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International audience ; Machiavelli non trascura la precisione delle parole, quando occorre, ma non ne fa una condizione in ogni evenienza. L'unica cosa che conta è l'effetto dell'enunciato nella situazione specifica ed esso presuppone a volte una lingua che non sia propria del linguaggio militare, ossia una lingua apparentemente più generica o che sappia giocare con la genericità degli elementi di lessico adoperato (siano essi tecnici, latineggianti o di altro tipo) ma, insieme, una lingua che sia molto semplicemente la lingua dello stato come spazio di spiegamento della politica come conflitto. In questo modo le soluzioni proposte da Machiavelli sono diverse a secondo dei momenti e delle opere, con forme di equilibrio sofisticato tra i vari lesssici. L'unico criterio di quell'arte della lingua che si mette al servizio dell'arte dello stato è l'efficacia. La situazione d'emergenza e di guerra permanente non porta con sé il soppravvento delle cose sulle parole (contrariamente a quanto viene a volte considerato frettolosamente) ma richiede un nuovo tipo di collegamento tra esse. La scelta fondamentale delle armi proprie non significa solo ricorrere a truppe non mercenarie ma anche ad armi che siano proprie dell'ordine repubblicano, di un certo tipo di comunità politica ; e a quelle armi proprie corrispondono parole proprie.

International audience ; Machiavelli non trascura la precisione delle parole, quando occorre, ma non ne fa una condizione in ogni evenienza. L'unica cosa che conta è l'effetto dell'enunciato nella situazione specifica ed esso presuppone a volte una lingua che non sia propria del linguaggio militare, ossia una lingua apparentemente più generica o che sappia giocare con la genericità degli elementi di lessico adoperato (siano essi tecnici, latineggianti o di altro tipo) ma, insieme, una lingua che sia molto semplicemente la lingua dello stato come spazio di spiegamento della politica come conflitto. In questo modo le soluzioni proposte da Machiavelli sono diverse a secondo dei momenti e delle opere, con forme di equilibrio sofisticato tra i vari lesssici. L'unico criterio di quell'arte della lingua che si mette al servizio dell'arte dello stato è l'efficacia. La situazione d'emergenza e di guerra permanente non porta con sé il soppravvento delle cose sulle parole (contrariamente a quanto viene a volte considerato frettolosamente) ma richiede un nuovo tipo di collegamento tra esse. La scelta fondamentale delle armi proprie non significa solo ricorrere a truppe non mercenarie ma anche ad armi che siano proprie dell'ordine repubblicano, di un certo tipo di comunità politica ; e a quelle armi proprie corrispondono parole proprie.

International audience ; Machiavelli non trascura la precisione delle parole, quando occorre, ma non ne fa una condizione in ogni evenienza. L'unica cosa che conta è l'effetto dell'enunciato nella situazione specifica ed esso presuppone a volte una lingua che non sia propria del linguaggio militare, ossia una lingua apparentemente più generica o che sappia giocare con la genericità degli elementi di lessico adoperato (siano essi tecnici, latineggianti o di altro tipo) ma, insieme, una lingua che sia molto semplicemente la lingua dello stato come spazio di spiegamento della politica come conflitto. In questo modo le soluzioni proposte da Machiavelli sono diverse a secondo dei momenti e delle opere, con forme di equilibrio sofisticato tra i vari lesssici. L'unico criterio di quell'arte della lingua che si mette al servizio dell'arte dello stato è l'efficacia. La situazione d'emergenza e di guerra permanente non porta con sé il soppravvento delle cose sulle parole (contrariamente a quanto viene a volte considerato frettolosamente) ma richiede un nuovo tipo di collegamento tra esse. La scelta fondamentale delle armi proprie non significa solo ricorrere a truppe non mercenarie ma anche ad armi che siano proprie dell'ordine repubblicano, di un certo tipo di comunità politica ; e a quelle armi proprie corrispondono parole proprie.

International audience ; Machiavelli non trascura la precisione delle parole, quando occorre, ma non ne fa una condizione in ogni evenienza. L'unica cosa che conta è l'effetto dell'enunciato nella situazione specifica ed esso presuppone a volte una lingua che non sia propria del linguaggio militare, ossia una lingua apparentemente più generica o che sappia giocare con la genericità degli elementi di lessico adoperato (siano essi tecnici, latineggianti o di altro tipo) ma, insieme, una lingua che sia molto semplicemente la lingua dello stato come spazio di spiegamento della politica come conflitto. In questo modo le soluzioni proposte da Machiavelli sono diverse a secondo dei momenti e delle opere, con forme di equilibrio sofisticato tra i vari lesssici. L'unico criterio di quell'arte della lingua che si mette al servizio dell'arte dello stato è l'efficacia. La situazione d'emergenza e di guerra permanente non porta con sé il soppravvento delle cose sulle parole (contrariamente a quanto viene a volte considerato frettolosamente) ma richiede un nuovo tipo di collegamento tra esse. La scelta fondamentale delle armi proprie non significa solo ricorrere a truppe non mercenarie ma anche ad armi che siano proprie dell'ordine repubblicano, di un certo tipo di comunità politica ; e a quelle armi proprie corrispondono parole proprie.

Il court dans l'histoire de la pensée politique du XVIe siècle un lieu commun tenace consistant à présupposer l'existence de deux paradigmes fondateurs autant que contradictoires : le discours machiavélien et le discours de l'utopie incarné par le chef d'œuvre de Thomas More . S'il en va ainsi c'est parce que l'on se plaît volontiers à opposer le pacifisme et l'irénisme censés être la marque d'une position « humaniste » au « réalisme » (selon une catégorie somme toute bien vague) des penseurs florentins qui font de la question de la guerre le socle d'une nouvelle façon de penser l'Histoire et l'Etat en terme de rapports de force et de politique de puissance. Il s'agira au contraire ici de s'interroger sur la place de la guerre dans les textes dits "utopiques". Cela permettra notamment de revenir sur une complexe coïncidence chronologique à savoir le fait que l'utopie comme catégorie autonome ait vu le jour au moment de la théorisation de la politique de puissance. Est-il sûr qu'il suffirait de répondre que l'utopie a été posée comme alternative à la guerre de conquête (ou comme présentation acceptable de cette dernière) ? La question de la guerre pourrait bien nous dire ainsi que la constitution de l'utopie comme courant autonome de pensée politique de la seconde renaissance, dégagée de la pensée politique médiévale et de la tradition juridique, ne va pas de soi et que l'utopie ne peut pas plus que d'autres se contenter des images que l'on se fait de la réalité, qu'elle se soumet elle aussi à la « vérité effective de la chose ».

Il court dans l'histoire de la pensée politique du XVIe siècle un lieu commun tenace consistant à présupposer l'existence de deux paradigmes fondateurs autant que contradictoires : le discours machiavélien et le discours de l'utopie incarné par le chef d'œuvre de Thomas More . S'il en va ainsi c'est parce que l'on se plaît volontiers à opposer le pacifisme et l'irénisme censés être la marque d'une position « humaniste » au « réalisme » (selon une catégorie somme toute bien vague) des penseurs florentins qui font de la question de la guerre le socle d'une nouvelle façon de penser l'Histoire et l'Etat en terme de rapports de force et de politique de puissance. Il s'agira au contraire ici de s'interroger sur la place de la guerre dans les textes dits "utopiques". Cela permettra notamment de revenir sur une complexe coïncidence chronologique à savoir le fait que l'utopie comme catégorie autonome ait vu le jour au moment de la théorisation de la politique de puissance. Est-il sûr qu'il suffirait de répondre que l'utopie a été posée comme alternative à la guerre de conquête (ou comme présentation acceptable de cette dernière) ? La question de la guerre pourrait bien nous dire ainsi que la constitution de l'utopie comme courant autonome de pensée politique de la seconde renaissance, dégagée de la pensée politique médiévale et de la tradition juridique, ne va pas de soi et que l'utopie ne peut pas plus que d'autres se contenter des images que l'on se fait de la réalité, qu'elle se soumet elle aussi à la « vérité effective de la chose ».

There is a tense common place in the history of 16th century political thinking to presuppose the existence of two founding paradigms as much as contradictory: the Mexican speech and the utopia speech embodied by Thomas More's project leader. This is because we are happy to oppose pacifism and irenism, which are supposed to be a 'humanist' position against 'realism' (according to a very vague category) of floral thinkers who make the issue of war the foundation of a new way of thinking about history and the state in terms of relations of power and power. On the contrary, the question here is the place of war in so-called 'utopic' texts. This will make it possible, in particular, to reverse a chronological coincidence, namely the fact that utopia as an autonomous category was created at the time of theorising of power policy. Is it certain that it would be sufficient to answer that utopia was put as an alternative to the conquest war (or as an acceptable presentation of the latter)? The question of war could well tell us that the constitution of utopia as an autonomous course of political thought in the second renaissance, unleashed from medieval political thinking and legal tradition, is not self-evident and that utopia can no more than others be content with images of reality, which it is also subject to the 'true truth of things'. ; Il court dans l'histoire de la pensée politique du XVIe siècle un lieu commun tenace consistant à présupposer l'existence de deux paradigmes fondateurs autant que contradictoires : le discours machiavélien et le discours de l'utopie incarné par le chef d'œuvre de Thomas More . S'il en va ainsi c'est parce que l'on se plaît volontiers à opposer le pacifisme et l'irénisme censés être la marque d'une position « humaniste » au « réalisme » (selon une catégorie somme toute bien vague) des penseurs florentins qui font de la question de la guerre le socle d'une nouvelle façon de penser l'Histoire et l'Etat en terme de rapports de force et de politique de puissance. Il s'agira au contraire ...

Il court dans l'histoire de la pensée politique du XVIe siècle un lieu commun tenace consistant à présupposer l'existence de deux paradigmes fondateurs autant que contradictoires : le discours machiavélien et le discours de l'utopie incarné par le chef d'œuvre de Thomas More . S'il en va ainsi c'est parce que l'on se plaît volontiers à opposer le pacifisme et l'irénisme censés être la marque d'une position « humaniste » au « réalisme » (selon une catégorie somme toute bien vague) des penseurs florentins qui font de la question de la guerre le socle d'une nouvelle façon de penser l'Histoire et l'Etat en terme de rapports de force et de politique de puissance. Il s'agira au contraire ici de s'interroger sur la place de la guerre dans les textes dits "utopiques". Cela permettra notamment de revenir sur une complexe coïncidence chronologique à savoir le fait que l'utopie comme catégorie autonome ait vu le jour au moment de la théorisation de la politique de puissance. Est-il sûr qu'il suffirait de répondre que l'utopie a été posée comme alternative à la guerre de conquête (ou comme présentation acceptable de cette dernière) ? La question de la guerre pourrait bien nous dire ainsi que la constitution de l'utopie comme courant autonome de pensée politique de la seconde renaissance, dégagée de la pensée politique médiévale et de la tradition juridique, ne va pas de soi et que l'utopie ne peut pas plus que d'autres se contenter des images que l'on se fait de la réalité, qu'elle se soumet elle aussi à la « vérité effective de la chose ».