In this paper I compare Wittgenstein's and Adorno's different post- metaphysical visions of philosophy. In my opinion, it is possible to find many analogies between their approaches regarding the importance of the analysis of concepts and the relation between philosophy and music. But, while Adorno's theory is understandable just within the sort of philosophy of history traced in the famous Dialectical of Enlightenment, Wittgenstein is absolutely against such an approach. According to Adorno, negative dialectic is the only philosophical instrument useful to resist the universal tendency of domination of the Reason and his vision of language derives from that presupposition. By opposite, Wittgenstein believes that many "language games" exist and therefore our liberty depends on the possibility to use language in different ways. But the notion of "language games" presupposes that of "form of life" and therefore using language is a collective experience and not a monological one like in Adorno. This difference is the most important in order to understand why Adorno still believes in a positive role of philosophy while Wittgenstein not. More, according to Adorno, our li berty is also reachable thanks to that kind of music that stands opposite to social domination while Wittgenstein argues that we have to gain a contemplative perspective of the music in order to annul our suffering.
L'articolo intende mostrare l'importanza dell'incontro di Mario Miegge con l'elaborazione teorica, e con l'impegno politico e sociale, di Raniero Panzieri, tra gli anni '50 e i primi anni '60', e la sua influenza su tutto l'itinerario successivo di Miegge. Infatti sia gli studi di Miegge sulle vicende politiche sociali del calvinismo europeo e nordamericano, sia la sua riflessione finale sulla coscienza storica, si scrivono nel solco della lezione panzieriana sulla politicità della cultura e sulla necessità di un impegno diretto degli intellettuali insieme ai soggetti del lavoro. L'idea di un patto di tipo federativistico tra i produttori mirante alla difesa e alla valorizzazione della dimensione qualitativa.progettuale e personalistica dell'attività lavorativa, costituisce il comune nucleo concettuale in cui convergono sia l'itinerario di Panzieri sia quello di Miegge, nella sua feconda scia.
The theory of justice is possible only as a theory of society. According to Axel Honneth's recent work, Freedom's Right, the justification of norms does not consist in a constructivist foundation but in their rootedness in the social institutions of recognition. In the spirit of Hegel's Philosophy of Right, Honneth sees in social institutions not only the historical conditions of mutual recognition but also the source of our autonomy and the condition of our self-realization. To support his thesis he applies the Hegelian method of «normative reconstruction», freeing it from all metaphysical bonds.
The analysis moves across the theory of philosophy of language and philosophy of politics, in order to focus the relationship between language and political space, and to show the basis of making community.
Bioethics has historically taken up the challenge of creating an arena for the adjudication of permissibility claims for practices in the broad field of the Life Sciences. Long-standing academic arguments have thus managed to percolate into proper political debates and actual policy-making. With the pressing urge to democratize politics overall, the ways in which bioethical issues have been and still are officially discussed have been thoroughly contested. A number of solutions to the alleged lack of transparency, inclusiveness and accountability in bioethical decision-making have been suggested. Some of these solutions resorted to ICTs for their implementation. However it is unclear, so far, exactly to what extent these initiatives have been able to recruit proper participation, foster reasoned deliberation, and, most importantly, cast politically legitimate decisions. Democratizing Bioethics tackles the unresolved issues of political legitimacy that underlie the current approach to deliberative public engagement initiatives for science policy-making. In doing so, it provides a political framework in which to test political theories supposed to apply to the political management of moral disagreement. Furthermore, it articulates and defends an actual political theory—moderate epistocracy for online deliberation—as a proper political means to deal with disagreement that is essentially moral arising from scientific and technical progress. Finally, the theory is preliminarily empirically tested via a tool for online direct competent participation.
Titolo: Narciso e Pigmalione, figure del mito e della riflessione nella filosofia di Jean-Jacques Rousseau Questo lavoro è dedicato all'analisi e alla traduzione di due opere di Rousseau, la commedia Narcisse ou l'Amant de lui-même e il melodramma Pygmalion, Scéne lyrique, tradizionalmente considerate collaterali alla filosofia dell'autore, che vengono poste in relazione con il complesso del suo pensiero e con il suo contesto storico, mostrandone lo spessore filosofico. Partendo dalla questione del mito si effettua un inquadramento teorico generale sul significato del mito e della sua rielaborazione nel contesto del Secolo dei Lumi. Si illustra la convivenza di un'autorappresentazione dell'Illuminismo come ricerca razionale della verità sul modello offerto dalle scienze nascenti con un rapporto molto più ambiguo e inaspettato con le forme della finzione e l'attività dell'immaginazione. Si presenta inoltre la distinzione tra fable e mythologie, sapere riguardante il corpus dei miti da un lato e sapere razionale sul mito dall'altro, mostrando come in entrambi i casi sia fatto un utilizzo strategico del mito. Nel collocare Rousseau all'interno di questo contesto si mette in luce la sua posizione anomala, data dalla particolare piegatura che i concetti in gioco assumono nella sua filosofia in virtù del primato della morale, e quindi della politica, in essa. Il lavoro sulle opere inizia dalla Préface al Narcisse, testo che pone alcune difficoltà interpretative. Essa appare slegata dalla commedia e impegnata a ricapitolare le tesi del primo Discorso in posizione difensiva. Tuttavia essa contiene alcuni elementi tali da fornire una chiave di lettura per la commedia che introduce: la teoria del teatro come pharmakon per la società e le allusioni alla capacità del lettore attento di estrarre dal linguaggio figurale della pièce il suo vero significato filosofico. L'analisi di Narcisse prende le mosse dalla ricognizione delle fonti sulla fable, volta a mostrare i significati correntemente attribuiti al personaggio nel '700, per poi mostrare la rielaborazione dei caratteri in Valére, protagonista della commedia. La conclusione tragica della fable viene rovesciata in un finale comico, dove il personaggio viene ridicolizzato e subisce una salutare metamorfosi redentiva. Il concetto di metamorfosi si aggancia tematicamente al secondo Discorso, dove la metamorfosi dell'uomo naturale, i cui caratteri possono essere riportati al tipo del Narciso, mostra la sua tragicità sul piano politico. La vicenda del truffatore ai danni dell'umanità illumina le questioni relative alle arti, alla proprietà e all'astuzia, mettendo in scena caratteristiche prometeiche che si possono ritrovare nel personaggio di Pigmalione, la cui caratterizzazione viene analizzata in relazione alla tradizione. Il dramma lirico Pygmalion viene interpretato alla luce della polisemicità della fiction, di cui costituisce una restituzione allegorica, e in relazione retrospettiva con la riflessione politica del secondo Discorso, tornando ancora sul tipo umano del truffatore. Si analizzano le soluzioni educative proposte per risolvere i conflitti dell'uomo sociale, mostrando i limiti di questo modellamento educativo effettuato a livello individuale, per passare poi alle forme di educazione collettiva proposte nelle opere politiche del filosofo, culminanti nell'ideale di una rappresentazione senza mediazione costituito dalla festa e dai rischi della tirannia insiti in esso. In appendice si presenta la traduzione effettuata dei testi in esame.
Nel saggio seguono sono collezionate alcune idee di Simone Weil intorno al tema della ragione elaborate soprattutto durante gli ultimi anni della sua vita (1941-1943). La ragione naturale viene contrapposta alla ragione soprannaturale contrario della trionfale sintesi hegeliana. Questa si costituisce come arresa vincente: dopo essersi dichiarati sconfitti, manifestata la propria impotenza di soluzione dell'ossimoro e divenuti ormai completamente coscienti del limite, si viene trasportati nell'immenso universo che contiene tutti gli opposti.
In questo nostro intervento avremo modo di soffermarci sulla possibilità di tenere assieme sia la scienza medica sia la libertà di scelta della persona, avendo come tramite il giudizio riflettente kantiano ripreso da autori come Hannah Arendt e Paul Ricœur. Ci pare, infatti, che sia davvero necessario porre al centro del dibattito la possibilità di far crescere questa sinergia fra le diverse discipline, elaborando un approccio che si collochi nell'etica del rispetto, la quale sottende un'epistemologia che accredita come valida la conoscenza del particolare, cominciando ad introdurre il tema della libertà in relazione allo statuto epistemologico delle scienze. ; In the contemporary age there are many different types of approach, but we can reduce them to these two opposite poles: science and its objective knowledge against the existential dimension of the human subject. In addition to this, hyper-specialisation produces a strong separation in the same branch of knowledge and dialogue from one field of research to another is greatly lacking, because everyone only concentrates on his study area without applying a more open vision. Luckily, bioethics adopts an interdisciplinary view and in this way we can have a link through the different areas of the knowledge. In this article, we start to explain the importance of Kant's Reflective Judgment with its political, juridical and medical retakes, which were formulated by Hannah Arendt and Paul Ricœur. Finally, through the concepts of common law and exemplarity, we introduce an argument about the possibility of making an epistemological and scientific debate starting from the singular level and with an approach which considers both the aspects of freedom of choice and the respect for a person's life, but without descending into a relativism perspective.
McCormick opposes Machiavelli's democratic republicanism and Rousseau's aristocratic republicanism by showing that Machiavelli and Rousseau have a very different view of the republican institutions of Rome. Why does Rousseau's "tale of Rome" differ form Machiavelli's "tale of Rome"? Why does Rousseau repudiate Machiavelli's more democratic reconstruction of the Roman Republic? And more generally, why does Rousseau devote so many pages to the republican institutions of Rome? He is looking at Rome to describe a kind of democracy or a kind of aristocracy?
This work is an inquiry into the nature of politics. I will argue that the idea of a "political sphere" emerged primarily in reference to the subject matter of political science, and therefore its nature is that of a scientific object (chapter 1). Building on recent and less recent debates among social science methodologists and philosophers of science, I will defend a realist approach to the explanation of political phenomena (chapter 2). I will then proceed to work out the implications of this realist approach concerning the nature of its object(s) of study (chapter 3). My conclusion is that political phenomena consist solely of the effects of the causal properties of individual entities, and that, strictly speaking, there is no such thing as a "political sphere" at the ontological level. Such a scientific object must instead be seen as the product of the classification of political phenomena into kinds with increasing degree of generality, at the top of which lies the class of all political phenomena – i.e. the political domain. In line with the realist approach I defend, I contend that such classifications are based on stipulations about the similarities between individual phenomena rather than on general features that such phenomena actually share (chapter 4). Finally, I will conclude that despite their relative arbitrariness, such classifications constitute representational models whose validity can be tested on the basis of their explanatory power (chapter 5).
This article analyses Platina's De honesta voluptate et valetudine as an emblematic example of how an accurate philological analysis can help to clarify the theoretical contexts in which a work can be placed and even provide a clearer grasp of its philosophical assumptions. In this literary work, which is both a cookbook and a dietetic manual, Platina interwove a variety of ancient and modern sources, more or less easily discernible: he did not limit himself to collect Martino of Como's recipes, but crossed the threshold of the kitchen by combining the teaching of medieval dietetics, which was based on Galen's theory of bodily humours, with some Stoic assumptions, which he viewed as not being in conflict with a moderate pursuit of the pleasure of eating. In doing so, he developed an intriguing reflection on living well according to which happiness tends to coincide with physical wellbeing.
La tesi ha l'obiettivo di esporre e analizzare criticamente i temi più importanti del pensiero di Karl-Otto Apel. Nei tre capitoli in cui è suddivisa la tesi si presenta inizialmente la posizione di Apel su uno specifico argomento, e poi si compie un'analisi critica di essa facendo riferimento alla letteratura secondaria (in particolare tedesca) riguardante la filosofia apeliana. Lo scopo finale del lavoro è quello di evidenziare l'originalità, i punti di forza e i punti deboli della pragmatica trascendentale sviluppata da Apel, la quale si sostanzia nell'ambizioso tentativo di rinnovare la filosofia trascendentale partendo dalle irrinunciabili acquisizioni della svolta linguistica che ha caratterizzato il pensiero filosofico del XX secolo. Il primo capitolo ha come oggetto il concetto più peculiare della riflessione apeliana: quello di fondazione ultima (Letztbegründung). Tale concetto è centrale sia in riferimento alla filosofia teoretica sia in riferimento alla filosofia pratica, e per questa ragione la sua analisi precede la trattazione specifica della teoria della verità e dell'etica del discorso. Nella prima parte del capitolo si illustra l'evoluzione del concetto negli scritti apeliani, in particolare il significato che assume la nozione di "riflessione" negli anni Ottanta, in seguito all'influenza esercitata sulla filosofia di Apel dalle analisi di Wolfgang Kuhlmann in riferimento alla fondazione ultima. Apel riprende da Kuhlmann la problematica nozione di fondazione ultima strettamente riflessiva, con la quale i due autori tentano di superare le numerose obiezioni che sono state rivolte alla Letztbegründung. Dopo l'esposizione delle principali critiche a tale nozione e l'illustrazione di una possibile alternativa alla fondazione ultima strettamente riflessiva, nell'ultima parte del capitolo si analizza più nel dettaglio l'argomento trascendentale sviluppato da Apel e si chiariscono ulteriormente le ambiguità del concetto di riflessione che egli adopera. Infine, si propone una ridefinizione degli argomenti trascendentali e, a partire da ciò, si traggono le conseguenze per la filosofia apeliana. Nel secondo capitolo, dopo la disamina del fondamentale rapporto tra la questione circa la giustificazione di validità della conoscenza e la questione concernente la costituzione del senso dell'oggettività all'interno del pensiero di Apel, si entra nel dettaglio della sua concezione del linguaggio. La corrente filosofica dominante lungo l'intera storia del pensiero occidentale privilegia la funzione rappresentativa del linguaggio, relegando la dimensione comunicativa di esso a oggetto di studio di discipline esterne alla filosofia. Secondo il pensatore tedesco, invece, l'aspetto distintivo del linguaggio umano è costituito dalla sua doppia struttura performativo-proposizionale. Nel capitolo si ricostruisce la teoria del significato che emerge dalle riflessioni apeliane, la quale si fonda su una particolare interpretazione della teoria degli atti linguistici sviluppata da Austin e Searle, e da cui emerge un'ambiguità di fondo rispetto al rapporto tra semantica e pragmatica. Successivamente, di conseguenza, si approfondisce tale rapporto ricorrendo alle considerazioni di altri autori sul tema, in particolare Wilfrid Sellars e Robert Brandom. Nell'ultima parte del capitolo si analizza la teoria della verità e della realtà sviluppata da Apel, Più nello specifico, si affrontano le critiche che sono state rivolte all'identificazione di verità e consenso argomentativo nella comunità ideale della comunicazione, e alla concezione del consenso ideale come un'idea regolativa che è implicita nella pratica argomentativa e senza la quale le nostre asserzioni perderebbero il loro senso. L'aspetto maggiormente problematico riguarda il ruolo del consenso come criterio determinante di verità. Infine, si approfondisce la dicotomia nominalismo-realismo concettuale per comprendere pienamente il peculiare realismo apeliano, che egli riprende da Peirce. Nel terzo capitolo e ultimo capitolo si affronta il tema dell'etica del discorso. Nella prima parte, dopo aver illustrato la strategia di Apel volta alla fondazione post-metafisica di un'etica universale, si analizzano le obiezioni fondamentali che sono state mosse contro di essa, in particolare riguardo alla possibilità di fondare norme morali partendo dai presupposti del discorso argomentativo e circa il rapporto tra dimensione volitiva e dimensione cognitiva nella riflessione etica di Apel. Nella seconda parte del capitolo, dopo la disamina della distinzione tra la parte A dell'etica del discorso, riguardante la fondazione di norme morali fondamentali, e la parte B, concernente l'applicazione delle norme nelle situazioni storiche concrete, si approfondisce il rapporto tra morale, diritti umani e democrazia che caratterizza il pensiero apeliano. Da questo punto di vista il confronto con Habermas risulta illuminante. Nell'ultima parte del capitolo, infine, si mettono in luce le criticità della parte B dell'etica del discorso di Apel, in particolare del tentativo di fondare la parte B derivandola dalla parte A, e si propone una strategia alternativa che consenta di valorizzare la proposta etica apeliana evitando il pericolo di un eccesso di formalismo.