Ascertaining that today immigration phenomenon has considerable effects on legal systems, the paper aims to reflects on the necessity of its more organic and structural regulation and management, which points to a 'normalization' of immigration, that necessarily requires a multilevel governance. Analysing the case of the Piedmont Region, therefore, the paper intends to uphold how the Regions can really take on an innovative and decisive role in rethinking and building territorial policies and practices, based on the principle of subsidiarity and on a public-private integration. A regional social system would thus usefully be established which would allow for a more comprehensive integration of society, implying, first of all, a change in the host community, and better able to fulfil and strengthen democracy in the legal system.
Il saggio intende riflettere, in occasione del decennale del Trattato di Lisbona, sulle politiche europee in tema di controlli alle frontiere, di asilo e di immigrazione. In particolare, dopo l'analisi della disciplina prevista nei Trattati e nel diritto derivato europeo rispetto ai diversi ambiti considerati, se ne esamina la complessiva tenuta in relazione alla crisi migratoria che ha interessato l'Europa in quest'ultimo quinquennio e i possibili sviluppi futuri dell'Unione.
Si può oggi parlare di una sorta di «fallimento» della riforma del Titolo V del 2001 e del modello di regionalismo da essa prefigurato: quest'ultimo è rimasto infatti in molta parte inattuato, in altra 'abbandonato'; per alcuni aspetti in stand by, per molti altri in via di ulteriore revisione. Nell'articolo si sottolinea come, per dare attuazione al Titolo V, si debba, inevitabilmente, guardare ad esso in una prospettiva ordinamentale: modificare l'assetto regionale senza incidere su alcuni snodi di livello centrale (il Parlamento e il processo legislativo in primo luogo) ha infatti condotto al fallimento del processo. Il primo snodo ordinamentale sul quale intervenire è dunque costituito dall'istituzione di una sede legislativa in cui istanze unitarie statali e esigenze di autonomia e di differenziazione degli enti substatali possano integrarsi e fondersi in una sintesi compiuta, in cui le tensioni tra centro e periferia possano 'decontrarsi' e il progetto di regionalismo, che si 'respira' dalle disposizioni costituzionali, realizzarsi: una convinta e efficace riforma del Senato. La sua assenza in questi anni ha sopravvalutato, più di quanto fosse necessario, il ruolo della Corte costituzionale, spostando 'a valle' decisioni che avrebbero dovuto essere assunte 'a monte', dal sistema politico. Al di là di ciò, è comunque indubbio che oggi il sistema locale risulti delineato in massima parte dall'opera della Corte e che in qualche misura essa debba divenire elemento istituzionale di stabilizzazione del sistema regionale e locale. Il ruolo della Corte, in sostanza, è comunque decisivo e un assetto decentrato del sistema non può non considerare la sua incidenza. Il che non equivale a regionalizzare la Corte, ma sicuramente ad intravedere modifiche costituzionali che valorizzino il suo peso nell'equilibrio complessivo del sistema. Come la Corte costituzionale, negli anni più recenti anche il Capo dello Stato, in conseguenza di una crisi della politica sempre più acuta, è venuto via via assumendo un ruolo fondamentale per il sistema. Considerata la funzione 'chiave' svolta da quest'organo, non solo rispetto alla forma di governo, ma anche nei confronti della forma di Stato, ci si dovrebbe interrogare su una diversa attuazione (o modifica) della norma riguardante la sua elezione, in funzione di una maggiore partecipazione dei territori alla sua elezione. La tesi sostenuta è che, per costituire la strada da seguire per portare a termine il progetto cominciato nel 2001, si debba garantire una maggiore ed effettiva integrazione delle autonomie territoriali nei confronti delle istituzioni nazionali, in particolare di quelle che si ritengono essere i 'pilastri' dell'ordinamento.
Le problematiche e gli interrogativi relativi alla decretazione d'urgenza sono stati da sempre al centro del dibattito della dottrina e della 'inquietudine' politica delle istituzioni del nostro ordinamento repubblicano; ma negli ultimi anni, grazie a decisioni della Corte costituzionale che hanno innovato profondamente il quadro di concreta applicazione della disposizione di cui all'art. 77 della Costituzione, il tema della legge di conversione del decreto legge ha suscitato un rinnovato e specifico interesse. Le più recenti pronunce della Consulta impongono di proseguire e di approfondire il dibattito su questa fonte di produzione normativa, sulla sua qualificazione giuridica, sul relativo procedimento e, soprattutto, sui suoi contenuti: le sue sentenze, la n. 171 del 23 maggio 2007 e la n. 128 del 30 aprile 2008 , hanno infatti introdotto nuovi profili di riflessione e 'aggiunto' elementi alla dichiarata impossibilità della legge di conversione di sanare il vizio di "evidente mancanza" nel decreto legge dei requisiti di "straordinaria necessità ed urgenza" di cui all'art. 77 Cost. In questa prospettiva, alla luce della più recente giurisprudenza costituzionale, il saggio intende arricchire il dibattito dottrinario con ulteriori considerazioni sulla natura della legge di conversione, sul rapporto che intercorre tra decreto legge e legge di conversione e, in particolare, sull'atipicità, procedurale e di contenuto, di quest'ultima rispetto alla ordinaria funzione legislativa del Parlamento. Tale analisi implica inoltre una riflessione sui rapporti esistenti tra Governo e Parlamento e sul ruolo di quest'ultimo rispetto alla decretazione d'urgenza. Più in generale, prospetta l'esigenza di una più sicura presa di posizione da parte delle istituzioni del nostro ordinamento volta a preservare l'attuale assetto costituzionale delle fonti normative.