CNR) rosariodiana61@gmail.com The Veiled Thought A Nocturnal Meditation by the Prince of Sansevero melologue in four scenes for narrating voice, recorded voices and percussion libretto Based on the works of Raimondo di Sangro and on other texts of the circle of the Free Thinkers, the libretto focuses on the personality of the Prince of Sansevero when he writes the Supplica (1753) for Benedict XIV. In it he ask him to delete his Lettera apologetica (1751) from the Index librorum prohibitorum. Raimondo di Sangro is presented as an obstinate defender of freedom of free thought and tolerance. His interest in the system of signs of the Peruvian people (quipu) denounces in him an attention to writing, which – understood as a trace of an existence – can guarantee immortality in fame. Critical Thinking, Tolerance, Censorship, Writing, Experimentation Rosalba Quindici Hochschule der Künste Bern rosalbaquindici@yahoo.it The Veiled Thought A Nocturnal Meditation by the Prince of Sansevero melologue in four scenes for narrating voice, recorded voices and percussion partitura musicale Score of the melologue. Contemporary music, Timbric Research, Percussion, Writing, Experimentation Rosario Diana Istituto per la Storia del Pensiero Filosofico e Scientifico Moderno Consiglio Nazionale delle Ricerche (ISPF-CNR) rosariodiana61@gmail.com Pandemic 2020 / Deserted Scene A Brief History of a Project that the Pandemic has changed The short essay describes the processing steps to produce the video Pandemic 2020 / deserted scene, which evokes the theme of closed theaters because of the Covid-19 epidemic and is dedicated to actors and musicians in difficulty, because without work. The explosion of the health emergency forced the participants to modify the project while it was in progress. Theater, Video, Scenography, Music, Screenplay Nera Prota Accademia di Belle Arti di Napoli nera.prota@yahoo.com Thinking with Hands in the Digital Age Crafting Art Amidst Information Technology (IT) and Human Creativity In Art Academies, IT is increasingly proposed as a substitute or a surrogate to developing individual crafting abilities. Those that, for any reasons, feel uncomfortable using their hands can easily find in computer applications an apparent way-out. However, this trend reinforces hands disability preventing individuals to build their own personal artistic language. Machine support in art crafting meets a growing market demand ushering in the fictitious idea that human creativity can be achieved through standardized processes. This is of course functional to market interests. For example, one of the most popular software is used in art design is CAD (Computer-Aided Design). The name itself highlights the asymmetric relation with the user. In many cases software like CAD can directly interact with other complex machines (i.e., numeric control machines) to undertake large-scale, precision tasks. In this essay, the Author will search the boundary between industrial production and human creativity, thus debunking some ambiguity about the role of technology in society. Design, Virtual, Art, Technology, Didactics Benedetta Tramontano Accademia di Belle Arti di Napoli bene_98@hotmail.it Stylistic Research and Personal Choices Tecla: A Visual Evocation in Three Sketches of an Invisible City by Italo Calvino The contribution describes the methods followed in giving a fantastic – therefore subjective-perspective – representation of one of Italo Calvino's invisible cities: Tecla, the building site-city. The Author has deliberately chosen freehand drawing and coloring, refusing to use digital drawing software. Watercolor, Ink, Sketch, Color, Digital Drawing Rosario Diana Istituto per la Storia del Pensiero Filosofico e Scientifico Moderno Consiglio Nazionale delle Ricerche (ISPF-CNR) rosariodiana61@gmail.it Giancarlo Turaccio Conservatorio Statale di Musica di Salerno "Antonio Martucci" giancarlo.turaccio@gmail.com An Initiatory Listening Conversation between a Philosopher and a Composer about Acousmatic Music A philosophy researcher and a professor of composition talk about acousmatic music, which is proposed (even live) in the absence of her sound source. The discussion briefly reconstructs the history of the concept and highlights the importance of "pure" listening, which is based on the direct relationship between the ear and the sound object. Pythagoreans, Pierre Schaeffer, Walter Benjamin, Sound Object, Spatialization of Sound Gianvincenzo Cresta Conservatorio Statale di Musica di Avellino "Domenico Cimarosa" gianvincenzo.cresta@conservatoriocimarosa.org Memory of Bruno Maderna (1920-1973) One Hundred Years After his Birth On Steady Song Some Reflections on Per Caterina by Bruno Maderna for Violin and Piano In the analytic historical survey of a composer we usually look for a synthesis and we focus on some works that are considered more representative. It is a possible way but that can restrict the identity of the composer, bending it to a simplified narrative whereas the creative journey of an artist is a complex kaleidoscope. Per Caterina by Bruno Maderna is a short piece for violin and piano composed in 1963, and despite being in contrast with his other works and stylistic styles of the '50s and '60s, it is naturally placed in the creative arc of the author. It is an emblematic piece of his way of experiencing music as a unitary event, without stylistic fences and categorizations. Rhetoric is for Maderna a means and not an aesthetic and music is a complex experience that mixes sound with the perception, the motor and the emotional. Maderna says: «Music can only be an expressive fact, a sound that elicits reactions and sounds are only a means». Identity, Song, Ancient, Modernity, Freedom Tommaso Rossi Conservatorio Statale di Musica di Benevento "Nicola Sala" info@tommasorossi.it Una grande Aulodìa The Flute and the Oboe in Bruno Maderna's "Arcaic Melody" In Bruno Maderna's varied and copious musical production, the choice to devote particular attention to the flute and the oboe – the two highest pitched members of the "woodwind" family – seems to go beyond the composer's understandable interest in the timbre investigation of two fascinating instruments, but it is linked to deeper reasons, which reside in fundamental aspects of the composer's musical poetics. The flute and the oboe are "the" instruments of classical mythology. Their particular sound immediately recalls ancient Greece, the civilization that the Greeks founded, with its inherent cult of beauty, which influenced the whole history of Western civilization. Through the sound of these instruments, Maderna looks at this world – now lost – with the precise desire to re-propose utopically–in a modernity marked by the violence of machines and in the context of a dehumanized society–a superior but unattainable ideal of harmony. Through the analysis of many of his works, which feature the flute and the oboe, the author reconstructs some aspects of Maderna's aesthetics. Hyperion, Musica su due dimensioni, Grande Aulodia, Don Perlimplìn, Terzo concerto per oboe Rossella Gaglione Università degli Studi di Napoli Federico II rossellagaglione@hotmail.com Talkbetween Echo and Narcissus About a Recent Book by Dario Giugliano What is the relationship between ίδιος and κοινός? And how can philosophy (specifically metaphysics) and literature combine these two terms? How difficult is, and at the same time necessary, communicate with Other, that is to transfer one's singular voice in the shared sign system for this voice can be understood? What is experience? What is idiotism? What about the myth of Echo and Narcissus? These questions and other ones are the basis of Giugliano's text which – thanks also to the comparison with various thinkers (including Plato, Novalis and Nietzsche) – offers numerous interesting food for thought. Idiotism, Communication, Experience, Philosophy, Language
Il portentoso successo ottenuto dai Beatles negli U.S.A. aprì il mercato americano a molte band della scena musicale britannica. Qualsiasi cosa avesse un sapore "british" divenne immediatamente interessante agli occhi del pubblico americano. Questo fenomeno noto come "British Invasion" costituisce il contesto entro il quale si muove la ricerca in oggetto: descrivere in che modo e per quali ragioni il blues venne riscoperto e reinterpretato da musicisti bianchi, quali conseguenze ciò abbia avuto nel ridefinire i canoni del genere, e quale sia stato il contributo specifico del blues revival inglese. Nel primo capitolo viene descritta la diffusione del jazz in Gran Bretagna a partire dalla fine degli anni '10 del XX secolo. Il Jazz in Inghilterra, nonostante sia stato osteggiato dalle componenti più conservatrici della società britannica, poco supportato dai media istituzionali come la BBC, ed intralciato dagli effetti della crisi economica degli anni '30, ha potuto radicarsi e diffondersi in Gran Bretagna grazie alle capacità organizzative messe in campo dai seguaci del jazz che furono in grado di crearsi un proprio spazio e un proprio mercato di riferimento attraverso la fondazione di associazioni come i Rhythm Club, riviste, negozi specializzati, piccole etichette indipendenti e perfino band musicali. Tra gli anni '30 e '40 il dibattito tra i modernisti sostenitori del be-pop e i tradizionalisti sostenitori dell'hot jazz degli anni '20 favorì la nascita di un interesse specifico per il blues. Per meglio definire a quale stile di jazz assegnare la palma dell'autenticità molti appassionati di jazz si volsero ad approfondire la conoscenza e lo studio della musica afroamericana nel suo complesso e in particolare del blues visto come un precursore del jazz. Il blues revival, quindi, fu un movimento che prese le mosse dall'ambito del jazz inglese per poi svilupparsi autonomamente. Nella seconda parte del capitolo (3 e 4 paragrafo) si è cercato di mettere in evidenza le continuità e le discontinuità esistenti tra il mondo del jazz e del blues in Inghilterra. I seguaci del blues, infatti, si trovarono a dover affrontare problematiche molto simili a quelle dei loro predecessori del jazz come ad esempio la scarsità di materiale discografico e dettero risposte organizzative similari. In particolare il mondo del blues revival ereditò da quello del jazz un approccio alla musica serio e compito alimentato da un forte elemento ideologico incentrato sul concetto di autenticità musicale. Il secondo capitolo descrive l'influenza che ebbe la diffusione delle popular music americana sui teenager inglesi degli anni '50 e come ciò abbia portato molti giovani britannici a conoscere il blues e a praticarlo assieme ad un vasto ventaglio di stili e generi della musica popolare americana ponendo così le basi per quella originale rielaborazione della musica americana che costituì uno dei punti di forza della British Invasion. Ampio spazio è dedicato a collocare la diffusione di generi musicali come il rock 'n' roll e lo skiffle nella cornice dei profondi cambiamenti economici, sociali, e di costume che caratterizzarono l'Inghilterra del dopoguerra e come questi impattarono sulle culture giovanili. Il terzo capitolo si occupa di delineare la crescita del movimento di blues revival inglese nei primi anni '60 seguendo la fondazione e i primi passi di alcune band storiche del blues-rock britannico. L'accento è posto sul rapporto pedagogico che si era venuto a creare tra gli artisti americani che andavano ad esibirsi in Inghilterra e i giovani musicisti britannici che li accompagnavano durante i tour. Una sezione importante del capitolo si sforza di mettere in evidenza i rapporti tra il mondo del folk revival britannico e la prima fase prettamente acustica del blues revival inglese e come la svolta elettrica del blues britannico, ispirata dai rappresentati del Chicago Blues come Muddy Waters, e portata avanti da pionieri come Alexis Korner, Cyril Davies, Chris Barber abbia favorito un distacco precoce del il blues britannico da una visione purista del blues di derivazione folk che vedeva prevalentemente, se non unicamente, nel blues acustico l'unico vero ed autentico blues. Il quarto capitolo sposta la sua attenzione sugli Stati Uniti d'America e cerca di evidenziare alcune essenziali differenze e punti d'incontro tra il blues revival americano e quello britannico a partire dal ruolo del rock 'n' roll che in America fu più un ostacolo che un elemento di promozione del blues presso i giovani bianchi. Il blues revival in America rimase più a lungo legato al mondo del folk revival che aveva sviluppato una concezione estremamente purista del blues legandolo ad un canone acustico e rurale. Il legame più stretto del blues revival americano con l'ambiente del folk dipese da vari fattori ambientali e politici. La scoperta del blues da parte dei bianchi in America avvenne, molto più che in Inghilterra, attraverso l'opera di folcloristi e intellettuali delle controculture che vedevano nella musica elettrica un espediente usato dall'industria musicale per creare musica artificiale ed inautentica. Inoltre, la musica folk, che godette di un rinnovata popolarità tra la fine degli anni '50 e i primi anni '60, divenne la colonna sonora di tutti quei movimenti di protesta neri e bianchi che, soprattutto nei primi anni '60, erano favorevoli ad una soluzione integrazionista del problema razziale americano e vedevano quindi positivamente la promozione della cultura afroamericana. Il Newport Folk Festival fu l'evento che alimentò maggiormente questa visione folclorica del blues che tuttavia nascondeva un approccio colonialista alla cultura afroamericana da parte dei bianchi che pur la promuovevano. Proprio al Newport Folk Festival, in occasione dell'esibizione di Bob Dylan del 1965, emerse in piena luce lo scontro tra la visione purista del blues propria del canone folk e la visione modernista incarnata dalla Paul Butterfield Blues band, nella quale suonavano dei ragazzi bianchi di Chicago che avevano oltrepassato i confini razziali della società americana ed erano andati nei quartieri afroamericani per imparare il blues dai maestri del genere. L'incidente di Newport rese famosa la Paul Butterfield blues band e dette un forte impulso allo stile elettrico del blues bianco, ma fu principalmente in Inghilterra che il blues elettrico venne consacrato come uno stile di blues autentico e fondativo dei generi moderni come il Rhythm & Blues,il Rock 'N' Roll e la nascente musica rock. La maggiore libertà espressiva che visse la stagione matura del blues revival in Inghilterra dovuta ad una minore interdipendenza con il mondo del folk e una diversa percezione del problema razziale da parte dei giovani inglesi portò il blues bianco praticato dai britannici verso uno sviluppo virtuosistico e sperimentale che ben presto portò le principali band del blues-rock britannico ad abbandonare il genere entro la fine degli anni '60. Tuttavia prima che ciò avvenisse il blues-rock interpretato dai guitar hero britannici scalò le classifiche americane sulla scia della strada aperta dai gruppi della British Invasion e si legò alla musica psichedelica e alla cultura hippie. Il blues elettrico e virtuosistico praticato nella musica rock contribuì enormemente a far scoprire ai giovani bianchi americani e britannici il blues e suoi principali artisti. Tuttavia, come si resero conto gli stessi musicisti afroamericani che cominciarono ad esibirsi di fronte ad un pubblico bianco, il blues stesso subì una trasformazione in conseguenza della sua crescente popolarità presso il pubblico bianco. Il blues reinterpretato dai giovani bianchi tendeva a favorire il virtuosismo strumentale rispetto a quello vocale, ponendo al centro della scena la chitarra elettrica. Inoltre il blues venne reinterpretato secondo certi propri della cultura bianca occidentale. I musicisti ed il pubblico amavano il blues come una musica emozionale funzionale a soddisfare le proprie esigenze individualistico-esistenziali tendendo a mettere da parte elementi importanti della storia del genere come le interpreti femminili; i critici e gli studiosi cercavano di definire un canone in base al quale stabilire quale fosse l'autentico blues scevro da influenze commerciali ma così facendo lo estraniavano dalla sua storia e dai legami con la comunità afroamericane all'interno delle quali si era sempre trasformato ed evoluto in risposta ad esigenze e stimoli che furono anche di natura commerciale. L'industria discografica, infine, cercava di sfruttare l'interesse dei giovani rocker per il blues producendo album ed eventi live dove i giovani musicisti rocker suonavano e si esibivano coi i "padri nobili" del blues. D'altra parte il blues ha potuto acquisire una grande popolarità al di fuori della comunità afroamericana e del continente americano divenendo un genere musicale apprezzato e praticato in tutto il mondo ancora ai nostri giorni grazie al rock che lo ha celebrato come un suo nobile antesignano. The prodigious success of the Beatles in the U.S.A. paved the way for the American market for many bands and single artists from the British pop and rock music scene. Anything with a "British" flavor and accent immediately became interesting to the American public. Literature, theater, fashion, design, cinema, tourism, music: there was no sector of popular culture that was not affected to some extent by the British craze. This phenomenon known as the "British Invasion" constitutes the basic context within which the research in question moves: describe through what processes and for what reasons the blues was rediscovered and reinterpreted by scholars, folklorists and white musicians, what consequences this had in redefining the canons of the genre and what was the specific contribution of the English blues revival. The first chapter describes the spread of jazz in Great Britain starting from the late 10s of the twentieth century. Jazz in England, despite being opposed by the more conservative components of British society, poorly supported by institutional media such as the BBC, and hampered by the effects of the economic crisis of the 1930s, was able to take root and spread in Great Britain thanks to its organizational skills fielded by the followers of jazz who were able to create their own space and their own reference market through the foundation of associations such as the Rhythm Clubs, magazines, specialized shops, small independent labels and even music bands. Between the 1930s and 1940s the debate between the modernist supporters of be-pop and the traditionalist supporters of hot jazz of the 1920s favored the emergence of a specific interest in the blues. To better define which style of jazz to award the palm of authenticity, many jazz enthusiasts turned to deepen their knowledge and study of African American music as a whole and in particular of blues seen as a precursor of jazz. The blues revival, therefore, was a movement that took off from the field of English jazz and then developed independently. In the second part of the chapter (3 and 4 paragraphs) we tried to highlight the continuities and discontinuities existing between the world of jazz and blues in England. The followers of the blues, in fact, found themselves having to face problems very similar to those of their jazz predecessors such as the scarcity of record material and gave similar organizational responses. In particular, the world of blues revival inherited from that of jazz a serious and demanding approach to music fueled by a strong ideological element centered on the concept of musical authenticity. The second chapter describes the influence that the spread of American popular music had on the British teenagers of the 1950s and how this led many young British people to learn about the blues and to practice it along with a wide range of styles and genres of American popular music laying thus the foundation for that original reworking of American music which constituted one of the strengths of the British Invasion. Ample space is dedicated to placing the diffusion of musical genres such as rock 'n' roll and skiffle in the context of the profound economic, social, and customs changes that characterized post-war England and how these impacted youth cultures. The third chapter deals with outlining the growth of the English blues revival movement in the early 1960s following the foundation and first steps of some historic British blues-rock bands. The emphasis is on the pedagogical relationship that had arisen between the American artists who went to perform in England and the young British musicians who accompanied them on tour. An important section of the chapter endeavors to highlight the relationship between the world of British folk revival and the purely acoustic first phase of the English blues revival and as the electric breakthrough of British blues, inspired by Chicago Blues performers such as Muddy Waters, and carried out by pioneers such as Alexis Korner, Cyril Davies, Chris Barber, favored an early detachment of the British blues from a purist vision of folk-derived blues that saw mainly, if not solely, the only true and authentic blues in acoustic blues. The fourth Chapter shifts its attention to the United States of America and tries to highlight some essential differences and meeting points between the American and British blues revival starting from the role of rock 'n' roll which in America was more of an obstacle that an element of promoting the blues among young whites. The blues revival in America remained linked for a long time to the world of folk revival which had developed an extremely purist conception of the blues by linking it to an acoustic and rural canon. The closest link between the American blues revival and the folk environment depended on various environmental and political factors. The discovery of blues by whites in America took place, much more than in England, through the work of folklorists and intellectuals of the countercultures who saw electric music as a gimmick used by the music industry to create artificial and inauthentic music. Furthermore, folk music, which enjoyed renewed popularity in the late 1950s and early 1960s, became the soundtrack of all those black and white protest movements that, especially in the early 1960s, were in favor of an integrationist solution to the American racial problem and therefore saw positively the promotion of African American culture. The Newport Folk Festival was the event that most fueled this folkloric vision of the blues which, however, hid a colonialist approach to African American culture on the part of whites who nevertheless promoted it. The Newport Folk Festival was the event that most fueled this folkloric vision of the blues which, however, hid a colonialist approach to African American culture on the part of whites who even promoted it. Precisely at the Newport Folk Festival, on the occasion of Bob Dylan's performance in 1965, the clash between the purist vision of blues typical of folk canon and the modernist vision embodied by the Paul Butterfield Blues band, in which white boys played of Chicago who had crossed the racial boundaries of American society and had gone to African American neighborhoods to learn the blues from the masters of the genre. The Newport incident made the Paul Butterfield blues band famous and gave a strong impetus to the electric style of the white blues, but it was mainly in England that the electric blues was consecrated as an authentic and foundational blues style of modern genres such as Rhythm & Blues, Rock 'N' Roll and the rising rock music. The greater freedom of expression that experienced the mature season of the blues revival in England due to less interdependence with the world of folk and a different perception of the racial problem by young Englishmen led the white blues practiced by the British towards a virtuosic and experimental development that it soon led to major British blues-rock bands abandoning the genre by the end of the 1960s. However, before this happened the blues-rock performed by British guitar heroes climbed the American charts in the wake of the road opened by the British Invasion groups and became linked to psychedelic music and hippie culture. The electric and virtuosic blues practiced in rock music contributed enormously to the discovery of blues and its main artists among young white Americans and British. However, as the same African American musicians who began performing in front of white audiences realized, the blues itself underwent a transformation as a result of its growing popularity with white audiences. The blues reinterpreted by young whites tended to favor instrumental virtuosity over vocal virtuosity, placing the electric guitar at the center of the stage. In addition, the blues was reinterpreted according to certain specifics of western white culture. The musicians and the public loved the blues as an emotional music functional to satisfy their individualistic-existential needs, tending to put aside important elements of the history of the genre such as female performers; critics and scholars tried to define a canon on the basis of which to establish which was the authentic blues free from commercial influences but in doing so they estranged it from its history and from the ties with the Afro-American community within which it had always transformed and evolved in response to needs and incentive that were also of a commercial nature. Finally, the record industry sought to exploit the interest of young rockers for the blues by producing albums and live events where young rocker musicians played and performed with the "noble fathers" of the blues.On the other hand, the blues was able to acquire great popularity outside the African American community and the American continent, becoming a genre of music that is appreciated and practiced all over the world even today thanks to the rock that celebrated it as its noble forerunner.
Yukarı Dicle bölgesi, Güneydoğu Anadolu dağ sistemi içerisinde önemli bir alanı temsil etmekte olup, söz konusu özellik Mezopotamya çukur bölgesini hem kuzey hem de doğu Anadolu alanlarına bağlayan bir rol oynamasına imkan sağlayan coğrafi konumu ile ilişkilidir. Dicle nehrinin yukarı çığırında son otuz yılda gerçekleştirilen arkeolojik araştırmalar sayesinde, yerel bir kültürel sistemin tanımlanmasını sağlayacak yeni önemli göstergelere ek olarak, gerek bölge içerisinde gerekse ötesinde zamandizinsel ayrımlar ve eşzamanlılıklara açıklık getirmekte kullanılabilecek kapsamlı bir veri bütüncesi de elde edilmiştir. Bu kitap, Erken ve Orta Tunç Çağı'nın son kısmına ilişkin yakın dönemde yürütülen arkeolojik etkinliklerin sonuçlarını araştırmayı amaçlamaktadır. Yayımlanan verilerin ayrıntılı bir çözümlemesinden başlayarak yerleşkeler, stratigrafi, mimari, çanak çömlekler, bölgesel bağlantılar ve zamandizine ilişkin temel konular ele alınmıştır. Ṭūr ʿAbdīn tepelerinin kuzeyinde, yüksek Güneydoğu Torosların eteklerinde yer alan Yukarı Dicle bölgesi, arkeolojik bulgular açısından tutarlı ve uyumlu bir görüntü çizmektedir. Yürütülen araştırma ve kazılar, vadideki kayda değer bir yerleşim döneminin, ufak boyutlu yerleşimlerin Dicle taşkın ovası kenarındaki akarsu taraçalarında ve ana akarsu kolları boyunca kurulma eğilimi içerisinde oldukları M.Ö. III. binyılın sonu ile M.Ö. II. binyılın ilk yarısı arasında tarihlendirilmesi gerektiğini belgelemektedir. Bunların çoğu, iri yapılar ya da yapı bütünleri ile komşu bölgelerdeki eşzamanlı seramik geleneklerinden farklı nitelikteki yerel bir seramik topluluğu tarafından karakterize edilmektedir. Ağırlıklı olarak kırmızı-kahverengi astarlı ve boyalı çömleklerden oluşan seramik topluluğu, yerel sistemin tanımlanması ve Yukarı Dicle bölgesindeki sahalararası kültürel bağlantıların belirlenmesi açısından önem taşımaktadır. Alanda ele geçirdiğimiz buluntuların büyük kısmını teşkil eden çanak çömlek parçalarının yaygın olarak yer alışı, halihazırda araştırmaların temelini oluşturmalarını sağlamaktadır. Özellikle son dönemdeki araştırmaların üzerinde yoğunlaştığı Yukarı Dicle bölgesinde ele geçirilen çanak çömlekler, diğer buluntu kategorileri ve alandaki varlıklarına kıyasla, yalnızca farklı katman bağlamları dahilinde değil aynı zamanda henüz kazılmamış alanların yüzeylerinde de dikkat çekici nitelikte olup; bu belirgin coğrafi alandaki maddi üretimin belirleyici özelliklerini saptamak ve Yukarı Dicle bölgesindeki kültürel gelişimi daha geniş bir yelpazede yorumlayabilmek adına en güvenilir araçlardan biri olma özelliğine sahiptir. Coğrafi ve tarihi nitelikli kısa önsöz hariç (Bölüm 1), kitabın esas içeriğini bölgede yürütülan arkeolojik araştırmalar ve çözümlemeleri olusturmaktadır (Bölüm 2 & 4). İkinci bölümün konusu, araştırılan alanlar ve kazılan verleşimler olup (Bölüm 2); söz konusu alanlar, bugün itibarıyla sahip olduğumuz arkeolojik bilgilerin en üst seviyesine ışık tutmaktadır. Bu konuda bir diğer önemli katkı sunan Hirbermerdon Tepe'deki kazılar kitabın üçüncü bölümünün ana konusunu teşkil etmekte ve yerleşim evreleri ve ilgili çömlek buluntularını (3.4) da içeren arkeolojik bağlam (3.2) üzerine çoğunluğu yayımlanmamış akla yatkın önermelerde de bulunulmaktadır. Çanak çömlek parçalarının gerek teknolojik gerekse biçimsel açıdan sınıflandırılması (3.3) ile, alandaki varlıklarının mekansal ve zamansal devamlılık özellikleri ve çanak çömlek çeşitlerinin analizine geniş yer ayrılmıştır. Ayrıca temel küçük buluntular da gerek bölgesel gerekse zamandizinsel çerçeve açısından yorumlanmış ve ilgili ögelerle birlikte değerlendirilmiştir (3.5). Seramik buluntularının ayrıntılı bir analizini gerçekleştirebilmek adına yararlandığımız temel bilgi kaynağı Hirbemerdon Tepe höyüğünde gün ışığına çıkarılan yapılar bütünü olmakla birlikte, yerleşimde açılan sondajlardan elde edilen bulgulardan da yararlanılmıştır. Dicle nehrinin sağ kıyısında yer alan Hirbermerdon Tepe'de gerçekleştirilen ilk kazı dönemi (2005-2007), yararlı arkeolojik verileri göz önüne sermenin ötesinde, çoğunluğu M.Ö II. binyılın ilk kısmına tarihlendirilen bol miktarda çanak çömlek buluntusu ve buluntu elde edilmesini de sağlamıştır. Farklı katmanlara ait yeni veriler sunan Hirbermerdon Tepe, böylece Yukarı Dicle vadisinin kültürel profilini belirlemek adına önemli bir katkıda bulunmaktadır. Kazılar, her biri form ve teknolojik özellikleri sayesinde belirlenen üç ana seramik evresi sıralamasını gün ışığına çıkarmıştır (3.6). Yaklaşık olarak Erken Tunç Çağı'nın sonlarına, yani Erken Tunç Çağı III-IV'e (Erken Cezire III-V'in sonu) tarihlendirilen erken evre (1. Evre), kırmızı-kahverengi boya astarlı çanak çömlekler (RBWW) ve koyu turuncu ağızlı çanaklar (DROB) tarafından; Orta Tunç Çağı'na tarihlendirilen orta evre (2. Evre), çoğunlukla kırmızı-kahverengi boya astarlı çanak çömlekler ve şerit boyama çömlekler (band painted ware) tarafından karakterize edilmektedir. Son evre ise (3. Evre) Orta Tunç Çağı ile kırmızı-kahverengi boya astarlı çömleklerden oluşan karmaşık bir repertuvarı gözler önüne sermekte ve Geç Tunç Çağı'na tarihlendirilen Habur ile Nuzi çömlek parçalarını da içermektedir. Hirbemerdon'da Geç Tunç Çağı'na ait kırmızı-kahverengi boya astarlı çömlek bulunup bulunmadığı henüz kesinlik kazanmamıştır. Seramik repertuvarının teknolojik ve biçimsel özellikleri kapsamında tartışılması ve bölgesel bir bağlama yerleştirilmesine ayrıca bir bölüm ayrılmış (3.7) olup; yerel seramik sistemi ile komşu bölgelerdekiler arasındaki ilişkinin altını çizebilmek adına, eldeki veriler diğer sit alanları ve bölgelerden elde edilenlerle karşılaştırılmıştır. Bölümün sonunda ise, bölgesel dönemlendirmeye ilişkin yorumlar yer almakta ve repertuvar için bir tarihlendirme önerisi sunulmaktadır. Bölüm 4, Yukarı Dicle bölgesindeki yerleşim düzeninin gelişimi, yapılar ile elde edilen çanak çömlekler ve önemli küçük buluntulara ilişkin bazı genel yorumlar sunmaktadır. Halihazırda yayımlanmış ve mevcut veriler ile Hirbemerdon Tepe'den elde edilen bulgulara dayanan bu araştırmanın sonuçlarına göre, yerel Orta Tunç Çağı kültürünün yükselişinin M.Ö. III. ile II. binyıl arasındaki geçiş dönemine tarihlendirilmesi gerekmektedir. Yukarı Dicle topluluklarının en etkin oldukları dönemin ise M.Ö. 19. ile 17. yüzyıllar arasına tarihlendirilmesi gerekmekte olup, söz konusu dönem kırmızı kahverengi astarlı/ boyalı çömleklerin ana üretim dönemiyle örtüşmektedir. Yukarı Dicle bölgesine özgü ortak bir seramik repertuvarı tespit edilebilmekte ve özellikle kırmızı-kahverengi boya astarlı çömlekler (RBWW), kırmızı-kahverengi perdahlı çömlekler (RBBW), koyu turuncu ağızlı çanaklar (DROB/DROW) ve çömleğin yüzünü tamamen ya da kısmen örtmek ve dekore etmek amacıyla kullanılan kırmızı-kahverengi astarların karakterize ettiği şerit boyama çömleklerin (BD) varlığı dikkat çekmektedir. Çömlek şekillerinin münferit parçalarını ile paralellik gösteren unsurlara Anadolu ve Suriye'deki Yukarı Fırat bölgesi, Belih Vadisi, Yukarı Habur ve Kuzey Irak düzlük arazileri ve bazen yüksek Anadolu arazilerini de içine alan yaygın bir coğrafyada rastlanmak olsa da, çanak çömleklerin maruz kaldığı yüzey işlemlerinin kendine özgü yerel bir özellik taşıması nedeniyle Dicle vadisi kültürünün belirgin bir ifadesi olarak kabul edilmesi gerekmektedir. Kırmızı-kahverengi astarlı ve boyalı çömleklerin hayli yüksek bir yüzdeye sahip oluşu, Güneydoğu Toros sıradağları ile Van dağ sırasının güneybatısında yer alan Ṭūr ʿAbdīn yüksek arazileri arasında yerel geleneğe yakından bağlı kalmış kendine özgü bir seramik bölgesinin varlığını ileri sürer niteliktedir. Kırmızı-kahverengi çömlekler (DROB/DROW, RBWW, BD), Dicle nehri bölgesindeki aynı imalat geleneğinin ürünleridir. Büyük olasılıkla koyu turuncu ağızlı çanaklar (DROB) M.Ö. II. binyılın başlarında bazı sınırlı istisnalar hariç kullanımdan kalkmış olduğu halde, kırmızı-kahverengi boya astarlı çömlekler (RBWW) ise Orta Tunç Çağı'nın tamamı boyunca ve muhtemelen Geç Tunç Çağı'nın başlarına kadar var olmaya devam etmiştir. Dicle çanak çömlek seçkisi, Fırat bölgesinden Cezire'ye kadar uzanan farklı akımlardan etkilenmiş olup; etkileşimin bazı dönemlerle oldukça yoğun, bazen ise daha seyrek nitelikte olduğu belirlenmiştir. Sonuç kısmını teşkil eden Bölüm 5'te ise, türdeşliğin Dicle Bölgesi'ndeki maddi kültür bağlamında toplumsal ve kültürel değeri araştırılmakta ve belki de siyasi oluşumlarla ilintili bir genel örgütlenmenin varlığına ilişkin görüşler ileri sürülmektedir. Kırmızı-kahverengi seramik tarafından karakterize edilen sit alanları, Erken ve Orta Tunç Çağı arasındaki kültürel devamlılığa dair kanıtlar sunmaktadır. Verilerden hareketle, yerel toplumsal ve siyasi düzenin bir noktada değişime uğradığı ve çok işlevli yapılar barındıran küçük yerleşkeler etrafında odaklanan yeni bir yerleşim düzenine geçildiği ve bu değişimin başta kırmızı-kahverengi boya astarlı çömlekler (RBWW) ve koyu turuncu ağızlı çanaklar (DROB) olmak üzere, kırmızı-kahverengi çömlek gruplarının üretildiği yerleşim alanlarının gelişimiyle özdeşleştirilebileceği varsayımında bulunmak mümkündür. Erken Tunç Çağı dönemine dair fazla bir yorumda bulunmak mümkün değildir. M.Ö III. binyılın ikinci yarısına ait ya da son yüzyıllarına tarihlendirilen buluntular ve katmanlar, birkaç sit alanında gün ışığına çıkartılmasına rağmen, hiçbiri açık bir stratigrafik sıralama ya da nispeten bütünlüklü bir bağlamlar topluluğu sunmamaktadır. Kalıntılar, bir sonraki dönem olan Orta Tunç Çağı'ndakilere kıyasla cılız kalmakta ve sit alanının kenar noktalarında yer almaktadır. Vadi bu dönemde önemli yerleşimlerden neredeyse tamamen yoksun olup, bunun nedeni muhtemelen yerleşim düzeninin Orta Tunç Çağı'ndakinden hayli farklı ve/veya arkeolojik açıdan kolayca tespit edilemez nitelikte oluşudur. Bazı sit alanlarından oldukça seyrek bulgular elde edilmiş (gömütler, duvar ve zeminlerin bazı bölümleri, çanak çömlek parçaları), fakat bugün itibarıyla kayda değer herhangi bir katmana rastlanmamıştır. Gel gelelim ince katmanların kısa ve aralıklı yerleşim dönemlerine işaret etmesi mümkündür. Elbette bazı ana höyüklerin altında henüz gün ışığına çıkartılmamış kayde değer M. Ö III. binyıl yerleşimlerinin yer alma olasılığı bulunmakla birlikte, henüz bu yönde somut herhangi bir kanıt ele geçirilmemiş, Pornak ve Pir Hüseyin'deki olası geniş yerleşke buluntuları da nehir boyunca ilerleyen vadi bağlamında neredeyse fark edilmeyecek kadar ufak yerleşkelerden ibaret kırsal bir arazi şeklinde beliren genel görüntüyü değiştirecek nitelikte değildir. Muhtemelen M.Ö III. ile II. binyıl arasında geçiş döneminde vadideki yerleşke ve topluluklar, yerleşim alanlarının artması suretiyle bir yeniden yapılanma süreci yaşamış; söz konusu süreç, Yukarı Dicle bölgesinde yaşayan gerek yerleşik gerekse yerel toplumun parçası olan hareketli grupların toplumsal karmaşıklığının gelişmesini tetikleyen ve bu sayede topluluklar arasında yeni etkileşim, kontrol ve idare yöntemleri meydana getiren, niteliği henüz belirsiz fakat önemli bazı değişiklikleri takiben hayata geçmiştir. Bu dönemde, muhtemelen M.Ö III. binyıl sosyopolitik düzeninin belirgin özelliği olan gevşek köy örgütlenmelerine kıyasla daha karmaşık bir toplumsal yapı geliştirilmiştir. Örneğin Giricano, Salat Tepe, Hirbemerdon Tepe'de bulunan ve Orta Tunç Çağı'na tarihlendirilen yapılara ve birleşik mimari komplekslere ait bölümler ile benzer mimari özellikler taşıyan Kavuşan ve Üçtepe kalıntıları, muhtemelen üretim kaynakları üzerinde belirli denetim yöntemlerinin uygulandığı bir toplum planlaması düzenine ya da yerel ekonomik yaşantı yapılanmasına işaret etmekle birlikte, merkezi bir güce biat edildiğini ima etmek için yeterli bir karmaşıklık seviyesinde olmadığı görülmektedir. Yapı ve buluntular elit bir sınıfın varlığını doğrulamamakta olup, yerel ekonomi yönetimini mütevazı ölçekte organize eden ufak toplulukların varlığını ortaya koymaktadır. Söz konusu sitler arasında bir hiyerarşi olduğunu iddia etmeye yetecek bulguya sahip olmamamıza rağmen, eşgüdüm bağlamında önemli bir rol üstlendiklerini ve toplulukları kendilerine çeken, üretilen ürünlerin işlendiği, hayvancılık, tarım, avcılık ve dağlar arası ticaretten elde edilen malların depolandığı ve aynı zamanda toplumsal ve dini nitelikli eylemlerin gerçekleştirildiği önemli birer merkez teşkil ettikleri görülmektedir. Yerleşim yoğunluğundaki artış, yöreye özgü grupların sosyoekonomik anlamdaki yeniden yapılanmasının göstergesi olarak kabul edilebilir. Bu yenilenme süreci, ticari bir ağın kurulmasına ve/veya temel geçim etkinlikleri arasındaki dengede meydana gelen bir değişime ya da bölgeye yeni toplulukların gelişi gibi diğer dış etkenlere de bağlantılandırılabilir. Aynı şekilde önemli olabilecek bir başka faktör ise, aynı grup veya kabile içerisindeki iki farklı kesim, diğer bir deyişle yerleşikler (çoğunlukla çiftçi) ve seyyar (yaylacı çobanlar ve göçebeler) arasındaki ilişkinin değişmesi ve bu sayede bütünleşik bir ekonomi ile genişlemiş bir sosyo-politik düzenin gelişmesine neden olmasıdır. Şimdilik yerli toplumun gelişiminin olası nedenleri üzerine tahmin yürütmekle yetinmek zorundayız. Söz konusu iki kesim, yani aynı grup ya da kabile içerisindeki yerleşikler ve seyyarlar arasındaki ilişki ve bu ilişkinin yol açtığı bütünleşik bir ekonomi ile genişlemiş bir sosyopolitik düzenin gelişmesi olguları, Yukarı Dicle bölgesinde M.Ö III. binyılda hayat bulan yeni bir toplum yapısının temellerini teşkil etmekteydi. Daha karmaşık bir süreci basite indirgemek suretiyle zihnimizde bir senaryo canlandırmak gerekirse, bu bölgede yaşadıkları antik metinler ve modern araştırmalarca doğrulanan göçebe ya da yarı göçebe çoban gruplarının farklı gerekçelerle tarımsal etkinlikler ve köy yaşantısına geçmeye karar verdiklerini ve bu amaçla dağlar, vadiler ve stepler arasında önceleri yüzyıllar boyunca mevsimlik göç ve yaylacılık çerçevesinde yararlandıkları alanlardan birine yerleşmeyi seçtiklerini; grubun diğer kısmının ise sürülerle geleneksel rotaları izleyerek ilerledikleri ve yerleşik topluluklarla etkileşime devam ettiklerini düşünmek mümkündür. Eldeki mevcut yazılı belgeler yetersiz olup, güney şehir devletleriyle etkileşim ve ticaret ağlarına katılım yöntemlerinin belirlenmesine henüz imkan sağlamamaktadır. Yerel toplulukların sosyal ve ekonomik yapılarının yeniden düzenlenmesi olgusu Orta Tunç Çağı toplumlarının belirgin bir özelliği olarak öne çıkmakta; nitekim söz konusu toplumların önce M.Ö II. binyıl ve takiben M.Ö I. binyıl boyunca yerel niteliklerine sıkıca bağlı kaldıkları ya da güney imparatorluklarının sabit sömürgeleştirme girişimleri ve baskılarına rağmen, zaman zaman Anadolu'nun doğusuna yöneldikleri görülmektedir. Bu durumun toplumsal ve tarihsel değerinin önemli çıkarımlarından birine, yerel toplumun farklı unsurları ve üyelerinin bu arkeolojik arazi kapsamında üstlendikleri roller üzerinden ulaşmak mümkündür. Oluşturduğumuz taslak doğru ise, M.Ö III. binyıla tarihlendirilen sitlerin azlığı ya da başka bir ifadeyle bu yerleşim alanlarının sınırlı görünürlükte oluşlarının, dengesiz bir yerleşme düzenine işaret ediyor olabilir. Zira nüfusun büyük bir kısmı, bölge şartlarına en iyi uyum gösterme yöntemi olarak seyyar, yarı göçmen ya da göçmen bir yaşam tarzını tercih etmiştir. Yukarı Dicle vadisi örneğinde ise, sistemin karmaşıklaşması ve yerel toplumdaki dönüşümün tetiklenmesinde ticaret ağlarının mı yoksa yerel gruplar arasındaki belki de Akkadların bölgedeki etkilerini artırmaları sonucu doğan dinamiklerin mi etkili olduğunu sorgulamamız mümkündür. Vadi, maddi kültürü ve özellikle de çanak çömlek geleneği açısından kendisini çevreleyen diğer bölgelerden ayrılan bir niteliğe sahiptir. Aslında Dicle kültürünün kendine has ve özel konumu, birçok yüzyıl boyunca metinsel herhangi bir ize rastlanmaması, Mezopotamyalıların bölgeyi kontrol altına almakta yaşadıkları zorluklar ve maddi kalıntıların özellikleri, bu alanın iyi tanımlanmış ve belirgin bir kültürel ve belki de siyasi oluşuma ev sahipliği yaptığını düşündürmekte ve bunun bağlantılı olarak, kırmızı-kahverengi seramiklerin varlığı ile karakterize edilen yerleşkelerin gelişiminden de anlaşıldığı üzere, M.Ö III. binyılda gerçekleşen değişimlere de yön verdiği ihtimalini güçlendirmektedir. Yukarı Dicle'deki kazılarda gün ışığına çıkartılan kalıntıların Hurri medeniyetinin doğrudan bir ifadesi olarak kabul edilip edilemeyeceği ise, şimdilik ilginç fakat metinsel kanıtların yokluğunda ispat edilemeyecek bir varsayımın ötesine geçememektedir. Ancak Yukarı Dicle bölgesinde yakın dönemde yürütülen araştırmalar, M.Ö. III. binyılın sonu ile M.Ö. II. binyılın başı arasında Anadolu'nun güneydoğusunda yaşayan ve Antik Yakın Doğu'nun tarihsel arka planı kapsamında henüz tam anlamıyla belirlenememiş de olsa önemli bir rol oynayan toplulukların daha iyi tanımlanabilmeleri adına yeni ve önemli bazı kanıtlar elde edilmesini sağlamıştır. ; La regione attraversata dal corso superiore del fiume Tigri, in Turchia sud-orientale, è stata per molto tempo un'area poco conosciuta dal punto di vista archeologico. L'intensificarsi delle ricerche sul campo, a partire dagli anni novanta del secolo scorso, ha prodotto le evidenze su cui basare una prima ricostruzione della storia dell'insediamento e della cultura materiale di questi territori, tra le alte terre anatolico-orientali e le pianure mesopotamiche. I risultati degli scavi e le ricognizioni indicano che tra la fine del Bronzo Antico e l'inizio del Bronzo Medio giunge a maturazione un processo di trasformazione e riorganizzazione delle comunità locali. La comparsa di ampi complessi architettonici ed edifici in siti di medio-piccole dimensioni, caratterizzati da un particolare repertorio di oggetti e da ceramiche rosso-brune, potrebbe nascondere la formazione di realtà socio-politiche più strutturate rispetto a quelle del periodo precedente ed essere espressione di quel mondo khurrita che avrebbe avuto proprio nella regione del Tigri, secondo le ricostruzioni storiche, una delle zone di insediamento principale. ; The Upper Tigris region represents an important area within the mountainous system of south-eastern Anatolia and its relevance is related to its geographical position that plays a role in connecting the Mesopotamian lowlands to both northern and eastern Anatolian areas. Archaeological researches carried out during the last thirty years along the upper course of the Tigris river have provided new important evidence for the definition of a local cultural horizon and a large corpus of data that may be used to clarify chronological divisions and synchronism within the region itself and beyond. The aim of this book is to investigate the results of the recent archaeological activities concerning the final part of the Early and the Middle Bronze Age. Starting from a detailed analysis of the published data, central issues concerning settlements, stratigraphy, architecture, pottery, regional links, and chronology have been treated. The region of the Upper Tigris river, north of the Ṭūr ʿAbdīn hills and at the foot of the high south-eastern Anatolian mountains, show a coherent picture in terms of archaeological evidence. Surveys and excavations have documented that an important occupational period of the valley should be dated back to the end of the 3rd and the first half of the 2nd millennium BC, when mainly small sized settlements tend to be established on the river terraces on the edge of the Tigris floodplain and along the main river tributaries. Many of them are characterized by large buildings or architectural complexes and the presence of a typical ceramic assemblage which appears to be distinct from the other contemporaneous ceramic traditions of the neighbouring regions. The assemblage of pottery, mainly red-brown slipped and painted wares, is important for the definition of a local horizon and for the identification of intersite cultural connections in the upper Tigris region. The ubiquity of pots sherds, essentially representing the bulk of what we found in the field, make them currently the basis of this investigation. In the particular case of the Upper Tigris, area of recent investigation, the pottery is remarkable when compared with other categories of finds and their presence, not only in stratified contexts but also on the surface of non-excavated sites, makes one of the most reliable tools for characterizing the material production of this specific geographical area and interpreting wider features of the cultural development in the Upper Tigris. A part a brief geographical and historical introduction (Chapter 1), the core of the book is represented by the results of the archaeological researches in the region and their analysis (Chapters 2 and 4). Surveyed areas and the excavated sites are the subjects of the second chapter (Chapter 2) that provides also the current state of the art for our archaeological knowledge. An important contribution is offered by the excavations at Hirbemerdon Tepe and to this site is dedicated the Chapter 3 where is reasoned argument of the archaeological context (3.2) with its phases of occupation and associated pottery (3.4), mainly unpublished. Much space is given to the classification of pottery sherds (3.3) both in technological and morphological terms and the analysis of spatial and diachronic occurrence of wares and types. Also main small findings are interpreted and contextualized in the regional and chronological frameworks (3.5). Our primary source of information for a detailed analysis of the pottery is the architectural complex, discovered on the mound of Hirbemerdon Tepe but also the evidence from other soundings opened on the site. The first excavations campaigns (2005-2007) carried out at Hirbermerdon Tepe, on the right bank of Tigris river, yielded good archaeological contexts and a conspicuous amount of pottery and artefacts mainly dating back to the first part of the 2nd millennium BC. Providing a new set of stratified data, Hirbemerdon Tepe offers an important contribution to defining the cultural profile of the Upper Tigris valley area. The excavations provided us with a sequence of three main ceramic phases, each individuated by morphological and technological attributes (3.6). The early phase (Fase 1), dating to the end of the Early Bronze Age, approximately to Early Bronze Age III-IV (end of Early Jazirah III-V), is characterized by the presence of an early version of RBWW and DROB; the middle phase (Fase 2), dated to the Middle Bronze Age, is characterized mainly by RBWW and band painted ware. The last phase (Fase 3) comprises a mixed assemblage with RBWW types of MBA date and others in common ware together with some Khabur and Nuzi sherds of Late Bronze Age date. It is not ascertained that at Hirbemerdon exists RBWW of LBA date. A section is dedicated to discuss the pottery repertoire, its technological and morphological characteristics, and in the regional context (3.7), comparing data with those from other sites and regions in order to underline the relationship between the local ceramic horizon and those of the neighbours. The end of the chapter concerns remarks on the regional periodization and propose a date for the repertoire. Chapter 4 offers general remarks about the settlement developments, architecture, pottery and significative small finds recovered in the Upper Tigris region. According to the results of this study, based on the published data currently available and the evidence from Hirbemerdon Tepe, the rise of the local Middle Bronze Age culture has to be dated to the passage between the 3rd and the 2nd millennium. The floruit of the Upper Tigris communities has to be dated to the period between the 19th and 17th centuries that coincides with the main phase of production of the red-brown slipped/painted pottery. A common pottery horizon is widely recognizable in the Upper Tigris region, marked specifically by the presence of categories known as Red Brown Wash Ware (RBWW), Red Brown Burnished Ware (RBBW), Dark Rimmed Orange Bowls/Ware (DROB/DROW) and Band Painted Ware (BD) which are characterized by a layer of red/brown slips used to cover, entirely or partially, the surface of the pot and to decorate it. Parallels of single components of the pottery shape are geographically widespread, encompassing the Upper Euphrates in Anatolia and Syria, the Balikh area, the Upper Khabur and the northern Iraqi lowlands, sometimes the Anatolian highlands, but the particular surface treatment is a specific local characteristic and has to be considered as a distinctive expression of the Tigris valley culture. The high percentage of red-brown slipped and painted wares suggests that a proper ceramic region existed between the South-Eastern Taurus fringes and the Ṭūr ʿAbdīn uplands, south-west of the Van mountain system, resting firmly within a local tradition. Red-brown wares (DROB/DROW, RBWW, BD) are products of the same manufacturing tradition, centred on the Tigris river area. It is likely that the DROB were out of use at the beginning of 2nd millennium, a part some marginal exceptions, whereas the RBWW continued for the entire span of the Middle Bronze Age and probably until the beginning of the Late Bronze Age. The Tigris pottery assemblage experienced the effects of different influxes, from the Euphrates area and to the Jazirah, with a period of major interaction and others of less intensive contacts. In conclusion, Chapter 5 explores the social and cultural value of the homogeneity in material culture within the Tigris region, suggesting the existence of a communal organization maybe connected with political entities. The sites characterised by red-brown wares represent evidence of cultural continuity between the Early and Middle Bronze Ages. It may be assumed that at a certain point a transformation of the local social and political system occurres, with the conversion to a new settlement pattern organized around little sites with multifunctional buildings and this change is also identified by the growth of settled sites producing red-brown pottery, like DROBs and principally RBWW. Not much can be said as regards the end of the Early Bronze Age period. Findings and strata of the second half of 3rd millennium or dating to the last centuries have been exposed at few sites but none provides a clear stratigraphic sequence or fairly well articulated contexts. In general, the remains are poor compared with those of the following Middle Bronze Age and cover marginal areas of the site. The valley was almost devoid of significant settlements during this period, probably because the settlement pattern was substantially different from the Middle Bronze Age pattern and/or not easily recognizable archeologically. Some sites produced very sparse evidence (tombs, portion of walls and floors, pot-sherds) but no substantial layers have been found up to now. In fact the thin layers could indicate brief and intermittent periods of occupation. Of course there might have been considerable 3rd millennium sites not yet excavated beneath some of the major and important mounds but as yet there is no evidence for them and the possible finding of large settlements in Pornak and Pir Hüseyin do not change the general picture of a rural landscape with evanescent presence of very small sites, as for the valley along the river. Probably during the passage between the 3rd and 2nd millennium there was a reorganization of settlements and populations in the valley with an increase of settled sites, after important but unclear changes in the whole region that stimulated the growth of the social complexity among the groups inhabiting the Upper Tigris, both sedentary and mobile segments of local society, producing new forms of interaction between the communities, control and management of the resources. In this period a social structure more complex than loose village organizations that probably characterized the sociopolitical landscape of the 3rd millennium was developed. The portions of buildings and composite architectural complexes, dating to the Middle Bronze Age, found for example at Giricano, Salat Tepe, Hirbemerdon Tepe, but also the remains of Kavuşan and Üçtepe showing similar architectural features, suggest a community planning with the possible existence of a form of control over productive resources or organization of the local economic life, but not a level of complexity implying the subordination to a centralizing power. Architecture and artifacts do not confirm the presence of elites but indicate small communities organizing the management of local economy on a modest scale. We do not have elements to recognize a hierarchy between these sites yet but it seems that these played a role of coordination and were centers of attraction for populations; for processing products and storing commodities coming from herds, agriculture, hunting and intermountain trade as well as for communal and ritual performances. The growing of settlement density can be considered as an indicator of a socio-economic reorganization of indigenous groups. This regenerative process can be linked to the establishment of a commercial network and/or to a change in the balance between main subsistence activities or to other external stimuli as the arrival of newcomers. Not less important could have been the changing relation between the two segments, settled (mainly farmers) and mobile (transhumant shepherds and nomads) of the same group or tribe, developing an integrated economy and an enlarged socio-political system, At present we can only speculate about what the development of the indigenous society holds. The relation between these two segments, settled and mobile of the same group or tribe, developing an integrated economy and an enlarged socio-political system, was at the base of a new society inaugurated at the end of the 3rd millennium in the Upper Tigris. It is possible to imagine a scenario, simplifying a more complex process, where groups of shepherds, nomadic or semi-nomadic, who have lived in this area as ancient texts and modern studies confirm, decided to convert to agricultural activities and village life, for different motives, settling in one of the areas that for centuries they had used during the seasonal migrations and transhumance between mountains, valleys and steppes; whereas the other part of the group continued to bring herds along traditional routes interacting with the sedentary communities. The available textual documentation is meager and does not permit to establish yet the modalities of interaction with the southern city states as well as the involvement within commercial circuits. This new organization of the social and economic structure of the local community is a trait of the Middle Bronze Age society that in the course of the 2nd millennium and then during the 1st millennium, will keep firmly a local character or will be occasionally oriented towards eastern Anatolia in spite of the pressure and attempts at stable colonization by southern empires. An important implication of social and historical significance is involved in the role assumed by the different components and members of the local society in this archaeological landscape. If this outline is correct, the scarcity of sites dated to the 3rd millennium or otherwise, the low visibility of these settlements, might point to unstable occupation: a mobile, semi-nomadic or nomadic style of life was for most of the population the best adaptation to the surrounding regional environment. We can question if in the case of the Upper Tigris river valley it has been the trade network to generate the rise of complexity or dynamics internal to local groups (maybe stimulated after the Akkadians established their influence over the region) have had been more effective to prompt the transformation of local society. The valley represents a distinct unit from the surrounding regions with regard to its material culture and particularly its pottery tradition. Actually, the particular setting of Tigris culture, the lack of textual records for several centuries, the difficulties met by Mesopotamians to control these territories, and the characteristics of the material remains could suggest that the area was a place of a well-defined cultural and maybe political entity and resulting in the changes at the end of 3rd millennium that we can recognize in the growth of the settlements characterized by the presence of red-brown ceramics. If the archaeological remains emerged through the excavation in the Upper Tigris have to be considered direct expression of the Khurrian world is at the moment an intriguing hypothesis that in absence of textual evidence cannot be demonstrated. However the results of the recent research in the Upper Tigris provide new fundamental evidence for a better definition of the communities inhabiting the south-eastern Anatolia between the end of 3rd and the beginning of 2nd mill. BC that played an important, yet poorly defined role within the historical scenario of the Ancient Near East.
2006/2007 ; Inventario dei luoghi di culto della zona falisco-capenate. Sunto. La raccolta delle fonti relative alla vita religiosa della zona falisco-capenate è stata finalizzata, in primo luogo, all'individuazione di luoghi di culto sicuramente identificabili come tali. Dove questo non fosse stato possibile, soprattutto in presenza di documenti epigrafici isolati e di provenienza non sempre determinabile, si è comunque registrata la presenza del culto. Attraverso la documentazione raccolta si intende cercare di delineare una storia dei culti dell'area considerata, a partire dalle prime attestazioni fino all'età imperiale. La zona presa in esame, inserita nella Regio VII Etruria nel quadro dell'organizzazione territoriale dell'Italia augustea, è compresa entro i confini naturali del lago di Bracciano e del lago di Vico a ovest, del corso del Tevere a est, mentre i limiti settentrionale e meridionale possono essere segnati, rispettivamente, dai rilievi dei Monti Cimini e dei Monti Sabatini. I centri esaminati sono quelli di Lucus Feroniae, Capena, Falerii Veteres, Falerii Novi, Narce, Sutri e Nepi. La comunità capenate occupava la parte orientale del territorio, un'area pianeggiante, dominata a nord dal massiccio del monte Soratte, e delimitata a est dall'ansa del Tevere. Il suo fulcro era costituito dall'abitato di Capena, l'odierno colle della Civitucola, cui facevano capo una serie di piccoli insediamenti, ancora poco indagati, dislocati in posizione strategica sul Tevere, o in corrispondenza di assi stradali di collegamento al fiume. Il principale di essi risulta essere localizzabile nel sito della moderna Nazzano, occupato stabilmente a partire dall'VIII sec. a.C., e posto in corrispondenza dell'abitato sabino di Campo del Pozzo, sull'altra sponda del Tevere. Il comparto falisco si articola, invece, attraverso una paesaggio di aspre colline tufacee, incentrato attorno al bacino idrografico del torrente Treia, affluente del Tevere, che percorre il territorio in direzione longitudinale. Lungo il corso del fiume si svilupparono i due più antichi e importanti centri falisci di Falerii Veteres e Narce, un sito nel quale la più recente tradizione di studi tende a riconoscere, sempre più convincentemente, la Fescennium nota dalle fonti, l'altro abitato falisco, oltre a Falerii, di cui sia tramandato il nome; lungo affluenti del Treia sono ubicate Nepi e Falerii Novi. Pur nella specificità culturale progressivamente assunta da Falisci e Capenati, la collocazione geografica del territorio da essi occupato lo rende naturalmente permeabile a influenze etrusche e sabine, rilevabili attraverso la documentazione archeologica, e rintracciabili in alcune notizie delle fonti antiche, rivalutate dalla più recente tradizione di studi. Una posizione differente era, invece, maturata dopo le prime indagini condotte nella regione, tra la fine dell''800 e l'inizio del '900, che avevano portato a enfatizzare i caratteri culturali specifici delle popolazioni locali, sottolineando la sostanziale autonomia di queste rispetto agli Etruschi, soprattutto sulla base delle strette analogie tra la lingua falisca e la latina. Tale percezione fu dominante fino alla seconda metà degli anni '60 del '900, quando la pubblicazione dei primi dati sulle necropoli veienti mise in luce gli stretti rapporti con le aree falisca e capenate, tra l'VIII e il VII sec. a.C. Gli studi sul popolamento dell'Etruria protostorica condotti a partire dagli anni '80 del '900 hanno sempre più focalizzato l'attenzione su un coinvolgimento di Veio nel popolamento dell'area compresa tra i Monti Cimini e Sabatini e il Tevere nella prima età del Ferro, trovando conferma anche dalle recenti analisi dei corredi delle principali necropoli falische, che hanno evidenziato, nell'VIII e all'inizio del VII sec. a.C., importanti parallelismi con usi funerari veienti, ma anche aspetti specifici della cultura locale. Il corpus di iscrizioni etrusche proveniente dalle necropoli di Narce dimostra, per tutto il VII e VI sec. a.C., la continuità stanziale di etruscofoni, che utilizzano un sistema scrittorio di tipo meridionale, riconducibile a Veio, di cui Narce sembra costituire un avamposto in territorio falisco. Già dall'inizio del VII sec. a.C., tuttavia, si fanno evidenti i segni di una più specifica caratterizzazione culturale delle aree falisca e capenate, anche attraverso la diffusione di un idioma falisco, affine a quello latino, documentato epigraficamente per il VII e VI sec. a.C. soprattutto a Falerii Veteres. Un ulteriore elemento di contatto culturale col mondo latino è rappresentato, in questo centro, dal rituale funerario delle inumazioni infantili in area di abitato. Tale uso, che trova numerosi confronti nel Latium vetus, mentre risulta estraneo all'Etruria, è documentato a Civita Castellana, in località lo Scasato, da due sepolture di bambini, databili tra la fine dell'VIII e la prima metà del VII sec. a.C. A Capena sono state rilevate, a partire dal VII sec. a.C., notevoli influenze dall'area sabina, soprattutto attraverso la documentazione archeologica fornita dalle necropoli, mentre, da un punto di vista linguistico, un influsso del versante orientale del Tevere è stato colto, in particolare, attraverso un'analisi del nucleo più nutrito delle iscrizioni epicorie, che risale al IV-III sec. a.C. La ricettività nei confronti degli apporti delle popolazioni limitrofe e la capacità di elaborazioni originali, attestate archeologicamente sin dalle fasi più antiche della storia dei popoli falisco e capenate, possono offrire un supporto documentario alla percezione che già gli scrittori antichi avevano dell'ethnos falisco, trovando riscontro, in particolare, nelle tradizioni che definivano i Falisci come Etruschi, oppure come ethnos particolare, caratterizzato da una propria specificità anche linguistica, un dato, quest'ultimo, che tradisce il ricordo di contatti col mondo latino. Un terzo filone antiquario, che si intreccia a quello dell'origine etrusca, rivendica ai Falisci un'ascendenza ellenica, e più propriamente, argiva, e sembra, invece, frutto di un'elaborazione erudita maturata in un momento successivo. La notizia dell'origine argiva risale, per tradizione indiretta, alle Origines di Catone, e si collega a quella della fondazione di Falerii da parte dell'eroe Halesus, figlio di Agamennone, che avrebbe abbandonato la casa paterna dopo l'uccisione del padre. Ovidio e Dionigi di Alicarnasso attribuiscono all'eroe greco l'istituzione del culto di Giunone a Falerii, il cui originario carattere argivo sarebbe conservato nel rito celebrato in occasione della festa annuale per la dea. L'importanza accordata al culto di Giunone nell'ambito di tale tradizione ha portato a ipotizzare che questa possa essersi sviluppata proprio a partire dal dato religioso della presenza a Falerii di una divinità assimilabile alla Hera di Argo. Dall'esame linguistico del nome del fondatore, il quale non ha combattuto a Troia e non ha avuto alcun ruolo nel mondo ellenico, si è concluso che dovesse trattarsi di un eroe locale, e che la formazione dell'eponimo sia precedente alla metà del IV sec. a.C., quando è documentata l'affermazione del rotacismo in ambiente falisco. L'elaborazione della leggenda di Halesus deve essere collocata, dunque, in un momento precedente a questa data, che, si è pensato, possa coincidere con la presenza a Falerii di maestranze elleniche o ellenizzate, attive nel campo della ceramografia e della coroplastica, a partire dalla fine del V sec. a.C. Questa tradizione si collega a quella sull'origine etrusca attraverso la notizia di Servio, secondo cui Halesus sarebbe il progenitore del re di Veio Morrius. Il ricordo di una discendenza dalla città etrusca è comune anche a Capena, dove, secondo una notizia di Catone, riportata da Servio, i luci Capeni erano stati fondati da giovani veienti, inviati da un re Properzio, nel cui nome, peraltro, è stata ravvisata un'origine non etrusca, ma italico-orientale. A livello storico, l'accostamento tra Veio, Falisci e Capenati sarà documentato dalle fonti attraverso la costante presenza dei due popoli, al fianco della città etrusca, nel corso degli scontri con Roma tra la seconda metà del V e l'inizio del IV sec. a.C. Di tale complesso sistema di influenze partecipa anche la sfera religiosa dell'area in esame. È interessante notare, a questo proposito, che la massima divinità maschile del pantheon falisco-capenate, il dio del Monte Soratte, Soranus Apollo, costituisca l'esatto corrispettivo dell'etrusco Śuri, come da tempo dimostrato da Giovanni Colonna. La particolarità del culto del Soratte, tuttavia, è determinata dalla cerimonia annua degli Hirpi Sorani, che camminavano indenni sui carboni ardenti e il cui nome, nel racconto eziologico sull'origine del rito, tramandato da Servio, è spiegato in relazione a hirpus, il termine sabino per indicare il lupo, in perfetta coerenza col carattere "di frontiera" di questo territorio. Di origine sabina è la divinità venerata nell'unico grande santuario noto nell'agro capenate, il Lucus Feroniae. La diffusione del culto a partire dalla Sabina, già sostenuta da Varrone, è largamente accolta dalla critica recente, sia sulla base dell'analisi linguistica del nome della dea, sia per la presenza, in Sabina, dei centri principali del culto (Trebula Mutuesca, Amiternum), da cui questo si irradia, oltre che presso Capena, in Umbria e in area volsca. Le attestazioni di Feronia in altre zone, come la Sardegna, il territorio lunense, Aquileia, Pesaro sono generalmente da collegare con episodi di colonizzazione romana. Il carattere esplicitamente emporico del Lucus Feroniae, affermato da Dionigi di Alicarnasso e Livio, che lo descrivono come un luogo di mercato frequentato da Sabini, Etruschi e Romani già dall'epoca di Tullo Ostilio, rende perfettamente conto della varietà di frequentazioni e di influenze, che caratterizzano il santuario almeno dall'età arcaica. Pur in assenza di documentazione archeologica relativa alle fasi più antiche, sembra del tutto affidabile la notizia della vitalità del culto capenate già in età regia. Feronia, infatti, a Terracina, risulta associata a Iuppiter Anxur, divinità eponima della città volsca, il che sembra far risalire l'introduzione del suo culto all'inizio della presenza volsca nella Pianura Pontina, cioè ai primi decenni del V sec. a.C., fornendo, inoltre, un possibile indizio di una provenienza settentrionale, da area sabina, dell'ethnos volsco. È ipotizzabile, dunque, che la dea fosse venerata nel santuario tiberino, prospiciente la Sabina, ben avanti il suo arrivo nel Lazio tirrenico. Al di là della semplice frequentazione del luogo di culto e del mercato, un ruolo di primo piano rivestito dalla componente sabina presso il Lucus Feroniae, in epoca arcaica, sembra suggerito dall'episodio del rapimento dei mercanti romani, riferito da Dionigi di Alicarnasso. I rapitori sabini compiono una ritorsione nei confronti dei Romani, che avevano trattenuto alcuni di loro presso l'Asylum, tra il Capitolium e l'Arx, il che fa pensare che i Sabini esercitassero una sorta di protettorato sul santuario tiberino, e avessero, su di esso, una capacità di controllo analoga a quella che i Romani avevano sull'Asylum romuleo. La vocazione emporica del Lucus Feroniae è naturalmente legata alla sua collocazione topografica, nel punto in cui i percorsi sabini di transumanza a breve raggio attraversano il Tevere, tra i due grandi centri sabini di Poggio Sommavilla e Colle del Forno, per dirigersi verso la costa meridionale dell'Etruria. La dislocazione presso il punto di arrivo dei principali tratturi dell'area appenninica, popolata da genti sabelliche, è, peraltro, una caratteristica comune ai più antichi luoghi di culto di Feronia, come Trebula Mutuesca e Terracina, che condividono col Lucus Feroniae capenate anche la collocazione all'estremità di un territorio etnicamente omogeneo. È stato osservato come, in questi santuari, l'attività emporica marittima si intrecciasse con quella legata allo scambio del bestiame, e, nell'ottica di un'apertura verso l'economia pastorale dei Sardi, è stata inquadrata la fondazione romana, nel 386 a.C., di una Pheronia polis in Sardegna, presso Posada. Da questa località proviene, inoltre, una statuetta bronzea, databile tra la fine del V e i primi decenni del IV sec. a.C., raffigurante un Ercole di tipo italico, divinità di cui è noto il legame con la sfera dello scambio, anche in rapporto agli armenti. L'epoca dell'apoikia sarda ha portato a ipotizzare un collegamento col Lucus Feroniae capenate, dato che già tra il 389 e il 387 a.C. nel territorio di Capena erano stanziati coloni romani, misti a disertori Veienti, Capenati e Falisci. La filiazione del culto sardo da quello tiberino sembra, inoltre, perfettamente compatibile con le pur scarne attestazioni relative a una presenza di Ercole nel santuario capenate. A questo proposito è interessante notare che su una Heraklesschale, ancora sostanzialmente inedita, proveniente dalla stipe del santuario, il dio è rappresentato con la leonté e la clava nella mano sinistra, e lo scyphus di legno nella mano destra. Questi due ultimi attributi di Ercole erano conservati nel sacello presso l'Ara Maxima del Foro Boario, a Roma, e lo scyphus, usato dal pretore urbano per libare nel corso del sacrificio annuale presso l'ara, compare anche nella statua di culto di Alba Fucens, nella quale, per vari motivi, si è proposto di riconoscere una replica del simulacro del santuario del Foro Boario. Il richiamo iconografico a questi elementi, in un santuario-mercato ubicato lungo percorsi di transumanza, come era il Lucus Feroniae, non sembra casuale, ma potrebbe, in un certo senso, evocare il culto dell'Ara Maxima, e, in particolare, un aspetto fondamentale di esso, rappresentato dal collegamento con le Salinae ai piedi dell'Aventino. Queste, ubicate presso la porta Trigemina, e dunque prossime all'Ara Maxima, erano il luogo di deposito del sale proveniente dalle saline ostiensi, e destinato alla Sabina, e, in generale, alle popolazioni dell'interno dell'Italia centrale, dedite a un'economia pastorale. L'Ercole del Foro Boario, che tutelava le attività economiche collegate allo scambio del bestiame, sovrintendeva anche all'approvvigionamento del sale, e in questo senso va spiegato anche l'epiteto di Salarius, attestato per il dio ad Alba Fucens, dove, come è stato visto, il santuario di Ercole aveva la funzione di forum pecuarium. La dislocazione di santuari-mercati lungo i tratturi garantiva, dunque, ai pastori, dietro necessario compenso, la possibilità di rifornirsi di sale, e lo stesso doveva verificarsi presso il Lucus Feroniae. Questo sembra confermato dal fatto che, come è stato di recente dimostrato, la via lungo cui sorge il santuario, l'attuale strada provinciale Tiberina, vada, in realtà, identificata con la via Campana in agro falisco, menzionata da Vitruvio, in relazione a una fonte letale per uccelli e piccoli rettili. Il nome della via va spiegato, infatti, in relazione al punto di arrivo, costituito dal Campus Salinarum alla foce del Tevere, dove erano le saline. Nel comparto falisco, l'analisi della documentazione relativa ai luoghi di culto ha evidenziato una più marcata influenza di Veio rispetto all'area capenate. Questa risulta particolarmente rilevante in un centro come Narce, segnato, sin dall'inizio della sua storia, da una netta impronta veiente, e il cui declino coinciderà con gli anni della conquista della città etrusca. Per limitarci alla sfera del sacro, già da un primo esame dei materiali rinvenuti nel santuario suburbano di Monte Li Santi-Le Rote, di cui si attende la pubblicazione integrale, è stata segnalata, dall'inizio del V sec. a.C., epoca in cui comincia la frequentazione dell'area sacra, la presenza di prototipi veienti, che sono all'origine di una produzione locale di piccole terrecotte figurate. A un modello veiente sono riconducibili le cisterne a cielo aperto, che affiancavano l'edificio templare in almeno due dei principali santuari di Falerii Veteres, quello di Vignale e quello dello Scasato I, da identificare entrambi come sedi di un culto di Apollo. Più problematico risulta, invece, l'accostamento ad esse degli apprestamenti idrici rinvenuti presso un'area sacra urbana, recentemente individuata presso la moderna via Gramsci, nella parte meridionale del pianoro di Civita Castellana, e solo da una vecchia notizia d'archivio della Soprintendenza sappiamo di un'analoga cisterna rinvenuta presso Corchiano all'inizio del '900. Nei casi meglio documentati di Vignale e dello Scasato, tali impianti idrici risultano coevi alla fase più antica del santuario, e rispondono a uno schema che, a Veio, ricorre presso il santuario di Apollo al Portonaccio, presso il tempio a oikos di Piazza d'Armi, nel santuario di Menerva presso Porta Caere, e nel santuario in località Casale Pian Roseto. Non è facile determinare l'esatto valore da attribuire, di volta in volta, a tali cisterne, ma l'enfasi topografica ad esse accordata nell'ambito dei santuari non pare permetta di prescindere da un collegamento con pratiche rituali. Per gli impianti di Falerii si è pensato a un collegamento col santuario del Portonaccio, anche sulla base della corrispondenza cultuale incentrata sulla figura di Apollo, e la piscina è stata spiegata, dunque, in relazione a rituali di purificazione, legati a un culto oracolare. Dopo la sconfitta di Veio Falerii si trovò non solo a tener testa a Roma sul piano militare, ma dovette dimostrarsi non inferiore anche per prestigio e capacità autorappresentativa, essendo l'altro grande centro della basse valle del Tevere. Questo aspetto è stato colto, in particolare, sulla base della decorazione templare della città falisca, che conosce, intorno al secondo-terzo decennio del IV sec. a.C., un rinnovamento generalizzato, dovuto alla nascita di un'importante scuola coroplastica, la cui attività si riconosce anche nel frammento isolato di rilievo fittile rappresentante una Nike, da Fabrica di Roma. Una diversa reazione alla presa di Veio è attestata per l'altro importante centro falisco, quello di Narce, anche attraverso la documentazione fornita dal santuario di Monte Li Santi-Le Rote. Il luogo di culto continua a essere frequentato anche dopo la crisi dell'insediamento urbano, riscontrata attraverso una consistente contrazione delle necropoli a partire dal IV sec. a.C., ma nella prima metà del III sec. a.C. è attestata una contrazione del culto in vari settori del santuario, contestualmente all'introduzione di nuove categorie di ex-voto, quali i votivi anatomici, i bambini in fasce, le terrecotte raffiguranti animali. Questi mutamenti sono stati messi in relazione con la vittoria romana sui Falisci nel 293 a.C., mentre un secondo momento di contrazione del culto sembra coincidere con la definitiva conquista romana del 241 a.C. Dall'inizio del III sec. a.C. anche nei depositi di Falerii vengono introdotti nuovi tipi di votivi, cui si è fatto cenno precedentemente, e, come anche nel santuario di Monte Li Santi-Le Rote, si registra la presenza di monetazione di zecca urbana, che entra a far parte delle offerte. Tale dato diventa ancora più eloquente, se si considera l'assenza di monetazione locale nei contesti di epoca preromana, che sembra tradire l'indifferenza delle popolazioni falische verso tale tipo di offerta. È evidente, dunque, anche per Falerii, un'influenza del mercato romano dopo gli eventi bellici che segnarono la vittoria di Spurio Carvilio sui Falisci. La città, tuttavia, sembra fronteggiare la crisi, tanto da non mettere in pericolo le sue istituzioni, come dimostrano le dediche falische poste, nel Santuario dei Sassi Caduti, a Mercurio, dagli efiles, l'unica carica attestata per la città. Del resto, anche con la costruzione del nuovo centro di Falerii Novi, la documentazione relativa alla sfera religiosa attesta la conservazione, a livello pubblico, della lingua e della grafia falisca, tramite la dedica a Menerva posta dal pretore della città, nella seconda metà del III sec. a.C. (CIL XI 3081). Quanto sappiamo sui culti di età repubblicana di Capena e del suo territorio si limita al santuario di Lucus Feroniae, dove praticamente quasi tutti i materiali e le fonti epigrafiche sono inquadrabili nel corso del III sec. a.C., e a un paio di dediche di III sec. a.C. La capitolazione di Capena subito dopo la presa di Veio (395 a.C.) rende, in questa fase, la presenza romana ormai stabile da circa un secolo, dunque non sorprende che le iscrizioni sacre utilizzino un formulario specificamente latino, anche con attestazioni piuttosto precoci di espressioni che diventeranno correnti nel corso del II sec. a.C. Uno dei primi esempi attestati di abbreviazione alle sole iniziali della formula di dedica d(onum) d(edit) me(rito) è in CIL I², 2435, provenente dalla necropoli capenate delle Saliere. La documentazione archeologica più antica riguardo alla vita religiosa dell'area presa in esame proviene da Falerii Veteres. In ordine cronologico, la prima divinità attestata epigraficamente è Apollo, il cui nome compare inciso in falisco su un frammento di ceramica attica dei primi decenni del V sec. a.C. dal santuario di Vignale. È notevole che si tratti in assoluto della più antica attestazione conosciuta del nome latinizzato del dio, che indica la sua precoce assimilazione nel pantheon falisco, dove, già da quest'epoca, bisogna riconoscere come avvenuta l'identificazione con Apollo del locale Soranus. Il culto del dio del Soratte, attestato per via epigrafica solo in età imperiale, attraverso due dediche a Soranus Apollo, può essere coerentemente collocato tra le più antiche manifestazioni religiose del comprensorio falisco-capenate, e probabilmente la sede cultuale del Monte Soratte doveva fungere da tramite tra le due aree. Nel territorio falisco la presenza del dio lascia tracce più consistenti, attraverso la duplicazione del culto di Apollo a Falerii Veteres, e una dedica di età repubblicana da Falerii Novi, mentre sembra affievolirsi in area capenate, dove ne resta traccia solo in due dediche ad Apollo della prima età imperiale da Civitella S. Paolo, e in una controversa notizia di Strabone, che, apparentemente per errore, ubica al Lucus Feroniae le cerimonie in onore di Sorano, che si svolgevano, invece, sul Soratte. Anche questa notizia, tuttavia, si inserisce in un sistema di corrispondenze cultuali, che associa a una dea ctonia, della fertilità, un paredro di tipo "apollineo", cioè una divinità maschile, giovanile, con aspetti inferi e mantici. Non sembra casuale, in questo contesto, che il santuario per cui è attestata una più antica frequentazione a Falerii Veteres sia quello di Giunone Curite, una divinità che sembra rispondere allo schema di dea matronale e guerriera (era una Giunone armata, ma anche protettrice delle matrone) per la quale, pure, è attestata l'associazione cultuale con un giovane dio, della stessa tipologia di Sorano. Anche se non sono attestati direttamente rapporti tra Iuno Curitis e Sorano Apollo non sembra da trascurare il dato che l'unica statuetta di Apollo liricine, di IV sec. a.C., rinvenuta a Falerii Veteres provenga proprio dal santuario della dea; inoltre quando essa fu evocata a Roma dopo la presa di Falerii nel 241 a.C., insieme al suo tempio, in Campo, fu costruito quello di Iuppiter Fulgur, una divinità parimenti evocata dal centro falisco, e per la quale, pure, si possono istituire dei parallelismi con Soranus, attraverso l'assimilazione con Veiove. Nell'agro falisco, come in quello capenate, le più antiche attestazioni cultuali si riferiscano, dunque, a una coppia di divinità che, pur nelle differenze maturate in aspetti specifici del culto, sembra rispondere a esigenze cultuali piuttosto omogenee. Con l'età imperiale, infine, il panorama dei culti della zona considerata sembra diventare più omogeneo, inserendosi, peraltro, in una tendenza piuttosto generale. La manifestazione più appariscente è costituita, naturalmente, dal culto imperiale, attestato molto presto in Etruria meridionale. Da Nepi proviene la più antica testimonianza nota in Etruria, costituita da una dedica in onore di Augusto da parte di quattro Magistri Augustales (CIL XI, 3200). L'iscrizione è databile al 12 a.C., anno della fondazione del collegio di Nepi, e dell'istituzione, a Roma, del culto del Genius di Augusto e dei Lares Augusti, venerati nei compita dei vici della città. Altri esempi di una piuttosto precoce diffusione del culto imperiale vengono da Falerii Novi (CIL XI, 3083, databile tra il 2 a.C. e il 14 d.C.; CIL XI, 3076, età augustea); da Lucus Feroniae, dove intorno al 31 d.C. è attestato per la prima volta l'uso della formula in honorem domus divinae (AE 1978, n. 295). Il fatto che la diffusione del culto imperiale in agro falisco-capenate avvenga praticamente negli stessi anni che a Roma, sembra legato anche ai rapporti che legarono Augusto e la dinastia giulio-claudia a questo territorio. Dopo Anzio veterani di Ottaviano ottennero terre nell'Etruria meridionale, lungo il corso del Tevere, e non è un caso che l'Augusteo di Lucus Feroniae, l'unico in Etruria meridionale, che sia noto, oltre che epigraficamente, anche attraverso i suoi resti, sia stato eretto tra il 14 e il 20 d.C. da due membri della gens senatoria, filoagustea, dei Volusii Saturnini. Augusto stesso e membri della dinastia parteciparono direttamente alla vita civile dei centri della regione: Augusto fu pater municipii a Falerii Novi, Tiberio e Druso Maggiore furono patroni della colonia a Lucus Feroniae, tra l'11 e il 9 a.C. Inoltre la presenza, nel territorio capenate, di liberti imperiali incaricati dell'amministrazione del patrimonio dell'imperatore, fa pensare all'esistenza di fundi imperiali. La documentazione di età imperiale è costituita, inoltre, da una serie di iscrizioni che difficilmente possono farci risalire a specifici luoghi di culto, e dalle quali, in molti casi, si evince soprattutto una richiesta di salute e di fertilità alla divinità, come avveniva in età repubblicana, tra il IV e il II sec. a.C., attraverso l'offerta nei santuari di votivi anatomici. Sono note anche alcune attestazioni di culti orientali (Mater Deum e Iside, anche associate, da Falerii Novi e dal suo territorio; una dedica alla Mater Deum da Nazzano, in territorio capenate), che rientrano nell'ambito della devozione privata, tranne nel caso del sacerdozio di Iside a Mater Deum attestato a Falerii Novi. ; Inventaire des lieux de culte de la zone falisco-capenate. Résumé. Le recueil des sources historiques relatives à la vie religieuse de la zone falisco-capenate a eut comme but, tout d'abord, la localisation des lieux de culte identifiables avec certitude comme tels. Lorsque cela s'est avéré impossible, particulièrement en présence de documents épigraphiques isolés et d'origine incertaine, on a tout de même enregistré l'existence du culte. On veut reconstruire, au moyen de la documentation récoltée, une histoire des cultes de la zone considérée depuis les premières apparitions jusqu'à l'âge impérial. La zone considérée, insérée dans la Regio VII Etruria dans le cadre de l'organisation territoriale de l'Italie augustéenne, est comprise dans les limites naturelles du lac de Bracciano et du lac de Vico à l'ouest, du cours du Tibre à l'est, tandis que les limites septentrionale et méridionale sont délimitées, respectivement, par les reliefs des Monts Cimini et des Monts Sabatini. Les centres examinés sont ceux de Lucus Feroniae, Capena, Falerii Veteres, Falerii Novi, Narce, Sutri et Nepi. La communauté capenate occupait la partie orientale du territoire, un zone de plaine, dominée au nord par le massif du Mont Soratte, et délimitée à l'est par l'anse du Tibre. Son centre était constitué par l'habitat de Capena, l'actuel Col de la Civitucola, dont dépendaient une série de petits sites, encore peu étudiés, disséminés en position stratégique sur le Tibre, ou en correspondance d'axes routiers de liaison au fleuve. Le principal de ces derniers est localisé sur le site de l'actuelle Nazzano, occupé de manière permanente à partir du VIIIème siècle av. J.-C., et situé en correspondance de l'habitat sabin de Campo del Pozzo, sur l'autre rive du Tibre. La zone falisque s'articule, par contre, sur un paysage d'âpres collines de tuf, disposées autour du bassin hydrographique du torrent Treia, affluent du Tibre, qui parcourt le territoire en direction longitudinale. Le long du cours d'eau se développèrent les deux plus antiques et importants centres falisques de Falerii Veteres et Narce, un site que les plus récentes recherches tendent à reconnaître, et de manière toujours plus convaincante, comme la Fescennium connue dans les sources historiques, le deuxième habitat falisque, outre à Falerii, dont on reporte le nom; le long d'affluents du Treia sont situées Nepi et Falerii Novi. Malgré la spécificité culturelle progressivement développée par falisques et capenates, la situation géographique du territoire occupé le rend naturellement perméable aux influences étrusques et sabines, aspect relevé par la documentation archéologique et par quelques informations dans les sources antiques, réévaluée par les plus récentes études. Une position différente s'était par contre imposée après les premières recherches effectuées dans la région entre la fin du XIXème et le début du XXème siècle : celles-ci avaient mis l'accent sur les caractères culturels spécifiques des populations locales, en soulignant la substantielle autonomie de ces populations par rapport aux Etrusques, surtout sur la base des grandes similitudes entre les langues falisque et latine. Une telle perception fut dominante jusqu'à la deuxième moitié des années Soixante du Vingtième siècle, lorsque la publication des premières données sur les nécropoles de Véies mirent en lumière les rapports étroits avec les zones falisque et capenate entre le VIIIème et le VIIème siècle av. J.-C. Les études sur le peuplement de l'Etrurie protohistorique, conduites à partir des années '80 du XXème siècle ont focalisé l'attention sur une implication de Véies dans le peuplement de la zone comprise entre les Monts Cimini et Sabatini d'une part et le Tibre d'autre part, et cela au début de l'Âge du Fer, études confirmées par les récentes analyses des trousseaux des principales nécropoles falisques, qui ont prouvé qu'il existait au VIIIème et au début du VIIème siècle av. J.-C. d'importants parallèles avec les habitudes funéraires de Véies, bien que certains aspects spécifiques de la culture locale y fussent conservés. Le corpus d'inscriptions étrusques provenant de la nécropole de Narce démontre, pour tout le VII et le VIème siècle ac. J.-C., la présence continue de populations parlant la langue étrusque, qui utilisent un système d'écriture de type méridional, reconductible à Véies, dont Narce semble avoir constitué un avant-poste en territoire falisque. Déjà au début du VIIème siècle av. J.-C. cependant, on remarque les signes évidents d'une plus spécifique caractérisation culturelle des zones falisques et capenates, et cela au travers, entre autre, de la diffusion d'un idiome falisque, semblable au latin, documenté par des épigraphes au VIIème et au VIème siècle av. J.-C., surtout à Falerii Veteres. Ultérieur élément de contact culturel avec le monde latin est représenté, dans ce centre, par le rituel funéraire des inhumations infantiles dans la zone habitée. Une telle habitude, qui trouve de nombreuses comparaisons dans le Latium vetus, est étrangère à l'Etrurie, alors qu'elle est documentée à Cività Castellana, en localité «lo Scasato», par deux sépultures d'enfants datables entre la fin du VIIIème siècle et la première moitié du VIIème siècle av. J.-C. A Capena a été remarqué, à partir du VIIème siècle av. J.-C., une grande influence provenant de l'aire sabine, surtout à travers la documentation archéologique fournie par les nécropoles, tandis que du point de vue linguistique un influence du versant oriental du Tibre a été remarquée, en particulier par une analyse du noyau plus consistant des inscriptions relatifs aux nouveaux-nés, qui remonte au IV – IIIème siècle av. J.-C. La réceptivité vis-à-vis des nouveautés des populations limitrophes et la capacité d'élaborations originales, prouvées archéologiquement déjà depuis les phases les plus antiques de l'histoire des peuples falisques et capenates, peuvent offrir une aide documentaire à la perception que les écrivains antiques avaient de l'ethnos falisque, en trouvant un équivalent dans les traditions qui définissaient les Falisques comme des Etrusques, ou bien comme un peuple à soi, caractérisé par une spécificité propre, aussi linguistique. Cette dernière donnée trahit la mémoire de contacts avec le monde latin. Un troisième filon antique, qui se mêle à celui d'origine étrusque, revendique pour les falisques une ascendance grecque, plus précisément de l'Argolide et semble le fruit d'une construction d'érudits élaborée successivement. L'information de l'origine argolide remonte, par tradition indirecte, aux Origines de Caton, et se relie à celle de la fondation de Falerii de la part du héros Halesus, fils d'Agamemnon, qui aurait abandonné la maison paternelle après l'assassinat de son père. Ovide et Denys d'Halicarnasse attribuent au héros grec l'institution du culte de Junon à Falerii, dont le caractère originel argolide serait conservé dans le rite célébré en occasion de la fête annuelle de la déesse. L'importance accordée au culte de Junon au sein d'une telle tradition a amené à supposer que celui-ci se soit développé précisément à partir de la donnée religieuse de la présence à Falerii d'une divinité semblable à Héra d'Argos. Grâce à l'examen linguistique du nom du fondateur, qui n'a pas combattu à Troie et qui n'a eut aucun rôle dans le monde grec, on a conclu qu'il devait s'agir d'un héros local, et que la formation de l'éponyme ait été précédent à la moitié du IVème siècle av. J.-C., lorsque l'affirmation du rhotacisme est documenté dans la culture falisque. L'élaboration de la légende de Halesus doit donc être située à un moment précédent cette date qui, comme on l'a pensé, puisse coïncider avec la présence à Falerii d'artistes grecs ou hellénisés, actifs dans la céramographie et dans la choroplastique, à partir de la fin du Vème siècle av. J.-C. Cette tradition se relie à celle sur l'origine étrusque, par l'information de Servius, selon lequel Halesus serait le grand-père du roi de Véies Morrius. Le souvenir d'une descendance de la ville étrusque est commune aussi a Capena où, d'après une nouvelle de Caton, rapportée par Servius, les luci Capeni avaient été fondés par des jeunes de Véies, envoyés par un roi Properce, dans le nom duquel a été identifié une origine non étrusque, mais bien italico-orientale. Du point de vue historique, le rapprochement entre Véies, falisques et capenates sera documenté dans les sources par la présence constante des deux peuples au flanc de la ville étrusque au cours des luttes contre Rome entre la deuxième moitié du Vème et le début du IVème siècle av. J.-C. D'un tel système complexe d'influences participe aussi la sphère religieuse de la zone en question. Il est intéressant de noter, à ce propos, que la principale divinité masculine du panthéon falisco-capenate, le dieu du Mont Soratte, Soranus Apollon, constitue le correspondant exact de l'étrusque Śuri, comme l'a démontré Giovanni Colonna. La particularité du culte de Soratte, toutefois, est déterminée par la cérémonie annuelle des Hirpi Sorani, qui marchaient indemnes sur des charbons ardents et dont le nom, dans le récit étiologique sur l'origine du rite transmis par Servius, est expliqué en relation à hirpus, le nom sabin pour «loup», parfaitement cohérent avec la caractéristique frontalière de ce territoire. D'origine sabine est aussi la divinité vénérée dans le seul grand sanctuaire connu dans le territoire capenate, le Lucus Feroniae. La diffusion du culte à partir de la Sabine, version soutenue déjà par Varron, est largement acceptée par la critique récente, sur la base d'une part de l'analyse linguistique du nom de la déesse et d'autre part vu la présence sur le territoire sabin des principaux centres de culte (Trebula Mutuesca, Aminternum), d'où ceux-ci se diffusent, outre à Capena, vers l'Ombrie et le territoire volsque. Les attestations de Feronia dans d'autres zones, comme en Sardaigne, en territoire de Luni, à Aquilée et à Pesaro sont généralement à mettre en relation avec des épisodes de colonisation romaine. Le caractère explicitement commercial du Lucus Feroniae, affirmé par Denys d'Halicarnasse et par Tite-Live, qui le décrivent comme un lieu de marché fréquenté par les sabins, les étrusques et les romains déjà à l'époque de Tullius Ostilius, rend parfaitement compte de la variété des fréquentations et des influences qui caractérisent le sanctuaire à partir de l'Âge archaïque. Bien que n'ayant pas de documentation archéologique relative aux phases les plus antiques, l'information sur la vitalité du culte capenate déjà à l'époque royale semble fiable. Feronia, en effet, est couplée, à Terracina, à Iuppiter Anxur, divinité éponyme de la ville volsque, ce qui semble faire remonter l'introduction de son culte au début de la présence volsque dans la plaine pontine, c'est-à-dire vers les premières décennies du Vème siècle av. J.-C. Cela fournit, en plus, un indice possible d'une provenance septentrionale de l'ethnos volsque depuis la zone sabine. Il est donc envisageable que la déesse ait été adorée dans le sanctuaire tibérien, en face de la Sabine, bien avant son arrivée dans le Latium tyrrhénien. Au-delà de la simple fréquentation du lieu de culte et du marché, un rôle de premier plan joué par l'élément sabin pour le Lucus Feroniae en époque archaïque semble suggéré par l'épisode de l'enlèvement de marchants romains relaté par Denys d'Halicarnasse. Les ravisseurs sabins effectuent une rétorsion contre les romains, qui avaient enfermé certains des leurs sur l'Asylum, entre le Capitole et l'Arx, ce qui fait penser que les sabins exerçaient une sorte de protectorat sur le sanctuaire tibérien et qu'ils avaient sur celui-ci une capacité de contrôle semblable à celui que les romains avaient sur l'Asylum romuléen. La vocation commerciale du Lucus Feroniae est naturellement liée à son emplacement topographique, à l'endroit où les parcours sabins de transhumance à courte distance traversent le Tibre, entre les deux grands centres sabins de Poggio Sommavilla et Colle del Forno, pour se diriger vers la côte méridionale de l'Etrurie. La dislocation près du lieu d'arrivée des principaux sentiers de la zone apennine, habitée de peuplades sabelliques, est, en outre, une caractéristique commune aux plus anciens lieux de culte de Feronia, comme par exemple Trebula Mutuesca et Terracina, qui partagent avec le Lucus Feroniae capenate l'emplacement à l'extrémité d'un territoire ethniquement homogène. Il a été observé combien, dans ces sanctuaires, l'activité commerciale maritime était liée à l'échange du bétail et il faut prendre en compte l'ouverture à l'économie pastorale sarde pour comprendre la fondation romaine en 386 av. J.-C. d'une Pheronia polis en Sardaigne, près de Posada. De cette localité provient, en outre, une statuette en bronze, datable entre la fin du Vème et les premières décennies du IVème siècle av. J.-C., qui représente un Hercule de type italique, divinité dont on connaît le lien avec la sphère de l'échange, et surtout son rapport avec les troupeaux. L'époque de l'apoikia sarde a amené à envisager une relation avec le Lucus Feroniae capenate, vu que déjà entre 389 et le 387 av. J.-C. dans le territoire de Capena des colons romains s'étaient établis, unis à des déserteurs provenant de Véies, Capena et Falerii. La filiation du culte sarde à partir du culte tibérien semble, en outre, parfaitement compatible avec les rares attestations relatives à une présence d'Hercule dans le sanctuaire capenate. A ce sujet il est intéressant de remarquer que sur une Heraklesschale, encore inédite, provenant du dépôt votif du sanctuaire, le dieu est représenté avec la leonté et la massue dans la main gauche, et le skyphos en bois dans la main droite. Ces deux derniers attributs d'Hercule étaient conservés dans le sacellum près de l'Ara Maxima du Forum boarium, à Rome, et le skyphos, utilisé par le préteur urbain pour faire les libations au cours du sacrifice annuel auprès de l'Ara, apparaît aussi dans la statue de culte d'Alba Fucens, dans laquelle, en raison de nombreuses similitudes, on a proposé de reconnaître une réplique du simulacre du sanctuaire du Forum boarium. La répétition iconographique de ces éléments dans un sanctuaire-marché situé le long des voies de la transhumance, comme était le Lucus Feroniae, ne semble pas un hasard et pourrait d'ailleurs, dans un certain sens, évoquer le culte de l'Ara Maxima et en particulier un aspect fondamental de celui-ci, représenté par la liaison avec les Salinae aux pieds de l'Aventin. Celles-ci, situées près de la porta Trigemina, et donc proches de l'Ara Maxima, étaient le lieu de dépôt du sel provenant des salines d'Ostie destiné à la Sabine, et en général aux populations établies à l'intérieur de l'Italie centrale et vouées à l'économie pastorale. L'Hercule du Forum boarium, qui protégeait les activités économiques liées aux échanges de bétail, gouvernait aussi à l'approvisionnement du sel, et c'est en ce sens que doit aussi s'expliquer l'épithète de Salarius, attesté pour le dieu à Alba Fucens où, comme on l'a vu, le sanctuaire d'Hercule avait la fonction de forum pecuarium. La dislocation de sanctuaires-marchés le long des voies de transhumance garantissait donc aux pasteurs, après compensation nécessaire, la possibilité de se pourvoir en sel, et la même chose devait advenir au Lucus Feroniae. Ceci semble confirmé par le fait que, comme il a été démontré récemment, la route le long de laquelle se dresse le sanctuaire, l'actuelle route provinciale Tiberina, doive en réalité être identifiée comme la via Campana en territoire falisque, mentionné par Vitruve, en relation avec une source mortelle pour les oiseaux et les petits reptiles. Le nom de la route s'explique, en effet, en relation à son point d'arrivée, le Campus Salinarum situé à l'embouchure du Tibre, où se trouvaient les salines. Dans la zone falisque, l'analyse de la documentation relative aux lieux de culte a mis en évidence une influence majeure de Véies par rapport à la zone capenate. Cela résulte particulièrement important dans un centre comme Narce, marqué, depuis le début de son histoire, par une nette influence de Véies, et dont le déclin coïncidera avec les années de la conquête de la ville étrusque. Pour nous limiter à la sphère du sacré, déjà à partir d'un premier examen du matériel retrouvé dans le sanctuaire suburbain de Monte Li Santi – Le Rote, dont on attend la publication intégrale, on a signalé, à partir du Vème siècle av. J.-C., époque à laquelle commence la fréquentation de l'aire sacrée, la présence de prototypes provenant de Véies, qui sont à l'origine d'une production locale de petites terre cuites figurées. A un modèle de Véies sont reconductibles les citernes à ciel ouvert, qui flanquaient l'édifice templier dans au moins deux des principaux sanctuaires de Falerii Veteres, celui de Vignale et celui de Scasato I, tous deux à identifier comme lieux de culte dédiés à Apollon. Plus difficile est par contre le rapprochement de celles-ci aux citernes fermées retrouvées proche d'une aire sacré urbaine, récemment identifiée dans la moderne rue Gramsci, dans la partie méridionale du plateau de Civita Castellana, tandis que c'est seulement grâce à une vieille note des archives de la Surintendance que nous savons de l'existence d'une citerne semblable retrouvée près de Corchiano au début du Vingtième siècle. Dans les cas mieux documentés de Vignale et de Scasato, de tels systèmes hydrauliques résultent contemporains à la phase la plus antique du sanctuaire, et correspondent à un schéma qui revient à Véies dans le sanctuaire d'Apollon au Portonaccio, proche du temple à oikos de la Piazza d'Armi, dans le sanctuaire de Menerva près de la Porta Caere, ainsi que dans le sanctuaire situé en localité Casale Pian Roseto. Il n'est pas facile de déterminer la valeur exacte à attribuer, selon les cas, à de telles citernes, mais l'emphase topographique qu'on leur accorde dans le cadre des sanctuaires ne semble pas permettre de pouvoir exclure une relation avec les pratiques rituelles. Pour le site de Falerii on a pensé à une relation avec le sanctuaire de Portonaccio, entre autre sur la base d'une correspondance des cultes centrée sur la figure d'Apollon, et la piscine a ainsi été expliquée en relation à des rituels de purification liés à un culte oraculaire. Après la défaite de Véies, Falerii dut faire face non seulement à Rome du point de vue militaire, mais elle dut aussi se montrer non inférieure par prestige et capacité d'autoreprésentation, étant l'autre grand centre de la basse vallée du Tibre. Cet aspect a été noté, en particulier, sur la base de la décoration des temples de la ville falisque, qui connaît vers la deuxième – troisième décennie du IVème siècle av. J.-C. un renouveau général dû à la naissance d'une importante école choroplastique, dont l'activité se reconnaît aussi dans le fragment isolé de relief d'argile représentant une Nike, provenant de Fabrica di Roma. Une autre réaction à la prise de Véies est attestée dans l'autre important centre falisque, celui de Narce, aussi grâce à la documentation fournie par le sanctuaire de Monte Li Santi – Le Rote. Le lieu de culte continue à être fréquenté après la crise de la ville, comme le démontre une consistante contraction des nécropoles à partir du IVème siècle av. J.-C., mais dans la première moitié du IIIème siècle une ultérieure réduction du culte est prouvée dans de nombreux secteurs du sanctuaire, en parallèle à l'introduction de nouvelles catégories d'ex-voto, comme les ex-voto anatomiques, les nouveaux-nés enveloppés dans des bandes, les terre cuites représentant des animaux. Ces changements ont été mis en relation avec la victoire romaine sur les Falisques en 293 av. J.-C., alors qu'un deuxième moment de contraction du culte semble coïncider avec la définitive conquête romaine de 241 av. J.-C. Depuis le début du IIIème siècle av. J.-C., on assiste aussi dans les dépôts votifs de Falerii à l'introduction de nouveaux types d'ex-voto, dont on a parlé précédemment, et, comme pour le sanctuaire de Monte Li Santi – Le Rote, on enregistre la présence de pièces de monnaie romaines, qui commencent à constituer des offrandes. Une telle donnée devient encore plus éloquente lorsqu'on considère l'absence de monnaies locales dans les contextes préromains, qui semble trahir l'indifférence des populations falisques envers un tel type d'offrande. Il est donc évident aussi pour Falerii une influence du marché romain après les évènements belliqueux qui marquèrent la victoire de Spurius Carvilius sur les Falisques. La ville semble toutefois réussir à affronter la crise, au point de ne pas mettre en danger ses institutions, comme le démontrent les dédicaces falisques adressées à Mercure, dans le Sanctuaire dei Sassi Caduti, par les efiles, seuls magistrats attestés en ville. Par ailleurs, aussi avec la construction du nouveau centre de Falerii Novi, la documentation relative à la sphère religieuse prouve la conservation, au niveau public, de la langue et de la graphie falisque, par exemple dans la dédicace à Menerva effectuée par le préteur de la ville, pendant la deuxième moitié du IIIème siècle av. J.-C. (CIL XI 3081). Ce que nous savons sur les cultes de l'époque républicaine se limite au sanctuaire de Lucus Feroniae, où pratiquement tout le matériel et les sources épigraphiques peuvent être situés durant le IIIème siècle av. J.-C., et à deux dédicaces du IIIème siècle av. J.-C. La capitulation de Capena immédiatement après la chute de Véies (395 av. J.-C.) rend, à cette période, la présence romaine stable depuis environ déjà un siècle, et on ne se surprend donc pas du fait que les inscriptions sacrées utilisent un formulaire spécifiquement latin, avec même une présence plutôt précoce d'expressions qui deviendront courante au cours du IIème siècle av. J.-C. Un des premiers exemples attestés d'abréviations aux seules initiales de la formule de dédicace d(onum) d(edit) me(rito) se trouve dans CIL I, 2435, et provient de la nécropole capenate de Saliere. La plus antique documentation archéologique sur la vie religieuse de la zone prise en examen provient de Falerii Veteres. En ordre chronologique, la première divinité présente épigraphiquement est Apollon, dont le nom apparaît gravé en langue falisque sur un fragment de céramique attique remontant aux premières décennies du Vème siècle av. J.-C., qui provient du sanctuaire de Vignale. Il est intéressant de noter qu'il s'agit dans l'absolu de la plus antique attestation connue du nom latinisé du dieu, ce qui indique son assimilation précoce dans le pantheon falisque où, déjà à partir de cette époque, il faut reconnaître comme déjà effectuée l'identification entre Apollon et le dieu local Soranus. Le culte du dieu de Soratte, attesté épigraphiquement seulement à l'époque impériale, à travers deux dédicaces à Soranus Apollo, peut être situé de manière cohérente parmi les plus antiques manifestations religieuses du territoire falisco-capenate, et probablement le centre du culte du Mont Soratte devait servir de point de jonction entre les deux zones. Dans le territoire falisque la présence du dieu laisse des traces plus consistantes, à travers la duplication du culte d'Apollon à Falerii Veteres et une dédicace d'époque républicaine venant de Falerii Novi, tandis qu'elle semble s'affaiblir dans l'aire capenate, où on en trouve trace seulement dans deux dédicaces à Apollon, datant de la première époque impériale à Civitella S. Paolo, et dans un passage controversé de Strabon qui, apparemment par erreur, situe au Lucus Feroniae les cérémonies en l'honneur de Sorano, qui étaient au contraire célébrées sur le Mont Soratte. Cette information toutefois s'insère dans un système de correspondances cultuelles qui, associées à une déesse chtonienne, de la fertilité, et à un parèdre de type « apollinien », c'est-à-dire une divinité masculine, jeune, d'aspect infernal et mantique. Ce n'est pas un hasard, dans ce contexte, que le sanctuaire pour lequel est attestée une plus antique fréquentation à Falerii Veteres soit celui de Iuno Curitis, une divinité qui semble répondre au schéma de déesse matronale et guerrière (il s'agissait d'une Junon armée, mais aussi protectrice des matrones) pour laquelle, en outre, on a la preuve de l'association cultuelle avec un jeune dieu, de la même typologie que celle présente à Sorano. Même si on n'a pas d'attestations directes de l'existence de rapports entre Iuno Curitis et Sorano Apollo, il semble qu'il ne faille pas délaisser le fait que l'unique statuette d'Apollon jouant de la lyre, du IVème siècle av. J.-C., retrouvée à Falerii Veteres provienne justement du sanctuaire de la déesse; en outre lorsqu'elle fut évoquée à Rome après la prise de Falerii en 241 av. J.-C., en même temps que son temple situé in Campo, un autre temple fut construit, celui de Iuppiter Fulgur, une divinité du centre falisque pareillement évoquée, et pour laquelle on peut établir des parallèles avec Soranus, au travers de l'assimilation avec Veiove. Dans le territoire falisque comme dans celui capenate, les plus anciennes attestations cultuelles se réfèrent donc à un couple de divinités qui, tout en ayant des différences dans des aspects spécifiques du culte, semblent répondre à des exigences cultuelles plutôt homogènes. Durant l'époque impériale, enfin, le panorama des cultes de la zone considérée semble devenir plus homogène, en suivant par ailleurs une tendance générale. La manifestation plus évidente est formée, naturellement, par le culte impérial, présent très tôt en Etrurie méridionale. Le plus antique témoignage du culte impérial connu en Etrurie provient de Nepi, et il est constitué d'une dédicace en l'honneur d'Auguste de la part de quatre Magistri Augustales (CIL XI, 3200). L'inscription est datable à 12 av. J.-C., année de la fondation du collège de Nepi et de l'institution à Rome du culte du Genius d'Auguste ainsi que des Lares Augusti, vénérés dans les compita des vici de la ville. D'autres exemples d'une diffusion plutôt précoce du culte impérial viennent de Falerii Novi (CIL XI, 3083, datable entre 2 av. J.-C. et l'an 14 ; CIL XI, 3076, époque augustéenne); de Lucus Feroniae, où vers 31 av. J.-C. l'usage de la formule in honorem domus divinae (AE 1978, n. 295) est documenté pour la première fois. Le fait que la diffusion du culte impérial dans le territoire falisco-capenate ait commencé pratiquement dans les mêmes années qu'à Rome semble aussi lié aux rapports qu'eurent Auguste et la dynastie julio-claudienne avec ce territoire. Après Anzio les vétérans d'Octave obtinrent des terres en Etrurie méridionale, le long du cours du Tibre, et ce n'est pas un hasard si l'Augusteum de Lucus Feroniae, le seul en Etrurie méridionale connu outre que de manière épigraphique aussi grâce à ses vestiges, ait été érigé entre 14 et 20 apr. J.-C. par deux membres de la gens sénatoriale, filo-augustéenne, des Volusii Saturnini. Auguste lui-même et des membres de la dynastie participèrent directement à la vie civile des centres de la région: Auguste fut pater municipii à Falerii Novi, Tibère et Druse Majeur furent les patrons de la colonie à Lucus Feroniae, entre 11 et 9 av. J.-C. La présence, en outre, d'affranchis impériaux sur le territoire capenate, chargés de l'administration du patrimoine de l'empereur, fait penser à l'existence de fundi impériaux. La documentation d'époque impériale est formée d'une série d'inscriptions qui difficilement peuvent nous faire remonter à des lieux de cultes bien précis, et desquelles dans de nombreux cas, on déduit surtout une demande de santé et de fertilité à la divinité, comme il était fréquent à l'époque républicaine, entre le IV et le IIème siècle av- J.-C., qui s'exprime au moyen d'offrandes d'ex-voto anatomiques dans les sanctuaires. On connaît aussi quelques attestations de cultes orientaux (Mater Deum et Isis, parfois associées, provenant de Falerii Novi et de son territoire ; une dédicace à la Mater Deum de Nazzano, en territoire capenate), qui entrent dans le cadre d'une dévotion privée, sauf dans le cas du sacerdoce d'Isis à Mater Deum présent à Falerii Novi. ; The list of documentary sources concerning the religious life of the falisco-capenate area aim at findings the places of worship that can be identified with certainty. Whenever this has not been possible we have signalled the worship anyway. Through these documents we intend to reconstruct the history of the cults of the area examined, from its beginning to imperial age. The examined area, included in the Regio VII Etruria of the territorial organisation of Augustean Italy, is enclosed within the natural limits of the Bracciano lake and Vico lake at west, of the Tiber at east; the northern and southern limits are marked, respectively, by the Cimini mounts and Sabatini mounts. The sites considered are Lucus Feroniae, Capena, Falerii Veteres, Falerii Novi, Narce, Sutrium et Nepet. ; XIX Ciclo ; 1977