Il presente scritto amplia e approfondisce, in particolare all'interno del contesto pandemico, i nuovi processi istituzionali, sia all'interno dei singoli ordinamenti, sia nelle relazioni intersistemiche, avviando una riflessione sulle principali e più attuali questioni che un tema trasversale come quello della sanità digitale pone a tutti i livelli di governance, con particolare riguardo all'ordinamento italiano. In tal modo, lo scritto tenta di individuare i principali nodi problematici che insistono ai livelli unionale, statale e regionale, a partire da una premessa di fondo, secondo la quale anche un campo aperto come la sanità digitale, su cui l'Unione europea gode di competenze limitate e al più di sostegno a quelle statali (art. 168, §§2, 5 e 7 TFUE), può oggi costituire un ulteriore banco di prova per l'influenza materiale che le politiche sovranazionali esercitano sui livelli interni di governo e sulle modalità di interazione degli organi che ne compongono i circuiti rappresentativi.
Quello della partecipazione dei magistrati alle competizioni elettorali, sia nazionali sia amministrative, rappresenta uno dei due aspetti che compongono il vasto e complesso tema dei rapporti tra politica e potere giudiziario: il disegno di legge del quale in questa sede ci occupiamo1 deve essere, infatti, letto in combinato disposto con il divieto per i magistrati di partecipare in modo continuativo e sistematico ai partici politici. Al riguardo, v'è da dire che parte della dottrina ha colto i problematici rapporti intercorrenti tra i limiti posti dall'art. 3, comma 1, lett. h), d.lgs. n. 109/20063 e la disorganica disciplina riguardante l'accesso dei magistrati alle cariche pubbliche elettive o agli incarichi di governo, nazionali e territoriali. Su questo profilo è invero possibile registrare un panorama di posizioni sintetizzabile su due fronti opposti: da una parte vi è chi sottolinea come la severità della norma disciplinare più sopra richiamata debba essere estesa a interventi normativi organici che rendano, se non impossibile, quanto meno difficile la partecipazione del magistrato alla vita politica del paese, ovvero dei territori; dall'altra si è sottolineato come tale partecipazione, essendo strettamente connessa allo status di cittadino e dunque tutelata quale diritto politico fondamentale, non possa essere compressa eccessivamente o addirittura impedita.
. L'affare sottoposto all'esame di Codesta Commissione, denominato "Modalità più efficaci per l'esercizio delle prerogative costituzionali del Parlamento nell'ambito di un'emergenza dichiarata", così come il connesso esame del Disegno di legge n. 1834 (Pagano), recante "Istituzione della Commissione parlamentare sull'emergenza epidemiologica da COVID-19", risultano di estremo interesse per il Paese, giacché le soluzioni istituzionali che in queste sedi verranno discusse e individuate determineranno – questo è l'augurio – un maggiore coinvolgimento delle Camere nella gestione di un'emergenza come quella che stiamo vivendo. Ciò risponde non solo alla necessità costituzionale di un più pregnante controllo parlamentare su delle misure in grado di incidere sui diritti fondamentali , ma anche all'esigenza di mantenere un adeguato tasso di democraticità – intesa come partecipazione dei cittadini, mediata chiaramente dal sistema politico – nei procedimenti volti all'adozione di siffatte misure. Procedimenti decisori destinati a produrre una sintesi fra contrapposte esigenze e interessi la cui qualità dipende in modo stretto e diretto dall'apertura – nei confronti della società – e dalla trasparenza delle medesime.
Nel dibattito sul diritto costituzionale europeo all'inizio del XXI secolo diversi autori hanno sostenuto che la crisi economico finanziaria abbia prodotto una profonda mutazione costituzionale o, meno drammaticamente, una trasformazione fondamentale negli equilibri costituzionali dell'Unione Europea. Ora, non vi è dubbio che la crisi economica abbia messo in luce tutti i limiti di una organizzazione e di un equilibrio costituzionali disegnati a Maastricht e caratterizzato da una fondamentale asimmetria tra una Unione e una politica monetaria accentrata a livello "federale" europeo e una politica economica lasciata al mero coordinamento delle competenze degli Stati membri. Per questo motivo, può dirsi che con l'architettura concepita essenzialmente nel Trattato di Maastricht, l'Unione Europea era non solo impreparata ma impossibilitata a fronteggiare il rischio di un "fallimento" di uno o più dei suoi Stati membri. In dottrina, si è registrata, quindi, in questi ultimi anni una diffusa opinione che ritiene che la crisi abbia portato con sé quanto meno un cambio di paradigma interpretativo della costituzione europea e di quella economica, in particolare. In questo contributo cercheremo di ricostruire la trama essenziale di come il cambiamento di paradigma sia divenuto particolarmente evidente a seguito di alcune sentenze della Corte di Giustizia della UE- il caso Pringle, il caso Gauweiler e l'ultima – che conferma le prime due – la più recente del 11 dicembre 2018 relativa al caso Weiss - che hanno marcato un fondamentale cambiamento economico-istituzionale avvenuto dopo il 2010, sintetizzabile nell'abbandono dell'idea che il finanziamento degli Stati membri dovesse essere governato esclusivamente dalle logiche di mercato e l'accettazione che, invece, debba prevalere una logica di intervento dei poteri pubblici nel segno della assistenza finanziaria pubblica. Non solo: le medesime tre fondamentali sentenze, di cui sopra, hanno fornito la fondamentale legittimazione giuridica a questo cambio di paradigma economico-costituzionale.
In questo numero speciale della Rivista sono raccolti i contributi realizzati da un gruppo di docenti, dottori di ricerca e dottorandi nell'ambito delle attività di ricerca della Sezione di Diritto dell'economia del Dipartimento di Economia e Diritto dellaSapienza, così come nel quadro di ricerche svolte nell'ambito del Dottorato in Diritto pubblico, comparato e internazionale –curriculum in Diritto pubblico dell'economia, nonché all'interno di un progetto di Ateneo della Sapienza sul tema delle società pubbliche e delle "società finanziarie regionali nel diritto pubblico dell'economia" (a cura del prof. Domenico Siclari)1. Il lavoro prende spunto dall'emanazione del Testo Unico sulle società a partecipazione pubblica (d.lgs.19agosto2016, n.175), previsto dalla c.d. legge delega Madia (l.7agosto2015, n.124), ma vuole essere l'occasione per fare un punto, in maniera più ampia, su questo complesso fenomeno. Negli ultimi venti anni, infatti, il tema delle società partecipateè stato interessato da numerosi interventi legislativi, ha sollevato un ampio dibattito nella dottrina e nella giurisprudenza ed è stato oggetto di confronto politico e di attenzione anche da parte dell'opinione pubblica.In realtà, come è noto, i tentativi di ricostruire con una legge ad hocuno specifico statuto per le società a partecipazione pubblica risalgono ad almeno un secolo fa, a partire da quando Camillo Ruini nel 1918 presentò in Parlamento una apposita proposta di legge per la disciplina delle società basate sulla diversa qualità del soggetto pubblico azionista.L'interesse attuale per quest'argomento è tuttavia fondato su due ordini di ragioni. Il primo, di carattere più generale, è legato alla percezione di una proliferazione di società a partecipazione pubblica, legata alla constatazione di una loro scarsa efficienza nel perseguimento di obiettivi d'interesse generale. La stessa impossibilità, fino a tempi recenti, di disporre di un censimento completo delle entità in cui le amministrazioni pubbliche detengono partecipazioni denota il basso livello di consapevolezza dei poteri pubblici rispetto a un fenomeno che richiederebbe, invece, un'elevata capacità gestionale. In secondo luogo, la natura "ibrida" delle società partecipate, persone giuridiche di diritto privato, mafortemente attratte nella sfera amministrativa in ragione della peculiare natura dei partecipanti, dei poteri da essi esercitati e delle finalità da questi perseguite ha sollevato numerosi interrogativi, da un lato, quanto all'applicabilità di istituti classici relativi ai soggetti pubblici e, dall'altro, sulle declinazioni possibili di schemi propri del diritto commerciale.
Never as in this moment has reflecting on Germany also meant reflecting on Europe. There is not one aspect of the current European public debate that is not also present in the German political agenda. Anti-European populism, migration's management, sustainable economic growth, relations between Member States and European Union, change of leadership in established political parties, fragmentation of the electorate, difficulty in the achievement of stable and lasting government majorities: all these elements are on the agenda in Berlin as in Rome, Paris, Madrid, Brussels. This is the reason why studying the "German case" is also useful to fully understand the nature of the phenomena described above in a national, comparative and supranational dimension. The papers published in this volume are the results of the contributions made to the Conference "Which Germany after the Vote? Post-electoral Reflections on the Largest European Democracy" held in Rome on February 9, 2018 in the Faculty of Economics of Sapienza University of Rome, edited by Professors Beniamino Caravita, Andrea De Petris and Roberto Miccú and organized by the Department of Economics and Law and the PhD in Public, Comparative and International Law of Sapienza University of Rome.
La nostra Costituzione riconosce l'impresa cooperativa come un elemento essenziale del progetto di società prefigurato dai Padri costituenti e, non solo ne riconosce il valore, in quanto forma dell'agire economico, ma stabilisce che la legge deve promuoverne e favorire l'incremento con i mezzi più idonei . Le origini della cooperazione in ambito creditizio sono comunemente fatte risalire agli impulsi dati dal Magistero Sociale Cristiano, tra la fine dell'800 e l'inizio del 900, per promuovere l'emancipazione delle popolazioni più umili dal fenomeno dell'usura e dalla generalizzata condizione di indigenza nella quale ristagnavano. Dal punto di vista politico-culturale le matrici del credito cooperativo possono rinvenirsi in due filoni principali: quello, come detto, cattolico e quello socialista , i quali, con caratteri e modelli organizzativi differenti, dettero vita a cavallo tra i due secoli, alle casse rurali costituite sul modello tedesco delle Raiffeisen. Durante il ventennio Fascista, il nuovo regime tentò di imporre all'intero sistema un proprio modello organizzativo con la creazione dell'Ente Nazionale Fascista della Cooperazione. L'intervento del regime fu caratterizzato prevalentemente da finalità dirigistiche e di annientamento delle iniziative di matrice ideologica avversa. In questo panorama si innestò, nell'ambito dell'Assemblea Costituente, il dialogo tra le forze politiche per la definizione delle regole che avrebbero dovuto traghettare l'intero sistema nel futuro. Ed invero, in seno alla Costituente, si ritrovarono le due anime che avevano dato vita nel nostro paese al sistema delle casse rurali e cooperative, quella Cristiana e quella socialista, unite nell'intento di superare gli errori commessi durante il Fascismo e di dare vita ad un sistema realmente mutualistico, anche in ragione di un disperato bisogno di credito per avviare la ricostruzione del Paese. I lavori della Costituente videro i membri sostanzialmente concordi sulla necessità di normare a livello costituzionale il concetto della cooperazione a carattere di mutualità. In tal senso, appaiono illuminanti le parole dell'On. Canevari, membro dell'Assemblea Costituente: "La cooperazione, non è un'associazione politica né professionale, ma è un'associazione economica a fini sociali; basata sul principio della mutualità e inspirata ad alte finalità di libertà umana (funzione sociale della cooperazione), costituisce un mezzo efficace di difesa dei produttori e dei consumatoridalla speculazione privata. Lo Stato deve aiutarne con tutti i mezzi la creazione e gli sviluppi successivi mediante un controllo da esercitarsi direttamente o per mandato. Infatti, non si può chiedere l'intervento dello Stato, se contemporaneamente allo Stato non è consentito di esercitare il dovuto controllo: d'altronde è quello che avviene in quasi tutti i Paesi in cui la cooperazione ha assunto un grande sviluppo, dalla Gran Bretagna alla Francia e al Portogallo". Le linee direttrici scelte dai costituenti, dunque, furono essenzialmente due: la creazione di un sistema economico dotato di una funzione sociale, largamente diffuso ed organizzato prevalentemente dal basso, secondo il principio di sussidiarietà, e l'organizzazione di un sistema di controllo posto a tutela delle finalità pubblicistiche dell'istituto, che lo difendesse dalle derive autoritarie o eccessivamente autonomistiche che inevitabilmente si sarebbero potute creare. In questo senso, il potere dello stato si sarebbe dovuto estrinsecare in un controllo negativo che è proprio dei sistemi basati sulla vigilanza, anziché su un controllo di tipo positivo, tipico dei sistemi improntati sul meccanismo della tutela. Nel caso della tutela, infatti, è più facile un intervento dello stato che limiti la libertà dell'impresa, mentre, nel caso della vigilanza, lo Stato si limita alla difesa del suo diritto, impedendo che le agevolazioni ed i favori destinati alla vera cooperazione vadano a favore di quanti non le meritino. L'intervento di riforma i cui tratti sono stati così brevemente ripercorsi nel paragrafo precedente solleva alcune riflessioni in punto di compatibilità con il dettato costituzionale. I dubbi si appuntano tanto su profili di carattere generale rinvenienti dal possibile contrasto con norme che regolano la libertà di associazione e la possibilità di ricorrere alla decretazione d'urgenza, quanto sui caratteri specifici della cooperazione e della mutualità quali forme esplicitamente tutelate e preservate dalla Carta costituzionale. Sotto il primo versante, la prima critica che può muoversi alla riforma pertiene all'imposizione di una coazione associativa che, giustificata da ragioni di rafforzamento della solidità patrimoniale degli enti creditizi cooperativi strumentali alla tutela dell'interesse generale alla stabilità finanziaria, potrebbe finire per comprimere il "nucleo negativo" della libertà di cui all'articolo 18 della Costituzione. Ed invero, come ricorda la giurisprudenza costituzionale da decenni, la disposizione della Carta poc'anzi citata «porta a considerare di quella proclamata libertà non soltanto l'aspetto che è stato definito "positivo", ma anche l'altro "negativo" […] che si risolve nella libertà di non associarsi, che dové apparire al Costituente non meno essenziale dell'altra»; in tale accezione negativa, l'imposizione di coazioni aggregatrici incontra «limiti maggiori e non puntualmente segnati dalla Carta costituzionale», ritenendosi infatti violata la predetta libertà «tutte le volte in cui, costringendo gli appartenenti a un gruppo o a una categoria ad associarsi tra di loro, si violi un diritto o una libertà o un principio costituzionalmente garantito; o tutte le altre in cui il fine pubblico che si dichiara di perseguire sia palesemente arbitrario, pretestuoso e artificioso e di conseguenza e arbitrario, pretestuoso e artificioso il limite che così si pone a quella libertà definita come si è ora visto» . Nel riconoscere la maggiore portata della suddetta libertà negativa, la giurisprudenza costituzionale impone quindi una delicata analisi sia dei fini pubblici perseguiti dall'intervento di riforma, che dei diritti e libertà costituzionalmente garantiti di cui sono portatori i diversi soggetti interessati, ovvero la specifica categoria degli enti creditizi che abbiano statutariamente assunto la forma cooperativa. Si è detto che i primi vanno essenzialmente individuati nell'interesse generale alla stabilità finanziaria, e dunque, in senso lato, alla tutela del risparmio; i secondi ruotano intorno alle coordinate delle libertà economiche, secondo la specificazione mutualistica di cui si sono tracciati in precedenza i caratteri. La ponderazione dei diversi plessi di interessi coinvolti richiede allora un'attenta valutazione della proporzionalità e ragionevolezza dell'intervento, occorrendo verificare se l'imposizione del ricordato vincolo associativo possa configurarsi come manifestamente lesiva della tutela riconosciuta alla cooperazione quale forma di sviluppo dell'ordine economico. In altre parole, occorre interrogarsi sul se l'imposizione dell'obbligo di associarsi all'interno del gruppo configuri un'indebita forma di sottrazione alla libertà degli enti associati di perseguire le specifiche finalità individuate dallo statuto giuridico-economico della cooperazione in forme potenzialmente incompatibili con quest'ultimo, considerata la riconduzione dell'attività delle singole BCC interessate, in ultima analisi, al funzionamento del gruppo nella sua unità. Un secondo profilo di sicuro rilievo riguarda, invece, il mezzo cui si è fatto ricorso per adottare la riforma in questione. L'intervento sul comparto del credito cooperativo appare invero frutto di un'esigenza di riordino sistematico del settore, non compatibile con i limiti al ricorso alla decretazione di necessità e urgenza prefigurati dalla carta costituzionale. In tal senso, l'intervento sul comparto del credito cooperativo ripropone all'attenzione dell'interprete le medesime critiche mosse dalla scienza giuridica alla riforma, di poco antecedente ma indubbiamente correlata, delle banche popolari. E invero, valga la considerazione che si è trattato di un intervento organico e di non poco momento dal punto di vista degli equilibri del mercato nazionale del credito, nei fatti privo di immediata efficacia precettiva attesa la previsione di un lungo periodo di "adattamento" e transizione anche alla luce delle opportune iniziative da avviare per la costituzione dei gruppi cooperativi, contraddistinto dall'esigenza di adottare una serie di misure attuative da parte delle autorità creditizie volte a specificare in maniera più dettagliata elementi di significativo rilievo dell'organizzazione dei gruppi e dello status delle varie consorelle, nonché inserito in un unico provvedimento contenente previsioni eterogenee, flebilmente legate tra di loro dalla generica correlazione alla materia creditizia.
Con tale Osservatorio si intende non solo seguire attentamente le vicende che riguardano le elezioni in Germania a livello federale, ma anche le elezioni a livello di Länder che anticipano quelle nazionali, "contestualizzandole" nell'ambito del quadro politico e istituzionale dell'Unione Europea. Al pari delle elezioni in Francia, infatti, le elezioni tedesche rappresentano un fondamentale banco di prova per capire quali saranno le prospettive dell'Unione Europea 'dopo Brexit'. In particolare la Repubblica Federale Tedesca è il Paese modello al quale guardiamo di volta in volta con rispetto e desiderio di emulazione ovvero con insofferenza e malcelata ansia di rivincita rispetto al primo della classe. In ogni caso l'equilibrio politico e costituzionale che la Germania saprà o meno mantenere nei prossimi mesi risulterà decisivo in un'Europa divisa e persino lacerata da visioni diverse in ordine, tra le altre, alle politiche migratorie. Riuscirà Frau Merkel, che si presenta per il suo quarto mandato (forte di un consenso interno al partito del 95 per cento), a rimanere il principale fattore di stabilità al centro del Continente, pur dopo 12 anni ininterrotti di governo? Indubbiamente la Cancelliera ha dalla sua le capacità di governo e la grande esperienza maturata nel gestire le varie crisi occorse in Europa e a livello internazionale. Questo costituisce probabilmente ancora un elemento di forte appeal per l'elettorato in un periodo caratterizzato da grande incertezza a causa della Brexit e della nuova presidenza statunitense di Trump.
Al Servizio Sanitario Nazionale (S.S.N.) è imputabile un volume di spesa per i consumi intermedi che si aggira sui 30 milioni di euro, di cui la maggior parte gestita in forma aggregata. Quest'ultimo dato dimostra che, negli anni più recenti, in campo sanitario ha assunto un ruolo di preminente importanza la tematica delle ricadute di natura organizzativa e gestionale delle procedure degli acquisti di beni e servizi derivanti dai processi di centralizzazione, nonché dalle politiche di spending review.
L'articolo indaga il quadro promozionale attuale nel settore delle energie rinnovabili e dell'efficienza energetica. La progressiva attenzione verso un'economia ad alta efficienza energetica e a basse emissioni di anidride carbonica si pone al centro della politica energetica dell'Europa e dell'Italia, con l'obiettivo di rendere l'energia più competitiva per i clienti finali, più sicura negli approvvigionamenti e più sostenibile sotto il profilo ambientale.
L'obiettivo del presente contributo è individuare e valutare le principali ricadute applicative del d.lgs. n.175/2016, come modificato dal decreto legislativo correttivo n.100/2017, nei confronti dei servizi pubblici locali a rilevanza economica, e in particolare del servizio idrico integrato (SII). Le peculiarità di quest'ultimo settore, alimentate anche da eventi referendari e da una giurisprudenza problematica della Corte costituzionale, rivelano e misurano l'effettiva portata 'ordinamentale' del nuovo testo unico sulle società partecipate, nonché le scelte di politica del diritto che, in linea con i principi generali di derivazione eurounitaria, si stanno consolidando in tema di servizi pubblici. Ricostruita la fitta trama normativa e giurisprudenziale che regola il settore idrico, il contributo si concentra sull'applicabilità ad esso di alcuni dei principi contenuti nel d.lgs. n. 175/2016 e nel d.lgs. n. 50/2016, evidenziando alcuni punti di attrito tra le discipline in esame, specie con riferimento all'esatta configurazione del modello di gestione in house.
Quello dei servizi pubblici locali è uno dei settori maggiormente influenzati dalla nuova disciplina sulle società a partecipazione pubblica; il testo unico di cui al D.lgs. n. 175/2016 (come modificato dal D.lgs. n. 100/2017) regola, infatti, le forme societarie mediante le quali alla pubblica amministrazione è consentita, stante l'attuale quadro normativo (sul quale v. infra § 2), l'organizzazione e la gestione di servizi di interesse economico generale. Al riguardo, merita subito rilevare come il mancato esercizio dell'altra delega prevista dalla l. n. 124/2015, avente ad oggetto 'il riordino della disciplina dei servizi pubblici locali di interesse economico generale', 3federalismi.it-ISSN 1826-3534 |n. 10/2018rappresenti certamente un'occasione persa rispetto alla pressante esigenza di riordinare e razionalizzare un tessuto normativo estremamente frammentario: una disciplina organica, coordinata con quella in commento (e con il D.lgs n. 50/2016), avrebbe infatti sgombrato il campo da ricorrenti incertezze applicative, fornendo all'interprete un quadro più nitido dell'intera materia.Quest'ultima, con l'entrata in vigore del D.lgs. n. 175/2016 e s.m.i., sconta invece una irriducibile asimmetria fra le compiute previsioni attinenti ai soggetti affidatari di servizi pubblici (il 'chi'), e quelle disorganiche e lacunose, relative alle modalità di affidamento,all'organizzazione e alla gestione dei servizi pubblici a rilevanza economica (il 'come'). Tanto premesso, è pur vero che nel settore de quoè rilevabile un rapporto di vicendevole influenza tra i due piani –soggettivo e oggettivo –e così le previsioni riguardantila natura e le caratteristiche di una determinata tipologia di soggetti affidatari di servizio pubblico ben possono riflettersi sulle quelle regolanti le modalità di organizzazione e gestione, contribuendo a dare al servizio stesso una diversa fisionomia.Prendendo le mosse da siffatto rapporto, il presente lavoro ha per oggetto l'individuazione e la valutazione delle principali ricadute applicative del D.lgs. n. 175/2016, come modificato dal decreto legislativo correttivo n. 100/2017, nei confronti dei servizi pubblici locali a rilevanza economica, e in particolare del servizio idrico integrato (SII)2. Come è noto, il servizio idrico integrato (SII) è ancora definito nel nostro Paese dal D.lgs 03.04.2006, n. 152 (T.U. ambiente) come l'insieme dei servizi pubblici di captazione, adduzione e distribuzione dell'acqua ad usi civili, di fognatura e di depurazione delle acque reflue che deve essere gestito secondo principi di efficienza, efficacia ed economicità, nel rispetto delle norme nazionali e comunitarie.
1. Stato, Regioni e società partecipate: una convivenza necessaria. 2. La giurisprudenza costituzionale sul riparto di competenze in materia di società pubbliche: tutela della concorrenza, ordinamento civile, coordinamento della finanza pubblica e profili organizzativi. 2.1. La costituzionalità dell'intervento statale in materia di società pubbliche sulla base della tutela della concorrenza e dell'ordinamento civile. 2.2. L'evoluzione del coordinamento della finanza pubblicanella giurisprudenza costituzionale in materia di società partecipate. 3. La sentenza 251/2016: sulle società partecipate, tanto rumore per nulla? 4.L'accoglimento delle istanze del sistema delle autonomie nell'adozione del d.lgs. 175/2016. 5.Le soluzioni prospettate dal Consiglio di Stato per uscire dall'impasse della sentenza 251/2016. 6.Le modifichecontenute nel decreto correttivo: tra attuazione del principio di leale collaborazione e soluzioni di compromesso.7.Conclusioni. La riforma delle società a partecipazione pubblica prevista dalla c.d. legge Madia ha fornito alla Corte costituzionale l'occasione per prendere nuovamente posizione sul riparto di competenze tra Stato e Regioni in questa materia. La sentenza n. 251 del 2016 ha rappresentato una profonda innovazione, le cui conseguenze vanno al di là di questo specifico ambito. Tuttavia, dall'analisi delle posizioni assunte dalle autonomie nella fase di elaborazione del decreto delegato e delle modifiche introdotte con il decreto correttivo, appare che la violazione del principio di leale collaborazione non fosse di proporzioni tali da motivare un così profondo cambiamento nella giurisprudenza costituzionale. Le soluzioni adottate vanno a minare l'organicità della riforma e sollevano ulteriori interrogativi quanto alla loro coerenza sistematica.
Nel periodo tra il 7 ed il 14 maggio 2017 in Germania si sono tenute due consultazioni per il rinnovo dei parlamenti regionali, rispettivamente in Schleswig-Holstein e in Nordreno-Vestfalia. Nel caso di questo ultimo Land oltre 13 milioni di cittadini sono stati chiamati alle urne per il rinnovo del parlamento regionale (Landtag) della regione più popolosa e una delle economicamente più forti della Germania. I due appuntamenti rivestivano una rilevanza ancora maggiore del solito, in quanto rappresentavano i due ultimi test elettorali previsti in Germania prima delle elezioni del Bundestag del prossimo 24 settembre. In queste ultime, i tedeschi si troveranno di fronte all'alternativa se rinnovare la fiducia ad nuovo governo guidato dalla cancelliera uscente, Angela Merkel (Unione Cristiano-Democratica – CDU), o dal suo principale sfidante, l'ex presidente del Parlamento europeo, Martin Schulz (Partito Socialdemocratico Tedesco – SPD). Inoltre, insieme alle omologhe elezioni regionali celebrate nella Saar lo scorso 26 marzo, queste elezioni offrivano l'opportunità di verificare la tenuta delle diverse coalizioni di governo formatesi nelle precedenti legislature nei tre Länder, e più in generale di esaminare in quale misura le tematiche locali e quelle di portata nazionale ed europea abbiano effettivamente inciso sugli orientamenti degli elettori nell'occasione.
The aim of this paper was to analyze the regulation of microcredit in Brazil and in Italy, contextualizing the activity of microcredit within the Italian legal systemconstitutional order, and identifying the reasons for its poor diffusion. We believe that Italy, similarly to what has taken place in Brazil where gov-ernments, over the years, have strongly promoted policies to favor the development of microcredit in the country, should invest more in this field. It appears, moreover, appropriate to identify, in law, less strict criteria for access to this sector, as well as more flexible conditions in the areas of auxiliary services, interest rates and capitali-zation of the microcredit entities. SUMMARY: 1. Introduction. – 2. Microcredit in Brazil - in perspective. – 2.1. History and Legislative Discipline. – 2.2. The typology of microcredit in Brazil. – 2.3. The results of microcredit in Brazil. – 3. The regulation of microcredit in Italy. – 4. The various types of microcredit in Italy. – 5. The constitu-tional framework of microcredit in Italian regulation. – 6. The reasons for the poor diffusion of mi-crocredit in Italy. – 7. Conclusions.