1. Arte, Storia, Memoria. Halbwachs e la memoria collettiva. Arte e Storia formano la memoria come fatto pubblico; e la memoria è costitutiva di qualsiasi comunità che voglia essere tale; essa è un fattore decisivo per l'identità della comunità (Toscano, 2008, p. 15). Questo passaggio di Mario Aldo Toscano ci rende subito consapevoli dei primi elementi da considerare: arte, storia, memoria. L'intreccio tra questi fattori è determinante e scaturisce da un processo non sempre pacifico o pacificato: I Beni Culturali non sono né pace né armonia: sono manifestazioni dell'avanzata faticosa di una frazione di umanità per gli itinerari impervi del mondo. Essi sono un riassunto delle dimensioni più ordinarie e più straordinarie, di eterni contrasti, di lotte tra valori (Ivi, p. 38). Il Bene Culturale è quindi il prodotto complesso di negoziazioni ma anche di imposizioni spesso conflittuali. Che la memoria possa diventare oggetto conflittuale ce lo spiega già Maurice Halbwachs, quando sostiene che la memoria collettiva "si accorda con i pensieri dominanti della società" (Halbwachs, 1987, p. 21). Se appare forzata, nella prospettiva halbwachsiana, l'idea che il ricordo individuale esista soltanto perché appoggiato su uno strato di memorie condivise da più persone e non vi sia spazio per una prospettiva psicologica del soggetto singolo, è altrettanto interessante il fatto per cui, in questa lettura basicamente durkheimiana, il ruolo dell'insieme societario sia determinante e vincolante per il soggetto. La memoria diviene quindi un'istituzione e come tale deve essere affrontata come problema delle forme istituzionalizzate che l'immagine del passato assume nella coscienza dei gruppi, e dei modi e le forme di questa istituzionalizzazione. Nessun gruppo potrebbe riprodursi nella propria identità senza produrre e conservare un'immagine del passato consolidata, almeno per alcune delle sue linee ritenute fondamentali e valide dall'insieme dei membri. Affinché però ciò avvenga, la memoria si costituisce di ricostruzioni parziali e selettive del passato. L'idea chiave di Halbwachs è dunque che ricordare sia attualizzare la memoria di un gruppo. L'immagine del passato che il ricordo attualizza non è tuttavia qualcosa di dato una volta per tutte: se il passato si "conserva", si conserva nella vita degli uomini, nelle forme oggettive della loro esistenza e nelle forme di coscienza che a queste corrispondono. Ricordare è un'azione che avviene nel presente, e dal presente dipende. La ricostruzione del passato dipende agli interessi, ai modi di pensare e ai bisogni ideali della società presente. Tuttavia (…) l'immagine del passato che ogni società si rappresenta è, in ogni epoca determinata, qualcosa che si accorda con i pensieri dominanti della società stessa. I contenuti della memoria collettiva costituiscono dunque un insieme denso e mobile, che (…) costantemente è modificato, del passato è sempre un fenomeno dinamico. Ora, questa dinamica non esclude il conflitto. (…) L'idea forse più fruttuosa che si può ricavare da Halbwachs è proprio quella che il passato, oggetto di ricostruzioni successive e suscettibili di modifica, sia una sorta di posta in gioco fra interessi e gruppi contrapposti. (…) La memoria collettiva rappresentata dalla coscienza comune di queste società riflette effettivamente il risultato di uno scontro nel quale sono decisivi i rapporti di potere fra i gruppi diversi dei quali la società globale è composta (Halbwachs, 1987, p. 28). 2. Gruppi in conflitto: la posta in gioco. Memoria vs oblio. Ora la questione si sposta dunque sui gruppi che spostano l'equilibrio della "posta in gioco", come l'ha definita poco sopra Paolo Jedlowski. Il controllo di ciò che in qualche modo deve diventare memoria è allora elemento decisivo per chi si sfida nell'arena dei significati simbolici e contemporaneamente politici. Allo stesso modo, da contraltare, oltre a ciò che deve diventare memoria si affianca ciò che deve essere escluso dalla memoria, in un processo selettivo sia positivo che negativo. Un oggetto, un avvenimento, un artefatto, un luogo, possono essere elevati qualcosa da ricordare come essere cancellati con impeto e velocità. Gli esempi sono disparati e forse anche, apparentemente, contraddittori. Si può ricordare una vittoria militare, come la vittoria di Stalingrado per le forze sovietiche ed in generale antinaziste. Al contempo si può ricordare anche una sconfitta, come monito per non ripetere errori commessi e guardare ad un futuro migliore: i giapponesi ogni anno fanno tesoro delle esperienze di Hiroshima e Nagasaki. Si può però anche ricordare una sconfitta per creare un mito: i serbi trovano nel massacro di Kosovo Polje il loro mito fondativo. Si può creare un monumento ad hoc anche lontano dal luogo fisico in cui è avvenuto il fatto. Allo stesso modo è possibile distruggere un qualcosa del gruppo avverso: a Mostar i croati hanno bombardato lo Stari Most, testimonianza del passaggio ottomano in Bosnia e simbolo della città erzegovese. 3. "Le nuove guerre" e il ruolo dell'etnia Il contesto delle "nuove guerre" (Kaldor, 1999), è quindi terreno di coltura per questo tipo di conflitti, manifestatisi soprattutto successivamente alla caduta del Muro di Berlino. Attori deputati a poter dichiarare guerra nei confronti di attori di pari grado. Lo scenario disegnato da Kaldor è decentralizzato e disordinato a causa della fine dell'era dei blocchi contrapposti. Contemporaneamente lo stato nazione non solo è meno forte fuori dei propri confini, ma anche internamente ha subito e sta subendo un processo di progressiva erosione dei propri poteri coercitivi e di prevenzione delle minacce interne. Secondo alcuni autori, tra cui W. Pfaff (1993), la fine del mondo diviso in blocchi ha fatto sì che finissero i conflitti tra stati e nascessero quelli tra gruppi divisi da identità e modelli di vita inconciliabili. Le divisioni di oggi in azione sarebbero però decisamente più violente di quelle espresse nella prima modernità in quanto le identità astratte e laiche della cittadinanza statale tendono ad essere sostituite da altre di natura culturale, religiosa ed etnica tra le quali è più difficoltoso il compromesso (Maniscalco, 2008), dando vita ad un ambiente neo-barbarico. Va qui ricordato anche Huntington (1997), con la sua teoria dello scontro delle civiltà, "secondo la quale i conflitti successivi alla guerra fredda si spiegano in termini di divergenze culturali piuttosto che ideologiche o economiche; più che particolari stati, esse tendono ad interessare coalizioni di stati omogenei tra loro rispetto alle 'civilizzazioni' di appartenenza" (Maniscalco, 2008, p. 29). Secondo Kaldor siamo quindi in presenza di conflitti intrastatali che però differiscono dalle guerre civili dell'epoca pre-1989. Le differenze si riscontrano negli scopi, nei metodi di combattimento (guerriglia per eliminare l'altro), per la tipologia delle unità di combattenti (privatizzazione dei corpi) e nei metodi di finanziamento (ottenuto con attività malavitose). Questi conflitti vengono infatti combattuti sulla base di etichette etniche, in cui una nuova politica dell'identità, fondata su un comunitarismo esclusivo, annulla le politiche inclusive statali. L'etnia, in questo rinnovato quadro, diviene quindi l'attore principale intorno al quale poter sviluppare il gruppo di riferimento nei conflitti intrastatali. Questi conflitti, come ricordato, si basano su etichette che vengono affibbiate da un gruppo all'altro: si diviene gruppo per creazione autonoma o per esclusione da un determinato contesto. La lingua (in moltissimi casi si dovrebbe parlare di dialetti), la religione, il clan, i tratti somatici, una storia condivisa, sono gli elementi che fanno sì che il gruppo tracci un confine in-out netto e non valicabile. L'esclusione, più che l'inclusione, è il fattore che determina l'appartenenza. 4. I Beni Culturali nelle "nuove guerre": gli spazi interstiziali, sospesi e marginali. I Beni Culturali assumono un ruolo determinante all'interno dei conflitti sopra descritti, per vari motivi tra loro collegati. Anzitutto, il bene culturale, come abbiamo detto all'inizio, è traccia della memoria del gruppo etnico ed anzi viene accettato, creato, ricreato, protetto dal gruppo stesso proprio per dare delle basi comuni a tutti gli appartenenti della formazione sociale. Il bene culturale è testimonianza del passato, emblema dell'esistenza/persistenza presente e segno di continuità protesa al futuro. Può provenire dal passato, come nel caso dello Stari Most (1555) che riconduce direttamente al passaggio ottomano nell'area. Oppure può essere creato nel presente per ricordare il passato (antico o recente) e proiettarlo nel futuro. Rimanendo nell'ex-Jugoslavia possiamo pensare alla Torre di Gazimestan, un luogo spoglio e dal basso significato artistico e architettonico, ma situato nella Piana dei Merli laddove i serbi furono sconfitti dagli ottomani nel 1389, data da cui i serbi fanno partire la fondazione delle proprie radici comuni. L'intreccio Arte-Storia-Memoria si esplica quindi in un rapporto triangolare e paritetico, in cui i tre elementi si danno forza l'uno con l'altro. La Storia può essere selezionata per meglio indirizzare la Memoria nel senso halbwachsiano. L'Arte può diventare il campo di applicazione visiva ed emotiva del triangolo suddetto. L'opera artistica però è situata in luoghi ben precisi, sia momentanei (mostre) sia stabili (opere monumentali) e questi luoghi sono configurabili quindi come spazi determinati, riconoscibili e soprattutto riconosciuti dai gruppi chiamati al loro utilizzo. In questo caso siamo di fronte a quelli che qui definiamo come "spazi intensivi". Prima però di arrivare agli spazi intensivi, necessitiamo di riflettere sulle altre categorie dello spazio. Il problema dello spazio è stato quindi oggetto, da parte della letteratura sociologica, di intense elaborazioni e revisioni. Già Simmel, nel suo Lo spazio e gli ordinamenti spaziali della società, sottolineava sin da subito la natura multiforme dello spazio, in quanto unione di elementi psichici e di intuizioni dell'anima: Nell'esigenza di funzioni specificatamente psichiche per le particolari configurazioni storiche dello spazio si riflette il fatto che lo spazio è soltanto un'attività dell'anima, è soltanto il modo umano di collegare in visioni unitarie affezioni sensibili in sé slegate (Simmel, 1998, p. 524). Siamo allora di fronte ad una realtà composta da tanti "spazi particolari" che, come ci dice Emanuele Rossi (2006), "potremmo definire come spazi sospesi, i quali, pur differenziandosi nella loro strutturazione (…) e nelle loro finalità, si presentano sociologicamente interessanti soprattutto per ciò che contengono, per le forme di relazione e di convivenza che sono in grado di ospitare, di produrre o semplicemente di annullare" (p. 9). Per fare ciò "abbiamo bisogno quindi di re-imparare ad osservare e ad interpretare lo spazio, di riconoscere allo spazio e alle diverse forme che di volta in volta è in grado di assumere, la funzione di strumento di lettura privilegiato di tutte le cose, vero e proprio deposito a cui è necessario attingere per comprendere in modo qualitativo il gioco incessante delle passioni, degli entusiasmi, degli antagonismi, così come dei tormenti e delle sofferenze che da sempre caratterizzano gli esseri umani; ma per far ciò bisogna saper di nuovo lasciare spazio all'immaginazione e soprattutto non ridurre gli spazi a semplici rapporti geometrici (.)" (Ivi, p. 15). E' solo in questo modo che è possibile quindi scoprire, mediante "una speciale lente sociologica, individuata nel concetto di sospensione" (Ivi, p. 9), alcuni di questi "spazi particolari", in cui è possibile sospendere il normale corso degli eventi. Siamo quindi in grado di determinare diverse declinazioni di questi "spazi sospesi": "spazi interstiziali", "di margine", "di consumo". Qui ci interesseremo in particolar modo dei primi due, per il loro diretto collegamento con l'idea di "spazio intensivo". Il concetto di "interstizio", esaminato da Gasparini (2002), è di difficile e complessa collocazione ed anzi lo stesso autore dubita che si possa parlare di vero e proprio concetto. È altrettanto vero però che l'interstizio riesce "ad illuminare una serie di fenomeni specifici della vita quotidiana", divenendo "il tramite, la cerniera, la porta, il ponte o il guado che consente il passaggio verso altri sistemi organici di significati". Già Simmel (1998) aveva però evidenziato, sempre nel suo Lo spazio e gli ordinamenti spaziali della società, lo "stare fra" (p. 523) come funzione sociologica. Lo spazio infatti è una "forma priva di qualsiasi efficacia che, però, proprio in quella naturale situazione dello stare fra, può svolgere quella fondamentale funzione di elemento necessario alla configurazione di tutte le cose, rendendo in tal modo effettivamente possibile lo strutturarsi di qualsiasi forma di interazione" (Rossi, 2006, p. 56). Il vivere in comune quindi si sostanzia all'interno di uno spazio comune e condiviso che viene continuamente svuotato e riempito dalle interazioni che si susseguono di volta in volta. È lo spazio interstiziale quindi quello in cui si creano le relazioni, un "terreno di incontro" tra individui e/o gruppi comunicanti. Un altro contributo interessante che riguarda lo "stare tra" è offerto da Henry Pross, che si è cimentato nell'elaborazione del concetto di "spazi intermedi". Per questo autore infatti qualunque forma spaziale è prodotta dal potere, che ne determina le configurazioni, i confini ed i limiti. Anche la costruzione di elementi fisici spaziali (palazzi, strade, accessi) sono una forma del potere vivente, ma accanto agli ordini che si susseguono in termini di spazio (superiore e inferiore) e di tempo (…) sono individuabili gli spazi e i tempi della transizione. Edifici, accessi, limiti sono le manifestazioni quotidiane di differenti ordini; ci sono però corridoi, angoli, differenze di altezze e di profondità, fuori dal controllo: per questo si configurano come spazi intermedi che procurano un senso di liberazione e di riparo dalla pressione dei tempi sociali (Pacelli, 2010, p.188). Anche in Pross è quindi possibile ravvisare quello "stare tra" simmeliano, come luogo di eventi sociologici reciproci continuamente in atto e che quindi senza sosta si creano, ricreano e rinnovano in un'arena sempre aperta ad una perpetua negoziazione di socialità o di socievolezza, per citare ancora Simmel. Tuttavia questo continuo muoversi tra "morire e divenire, e divenire e morire" fa sì che questi spazi intermedi, nonché quelli interstiziali, siano quindi contenitori ad "intermittenza", i quali vivono dell'intensità temporanea delle relazioni che vi insistono all'interno, quando coloro i quali li percorrono e vi sostano decidono di instaurare dei rapporti di socialità con gli altri. Sono spazi quindi senza storia e senza futuro, lontani dal "luogo antropologico" di Augè (1993), eppure capaci di accogliere la costruzione di nuovi simboli e di rituali che lì vengono messi in atto e permangono per poco tempo. Queste occasioni di breve intensità fanno sì che però vi si verifichino degli accumuli energetici, diventando, come intuì Simmel, dei "centri di rotazione" (1998, pp. 540-1) intorno ai quali "si sviluppano relazioni con forte carica emotiva" (Rossi, 2006, p. 64). In altri termini, siamo in presenza di uno spazio non identitario, a relazionalità forte soltanto in alcuni momenti e su cui non si radicano forme fisse data la continua transizione di soggetti che vi transitano all'interno. Un'altra tipologia di spazio di forte interesse è quella rappresentata dagli "spazi di margine". Per andare a trovare queste forme spaziali bisogna anzitutto risalire ai luoghi che ogni giorno sperimentiamo nelle nostre esistenze. Bauman (2006, p. 116) osserva come nelle nostre società contemporanee lo spazio sociale tende a formarsi prevalentemente sulla base di ciò che egli definisce proteofobia, ovvero la paura della diversità. Questa paura fa sì che all'interno delle nostre "mappe mentali" si vengano a creare dei "buchi" creati volontariamente al fine di distinguere ciò che attraversiamo necessariamente e ciò che altrettanto volontariamente escludiamo in un tentativo di razionalizzare e di dare maggiore importanza ai luoghi che viviamo ed in cui transitiamo, ci situiamo e ci relazioniamo quotidianamente. Il margine è quindi un qualcosa che è nello stesso momento all'interno ma anche all'esterno dell'ambiente percepito: interno per ubicazione ma esterno per quanto riguarda l'interezza delle relazioni sociali. Siamo quindi in presenza di uno spazio che viene inteso come un luogo di difesa, che serve per preservare e sottolineare la specificità del proprio ambiente: un modo per porre un "altro da sé", per sospendere alcune questioni scottanti ed infine per dare una collocazione a quelle "società a fianco" che risultano un qualcosa da nascondere alla vista. Ed è proprio in questi margini che coloro i quali vi sono confinati possono ricreare zone di sociazione, sfruttando quell'oscurità di cui gli spazi di margine sono creati proprio dall'ambiente "di maggioranza" circostante. Nell'"effervescenza sociale" (Rossi, 2006, p. 90) esistente dentro ai margini risiede l'interesse verso questi nuovi centri di creazione di simboli e di senso. In conclusione, gli spazi interstiziali e di margine risultano quindi essere delle forme sospese, non ben definite, volatili. Proprio per questa loro condizione di transitorietà sono però attraversati da momenti ad altissima intensità relazionale ed emozionale che ne determinano l'importanza per i suoi "abitanti". Nonostante la loro posizione defilata gli "spazi particolari" rimangono sempre in contatto con lo spazio principale, proprio perché sono prodotti da questo o perché sono popolati da coloro i quali in esso non devono risiedere o al massimo possono sostarvi/transitarvi per pochi, innocui, attimi. 5. Una nuova categoria concettuale: lo "spazio intensivo" Lo spazio intensivo si configura come una forma spaziale che sicuramente trae alcuni elementi dagli spazi descritti precedentemente, ma al contempo ne scarta alcuni fattori per accoglierne altri. Lo spazio intensivo è la "residenza" del bene culturale attorno al quale i gruppi si riuniscono, caricando di emotività e di senso il luogo/bene prescelto. Anzitutto, come ci ricorda Maurice Halbwachs (1987, pp. 135- 42), c'è una piena identificazione del gruppo con il luogo ed anzi la "fisicità" del bene culturale descrive, arricchisce e dà sostanza al luogo stesso. Luogo e bene culturale agiscono simultaneamente, dato che l'uno non può esistere senza l'altro. Il bene culturale diviene tale proprio perché è situato e sussiste in un dato luogo, che può essere, ad esempio, teatro di rivendicazioni territoriali (come nel caso della Torre di Gazimestan nella Piana dei Merli in Serbia). Il luogo invece diventa rilevante, unico e "degno" di riconoscibilità proprio per la presenza del bene culturale. Tuttavia, non basta la presenza del bene culturale per dotare di intensività lo spazio. Altri fattori diventano determinanti. Anzitutto, rispetto agli spazi interstiziali e a quelli di margine, lo spazio intensivo è anch'esso uno spazio "sospeso", laddove la ritualità che vi insiste è frutto di momenti di richiamo politico/religioso collettivo. In confronto allo spazio interstiziale, lo spazio intensivo ne condivide la condizione di "stare fra": spesso infatti lo spazio intensivo sta fra due gruppi in conflitto ed anzi segna il confine di uno rispetto all'altro. Può essere un confine sia fisico (quando ad esempio viene ricoperto d'importanza il limite dello stato) o simbolico/religioso, quando per esempio prendiamo come punto di analisi un luogo di culto, in cui accede solo chi condivide la medesima fede. È inoltre un terreno d'incontri, tra gruppi diversi ma molto più spesso tra appartenenti ad uno stesso gruppo. Di certo al suo interno possiamo trovare quella intermittenza interazionale che fa sì che lo spazio intensivo "viva" in determinati momenti: le celebrazioni, le ricorrenze, gli anniversari, una funzione religiosa. Al pari degli "spazi intermedi", lo spazio intensivo può fungere da temporanea via dalle strutture del potere, anche se è una funzione diretta del potere. All'interno dello spazio intensivo infatti il forte coinvolgimento emozionale fa sì che si vada oltre ai sentimenti tipicamente nazionalisti o di identificazione con lo spazio medesimo. Quando si fa pratica di qualche rito o cerimonia (religiosa e/o civile) all'interno dello spazio intensivo, si trascende la dimensione puramente politica o religiosa per anelare ad un obiettivo per l'appunto trascendentale, immanente. L'appello per esempio di un leader nazionalista diventa destino di un popolo, la terrena funzione religiosa invece si trasforma in appuntamento con l'infinito. Di certo, come abbiamo visto in Simmel, lo spazio intensivo è un "centro di rotazione", dato l'alto investimento emozionale che su questo fanno gli appartenenti ai gruppi. Oltre a ciò, lo spazio intensivo può essere paragonato anche agli spazi di margine. Al pari di questi infatti lo spazio intensivo può crearsi come ghettizzazione di una minoranza all'interno di un luogo che diviene poi il nucleo di rivendicazioni della minoranza stessa. La differenza principale dello spazio intensivo rispetto agli altri "spazi particolari" risiede nel contrasto tra fissità ed intermittenza. Mentre gli spazi di margine e interstiziale rimangono comunque delle zone di transito senza una storia, un passato o un futuro, lo spazio intensivo, nonostante la transitorietà dei suoi eventi, è sempre presente. È uno sfondo che può essere riattivato socialmente, politicamente o religiosamente in ogni istante. È uno spazio in cui la narrazione riparte sempre dal punto in cui era stata interrotta e all'interno del quale la stessa narrazione non viene continuamente rinegoziata ma parte da punti fissi nella memoria e nella storia del gruppo. Possiamo parlare quindi di una "intermittenza stabile", dove "stabile" può essere declinato in due modi: anzitutto perché è un'intermittenza che si ripete ad intervalli di tempi regolari (dodici mesi per gli anniversari civili, sette giorni per la maggior parte delle funzioni religiose); in secondo luogo perché vi è una stabilità ripetitiva e certa dei contenuti non negoziabili che vengono ogni volta riscoperti, riaffermati e, se possibile, ancora più arricchiti nella loro funzione simbolica e distintiva. Si tratta quindi di spazi in cui la storia, il mito, il rito, il simbolo, hanno un alto impatto e sono costitutivi dello spazio stesso. Siamo in un campo molto vicino a quello che conosciamo come "luogo antropologico". Marc Augè (1993) ha proposto per primo questo concetto. Il "luogo antropologico è simultaneamente principio di senso per coloro che l'abitano e per colui che l'osserva". Il luogo antropologico diventa così una parte importante nell'elaborazione delle identità personali e nelle relazioni tra membri del medesimo gruppo, dato che coloro che vi "nascono all'interno (…) hanno la possibilità di sviluppare con questo un rapporto esclusivo" (Rossi, 2006, p.101) in cui le stesse relazioni reciproche interne diventano circoscritte e realizzabili solo da chi vive quel luogo. Allo stesso tempo il luogo antropologico possiede anche un carattere storico proprio perché la dimensione relazionale ed esclusiva è inoltre ripetitiva e costituisce una garanzia di stabilità ai membri appartenenti. Queste qualità, unite al fatto che per la memoria il luogo essendo l'elemento sensibilmente più visibile, dispiega abitualmente una forma associativa più forte che non il tempo (…), proprio lo spazio si collega (.) inscindibilmente (…) nella memoria e (.) il luogo continua a rimanere il centro di rotazione intorno al quale il ritorno avviluppa gli individui in una correlazione ora diventata ideale (Simmel, 1998, p.540). Questa unione di luogo antropologico e "centro di rotazione" a forte carica emotiva fa sì che lo spazio diventi quindi "intensivo" nel senso delle relazioni che vanno ad inserirsi all'interno di quest'ultimo. 6. Conclusioni La situazione così descritta è quindi immediatamente ricollegabile all'importanza che i beni culturali rivestono all'interno dei nuovi conflitti del Ventunesimo secolo. Il ruolo determinante che questi luoghi "intensivi" hanno nell'unire il gruppo etnico di riferimento, riprendendo Smith (1984), sotto i punti di vista dei miti, delle storie e dei simboli condivisi, rende immediatamente determinante la posizione delle dispute attorno ai beni culturali. Tali beni possono essere quindi visti, come detto all'inizio, alla stregua di un "riassunto delle dimensioni più ordinarie e più straordinarie, di eterni contrasti, di lotte tra valori" (Toscano, 2008, p. 31). Non si può trascendere da essi ed anzi il gruppo etnico ne richiede l'esistenza, come riserve di memoria e di coesione univoca. Proprio però per questo ruolo determinante e così tanto identificante, è possibile, allo stesso tempo, rovesciare questa natura "polemizzante" per renderla invece dialogante: l'avvicinamento tra culture e gruppi diversi può avvenire solamente riconoscendo ed apprezzando l'unicità dell'altro. È per questo motivo quindi che, attorno al bene culturale, si sviluppa una duplice energia che gli attori sul campo devono saper ben indirizzare.
INTRODUCCIÓN Esta Investigación está motivada por mi práctica profesional en un centro de secundaria con población gitana. En el año 2010 presenté el trabajo fin de Máster en Relaciones de Género "Absentismo y abandono escolar: una aproximación desde la perspectiva de género al estudio de las alumnas de etnia gitana del IES María Moliner" , en el que analizaba algunas de las dificultades que atraviesan las chicas gitanas para enfrentar la escolaridad en Secundaria y que están relacionadas por los mandatos de género de su etnia. Analizábamos el absentismo y una escolaridad irregular, en torno a una serie de ejes, que tenían que ver con la adscripción fundamentalmente de las chicas gitanas al ámbito doméstico y la escasa valoración que se realizaba en las familias gitanas hacia la formación reglada. Nuestros datos hablaban, del amplio abandono escolar de las chicas al cumplir los dieciséis años, sin haber obtenido la titulación en ESO y sin continuar con otros itinerarios formativos reglados, a pesar de las orientaciones y esfuerzos de la Comunidad Educativa del siglo XXI. Es decir, el único objetivo que se planteaba para estas alumnas, era el que habían tenido sus madres: recluirse en el hogar para satisfacer las necesidades de los hombres de la familia. Creo firmemente que la Educación es el camino hacia la libertad de las personas, y que la Formación posibilita su Empoderamiento. La finalización del trabajo de 2010 me dejó un sabor agrio, amargo. Por ello, la Tesis Doctoral tenía que ser un elemento esperanzador, positivo, y que contribuyera a crear futuro. Tenía que ser un trabajo que ayudara a mis alumnas gitanas y a todas las chicas, a ver que hay otras realidades y otros horizontes vitales. Este trabajo tenía que explorar precisamente los recorridos diferentes a los tradicionales, que otras Mujeres Gitanas de Zaragoza hubieran ya realizado, para que mis propias chavalas y las alumnas gitanas de todos los centros de la ciudad, tuvieran sus propios modelos de acción, que las pudiera sacar de la inercia de unas vidas trazadas con un compás, que dibuja siempre el mismo círculo, donde tan solo cabe un proceso vital: el de ser esposas y madres. Serry Ortner explica que se siente emocionalmente implicada en su objeto de investigación y que su conciencia de pertenencia al grupo dominado la empuja a cuestionarse el porqué de las relaciones de dominación entre hombres y mujeres. Por mi parte debo añadir, que mi implicación con mi objeto de investigación no solo me ha llevado durante todos estos años a preguntarme lo anterior, sino cómo mi contribución personal y profesional, desde mi compromiso y profundo respeto, puede incrementar la promoción de la sociedad gitana. Por tanto en mi Declaración de Intenciones planteo realizar un trabajo de investigación sobre Mujeres Gitanas, en el que se puedan estudiar aquellas, que a través de sus historias personales, sus experiencias vitales, y sobre todo sus historias educativas de éxito, están contribuyendo a romper barreras, a crear nuevos modelos culturales para todas las mujeres y en especial para las de su propia comunidad. De este modo pretendemos visibilizar mujeres gitanas que luchan de algún modo por su propia emancipación humana y cuyas vidas se puedan ofertar como modelos performativos, o en sus propios términos, como referentes positivos para el resto de mujeres de su comunidad. DESARROLLO TEÓRICO El posicionamiento teórico con que enfrentamos la investigación, basado en la Perspectiva de Género, parte de la valoración de la existencia de mujeres y grupos de mujeres que a través de reconocerse en las otras, apoyarse y darse autoridad, pueden generar un incremento de la autoestima de género, combatir la misoginia y encontrar un posicionamiento social y personal más igualitario. Entendemos que a través de la sororidad se produce una trasgresión política y social importante, por lo que es necesario emprender iniciativas que supongan el crecimiento personal de las mujeres gitanas y de todas las mujeres, el empoderamiento personal y colectivo , y la creación de un autoconcepto identitario sano y fuerte que nos permita ser protagonistas de nuestras propias vidas y de nuestros destinos. Metodología El desarrollo de la presente investigación se ha basado en la Metodología Cualitativa. Para entender los fundamentos que sustentan una comunidad gitana ha sido necesario partir de la lectura de textos escritos por diferentes gitanólogas y gitanólogos como Teresa San Román, Juan de Dios Ramírez Heredia, Juan Gamella, Mariano Fernández Enguita, o Jean Paul Liégeois (1998), Kirsten Wang, Paloma Gay Blasco, Isabel Crespo García. Hemos delimitado la Población Objeto de Estudio de la presente Investigación, que son Mujeres gitanas de Zaragoza que destacan por presentar algún tipo de fisura con la tradición patriarcal de la cultura gitana, a través de determinados aspectos de sus costumbres y de sus tradiciones o que han salido al Ámbito Público a través de alcanzar niveles educativos, cuotas laborales o del asociacionismo.¿ En este marco las Hipótesis Generales que planteaba eran: Que en la sociedad española las relaciones entre los géneros están basadas en premisas patriarcales ya que el Patriarcado sigue plenamente vigente en la actualidad. La segunda plantearía que la sociedad gitana mantiene las estructuras patriarcales fuertemente arraigadas y condiciona en mayor o menor medida, el destino de las Mujeres hacia el Ámbito Doméstico. La tercera hipótesis general es que existen Mujeres Gitanas en Zaragoza que han transitado las fronteras del Ámbito Doméstico y han penetrado en el Público a través de alguna de las modalidades que este supone, educativas, asociativas, laborales. Y en relación a esta hipótesis y para su oportuno desarrollo parto de hipótesis secundarias: que tienen que ver con relaciones entre los géneros desiguales lo que dificulta el acceso a la esfera pública y que esta situación puede corregirse a través de la concienciación, la educación y en definitiva el empoderamiento de las mujeres gitanas, y que no obstante parto de la existencia de estas mujeres que a través de sus discursos están transformando la sociedad gitana. Para confirmar o desterrar estas hipótesis nos planteamos los siguientes Objetivos: 1º Identificar los elementos identitarios que caracterizan la Comunidad Gitana de Zaragoza desde la Perspectiva de Género, que afectan a las Mujeres en el Ámbito Doméstico. 2º Identificar Mujeres Gitanas de Zaragoza que han penetrado en la esfera pública través de la Educación, de la Inserción Laboral, del Asociacionismo, de la Intervención Social, etc. 3º Visibilizar a estas Mujeres gitanas que luchan por su propia emancipación y cuyas vidas se puedan ofertar como modelos de referencia. 4º Estudiar, analizar, describir las Asociaciones u Organizaciones Gitanas que contribuyen a la promoción de la Mujer Gitana en Zaragoza. Referido al Trabajo de Campo, la investigación se ha centrado en diecisiete que en los resultados finales se han reducido a dieciséis Mujeres Gitanas, quienes aportan sus Testimonios y sus Voces para informarnos, tanto de sus trayectorias vitales, como de distintos aspectos significativos de las tradiciones, o claves culturales gitanas. Estas situadas en el universo Público por sus recorridos vivenciales en el Asociacionismo Gitano, en el mundo laboral, o a través de la adquisición de unos objetivos formativos. Para que pudiera comprenderse las barreras que ellas mismas han debido afrontar en ocasiones, y que algunas de ellas nos refieren en sus testimonios, hemos investigado, las claves culturales de la sociedad gitana que fundamentalmente remiten y designan a las mujeres al Ámbito Privado. En esta parte nos hemos servido igualmente del testimonio, de algunas de ellas, pero también, de las aportaciones de un amplio número de mujeres y hombres gitanos, que generosamente han contribuido a ilustrar el modo y funcionamiento de la Comunidad Gitana de Zaragoza. Nuestro trabajo se completa con la información recogida y la experiencia acumulada en los más de treinta años que en el campo educativo y social, llevo en contacto con Población Gitana. El intervenir en prácticamente todas las zonas de la ciudad en distintas épocas, me ha permitido conocer distintas realidades de este Pueblo, tanto de Asentamientos Chabolistas, como de zonas integradas. De este modo he participado, en procesos de Inserción, Realojo, y he compartido procesos de Escolarización de niñas y niños gitanos desde sus inicios. Varias son las limitaciones, dificultades encontradas en el transcurso de esta investigación, al igual que errores cometidos que debo mencionar para evitar en futuros trabajos. El error fundamental ha sido un planteamiento de investigación extremadamente ambicioso pretendiendo abarcar todo Aragón. Por ello debí realizar una redimensión y restringir el ámbito de estudio a Zaragoza capital y pueblos cercanos. Mi idea inicial era investigar el mapa de Aragón con todas las Mujeres Gitanas universitarias y sus Organizaciones, en la creencia que existiría un panorama similar al andaluz donde Organizaciones como Fakali:Amuradi, tenían gran trascendencia. La primera decepción llegó cuando encontré un panorama desolador y desértico, donde la excepcionalidad era la diferencia. El Trabajo de Campo para seleccionar Mujeres Gitanas Objeto de Estudio ha sido muy dificultoso. No contar finalmente con algunas otras mujeres universitarias gitanas existentes cuyo testimonio hubiera resultado altamente valioso, ha resultado frustrante. Un aspecto que hemos valorado como muy positivo, es el estar inmersa en una situación en contacto directo con población gitana y que ha favorecido el acercamiento, las sinergias y dinámicas relacionales. Igualmente, la confianza, la cercanía, la intimidad, han permitido una mayor profundidad en el tratamiento del objeto de investigación. Sin embargo, en ocasiones me ha supuesto saturación o desbordamiento. Cuando la práctica profesional ha supuesto días o semanas complicadas resulta muy complicado superar el deseo de abandono, retomar la creencia de que la promoción del pueblo gitano es posible, y volver a pensar que esta Tesis no es un espejismo. Un problema ético que se me plantea es el salvaguardar el grado de confidencialidad de la información, por lo que aquellos aspectos que supongan un cierto grado de riesgo legal o emocional para las personas informantes, no aparecen en el informe de investigación. Marco Conceptual Nuestro Marco Conceptual está basado en una perspectiva feminista y de género, entendiendo ésta como una teoría crítica que analiza las relaciones entre los géneros. Estas relaciones estarían condicionadas por un ideario simbólico basado en preceptos patriarcales, androcéntricos, y discriminatorios hacia las mujeres. Estos elementos están analizados en profundidad en el texto completo y apoyo mis afirmaciones en autoras de prestigio como Seyla Benhabid, Celia Amorós, Gerda Lerner, Amelia Valcárcel, Purificación Mayorbe, Guadalupe Gómez Ferrer, Judith Butler, Aurelia Martín Casares, Simone de Beauvoir, Marian Larumbe, Alicia Puleo, Victoria Sau, Ana de Miguel, o Kate Millet, entre otras. En los últimos años se están observando grandes cambios en el marco de las relaciones entre hombres y mujeres en nuestra sociedad. Se están redefiniendo las concepciones de masculinidad y femineidad, de tal manera que incluso se habla de una crisis de identidades a medida que los roles tradicionales se tambalean para adaptarse a las demandas de los nuevos tiempos. La incorporación de la mujer a los espacios públicos, durante siglos confinada al ámbito privado y dedicada a tareas de procreación, de crianza y de cuidados de la prole y de los miembros de la familia extensa y nuclear, es un fenómeno que trae consigo la redefinición de nuevos papeles para ambos géneros. La socialización de nuevos seres que tiene lugar fundamentalmente en la familia, en la escuela y a través de los medios de comunicación, pasa igualmente por periodos de reajuste que deben ser analizados y tenidos en consideración. Por otra parte, a pesar de que en las últimas décadas se han observado avances referidos a estrategias marco contra discriminaciones en función del origen racial o étnico o por motivos de género, recientes informes de ONU Mujeres, Beijing 20, revelan altos porcentajes de discriminación en diferentes esferas, donde se ven afectados los valores fundamentales de igualdad y el Estado de Derecho. Es así que nos encontramos con la situación que viven grupos, colectivos o víctimas de segregación que se pueden ver afectados por varios rasgos asociados a estereotipos negativos hondamente arraigados en la sociedad. A lo largo de estas páginas trataremos de reflexionar sobre uno de los grupos que tradicionalmente se ha encontrado con grandes discriminaciones en nuestra sociedad como es el pueblo gitano. Estamos encontrando que las mujeres gitanas serían objeto de una discriminación múltiple: la declaración de Beijing de 1995 en el Marco de la Cuarta Conferencia Internacional sobre Mujeres, en su párrafo 32, se refería a las múltiples barreras que impiden a algunos grupos de mujeres avanzar en la igualdad real: ¿Nosotros los Gobiernos participantes estamos determinados a intensificar los esfuerzos para asegurar el igual disfrute de todos los derechos humanos y la libertades fundamentales para todas las mujeres que sufren múltiples barreras en su empoderamiento y progreso a causa de factores tales como su raza, edad, lengua, grupo étnico, cultura, religión, discapacidad, o pertenecer a una comunidad indígena¿. Así podríamos hablar de una múltiple discriminación de este colectivo: 1.- por ser mujeres 2.- por el bajo nivel educativo del colectivo 3.- por pertenecer a una minoría étnica, la gitana 4.- y por ser mujer dentro de su propia etnia o cultura En los últimos años se ha observado un cambio significativo en cuanto a los valores, expectativas de futuro e incluso roles de las mujeres gitanas, sin embargo, sólo un porcentaje ínfimo de la población gitana residente en España, que agrupa a unas 650.000 personas, llega a la Universidad, pero ocho de cada diez son mujeres. En numerosos foros se habla de que el cambio empieza o debe empezar por las mujeres gitanas porque ellas se han convertido en las impulsoras de la transformación en esta comunidad. Sin embargo, las resistencias que ellas deben enfrentar son formidables. Las obstrucciones provienen de los varones de su propio grupo, que no quieren perder los privilegios adquiridos durante siglos de dominación, pero también existe un alto número de mujeres que se oponen a estos cambios. A pesar de ello, afortunadamente cada vez se escuchan más voces por parte de las propias mujeres gitanas que están reclamando sus espacios de participación, su protagonismo en la sociedad. Reclaman para sí, una visibilización que les ha sido negada por la sociedad por una parte, y por su propia etnia por otra. Historia de la Población Gitana en España y Aragón Hemos considerado interesante el realizar un breve recorrido por la Historia de la Población Gitana en España, con mención expresa a la Historia en Aragón, y observar la situación de los últimos años en Zaragoza, que nos permita acercarnos a la actualidad. La razón fundamental es comprender el momento histórico en que nos encontramos a día de hoy y fundamentalmente con la finalidad de diferenciar la Población Gitana que describimos en Zaragoza, de otras etapas históricas que se han podido producir en la ciudad u otras Comunidades Gitanas, que han podido ser estudiadas o descritas en otras zonas geográficas españolas en investigaciones anteriores. Ante todo queremos dejar claro que la Comunidad Gitana Objeto de Estudio de nuestra investigación carece de las connotaciones de exclusión de otras investigaciones consultadas. De este modo podemos aproximarnos a las Características Generales Culturales de la Población Gitana e ideales Culturales de Mujeres y Hombres. Perspectiva Educativa La Educación es uno de nuestros mayores intereses, como hemos mencionado anteriormente: porque consideramos que la Promoción de cualquier Sociedad va unida inexorablemente a la Educación de su Pueblo, porque nuestra práctica profesional es en el campo educativo y porque creemos que la Educación debe y puede ser conciliada con el Ser Mujer y Gitana. Por todo ello y porque la Educación continúa siendo un reto para la Población Gitana, dedicamos un capítulo a la misma. Comenzamos con los Inicios de la Educación de la Población Gitana en Zaragoza, vista desde los ojos de sus protagonistas docentes. Conviene reflexionar en ocasiones desde los puntos de partida para darse cuenta del camino recorrido. Continuamos con datos globales de Educación y Alumnado Gitano según datos estatales, y en toda la geografía española, y la planificación prevista según la Estrategia Nacional para la Inclusión de Población Gitana 2012-2020. Incorporamos algunos elementos que dificultan una escolaridad de éxito y que convendría revisar y principios educativos que consideramos deberían ser incorporados desde una práctica educativa desde la Perspectiva de Género. Por último añadimos algunas Propuestas Educativas que realizan diversos Asociaciones de Mujeres Gitanas. Es entendible, que la igualdad de oportunidades y un acceso a la Ciudadanía de pleno derecho podrán hacerse más efectivas cuanto mayores son los niveles educativos de la población. Es necesario por tanto, conocer la situación en la que se encuentra la Comunidad Gitana, con la finalidad de poner en marcha medidas eficaces que garanticen un derecho básico como es la educación. La Promoción de cualquier Sociedad va unida inexorablemente a la Educación de su Pueblo. Los Principios educativos básicos de donde partimos suponen una educación integral, inclusiva, empoderadora, coeducadora, intercultural, y cívica, que eduque en los cuidados a los demás y en las emociones, entre otros. Hago referencia a que la igualdad de oportunidades debe garantizar el acceso a la Ciudadanía de pleno derecho, potenciando mayores niveles educativos de la población, y que la diversidad debe ser entendida desde la inclusión y desde su potencial enriquecedor y no como elemento legitimador de la exclusión social de determinados colectivos y minorías como la gitana, o colectivos migrantes de países empobrecidos. Con el mismo principio reivindico la necesidad de incorporar la perspectiva de género en la educación, tanto para corregir las desigualdades de partida como para conseguir un acceso integro a la sociedad de todas personas. Asumimos igualmente, una de las reivindicaciones históricas de la Comunidad Gitana en España, y es la incorporación de su Historia y sus Claves Culturales al Currículo Educativo como una práctica inclusiva. El reconocimiento de la diversidad cultural del Pueblo Gitano puede suponer una pequeña contribución a colaborar con el aumento del Éxito Escolar en la Población Gitana. La Estrategia Nacional para la Inclusión Social de la Población Gitana en España 2012-2020, habla de "qué" incrementar respecto a la educación en la Población Gitana pero no hace referencia al "modo", y nos parece fundamental desde nuestro ámbito, el aportar algunos apuntes importantes para toda educación en género y para todo tipo de población que se plantee la superación de las desigualdades entre mujeres y hombres. Para nosotras es fundamental crear un modelo educativo estratégico que gestione la formación de alumnas y alumnos libres. Hay que dar al alumnado y a sus familias la posibilidad de reflexionar, exponer, comunicar y manifestar sus deseos, expectativas, frustraciones y aspiraciones, y establecer un diálogo donde se clarifiquen los intereses de las y los integrantes de la comunidad educativa que permitan diseñar objetivos comunes que encaucen la acción educativa y docente. Aproximación a los inicios de la escolarización de la población gitana en Zaragoza: Esta aproximación a los inicios de la escolarización de la población gitana en Zaragoza está sin recoger a nivel escrito, por lo que cobran especial relevancia los testimonios de sus protagonistas a quienes agradezco sus aportaciones. Este retazo de historia ha sido realizado pues, con las aportaciones de diferentes personas, que pusieron empeño en que niñas y niños gitanos tuvieran acceso a la educación y opción a un futuro distinto al de sus familias. Etapa de voluntariado. Hacia el año 1965, la escolarización en Zaragoza de niñas y niños gitanos se produce a instancias de ciertos grupos religiosos y personas voluntarias, que fueron creando aulas en las zonas donde se agrupaba la población gitana. Figuras como la Hermana Milagros, o Ester Giménez, sin apenas recursos llevaron la lectura y escritura a los primeros gitanos. Escuelas Puente. En 1978 se firma un Convenio entre la Conferencia Episcopal Española y el Ministerio de Educación y Ciencia para la creación en diversas ciudades españolas, de Escuelas Puente que afrontaran la escolarización de la minoría de etnia gitana. Son Centros Especiales de transición en régimen especial, según el art. 51 de la Ley General de Educación, y pretenden preparar a niñas y niños gitanos en situaciones de marginalidad para que puedan incorporarse a la escuela ordinaria. Durante los seis o siete años de duración, (según cursos y lugares) tuvieron una media de 182 aulas con 5.988 niñas y niños por año. Esta Etapa denominada por uno de los informantes como Etapa Institucional por la implicación de las Instituciones, abarcaría un periodo entre 1978 y 1987. Para Zaragoza se concreta en la creación de una escuela graduada Mixta con 9 unidades donde la Iglesia se compromete a ceder locales y el Ministerio aporta el profesorado y el resto de recursos. Esta escuela se ubica en dos lugares distintos: La Paz, para los alumnos del barrio de la Paz y otra ubicación en la Cartuja Baja para el resto de barrios, alumnos que iban transportados. Se les denomina Escuelas Puente en toda España porque su finalidad era preparar a los niños gitanos para que pasasen a un escuela ¿normalizada con garantías¿. En ellas se debe partir prácticamente de la alfabetización de todo el alumnado. La Quer Majarí Calí era una única escuela, con un claustro único de profesorado y con dos localizaciones diferentes La Paz y la Cartuja Baja con 120 niños y niñas en Zaragoza capital. Tal como aparece en las gráficas de la documentación que se nos ha aportado y hemos consultado, existe mayor número de niñas escolarizadas en los cursos iniciales, dándose un abandono progresivo en los cursos superiores. Andrés Alonso recuerda que las niñas manifestaban mayor motivación e interés que los chicos por la escuela, aunque a medida que iban creciendo iban desapareciendo de la escuela requeridas para ayudar en las tareas domésticas. Las funciones del Profesorado en los inicios trascendían necesariamente las paredes de la escuela. La educación era concebida desde ámbitos integrales que incluía trabajar diferentes hábitos en el terreno y la realidad de las chavalas y chavales. Yo trabajé en la concentración de La Cartuja Baja y nosotros tuvimos los primeros días dos autobuses llenos, unos ciento veinte niños y al cabo de dos meses desaparecieron casi todos Educación Compensatoria. El cambio en la política educativa general que supuso la puesta en funcionamiento de la Ley Orgánica del Derecho a la Educación (LODE) en 1983, comenzó a desarrollar principios y valores de igualdad y no discriminación contenidos en la Constitución Española. Así mismo el Real Decreto sobre Educación Compensatoria (1.174/83) ayudó a incorporar progresivamente la población gitana a los centros ordinarios. En él se indicaban una serie de acciones tendentes a paliar las desventajas de acceso y permanencia de determinado alumnado, en función de condiciones socio-económicas o de proveniencia desfavorecidas. Presente y futuro comunidad gitana y educación. Reto pendiente en el mundo gitano: la Educación. Históricamente la población gitana ha padecido altas tasas de analfabetismo, debido a circunstancias como la exclusión social o su tradicional cultura nómada. Sin embargo, la modificación de las circunstancias sociales y la política educativa hacen que progresivamente la plena escolarización del alumnado gitano se vaya consiguiendo en diversas Comunidades como la Aragonesa. El Presente y Futuro de la Educación de la Comunidad Gitana en nuestro país, está unido inexorablemente a los planteamientos de la Estrategia Europea 2020 y a la Estrategia Nacional para la Inclusión Social de la Población Gitana en España 2012-2020. La educación es una de las áreas clave de ambas y por ello se esperan avances significativos en los próximos años. Según los datos que se aportan en la citada Estrategia Nacional en relación con la Situación Educativa de la Población gitana, se destacan claros progresos en cuanto a la escolarización de los niños y niñas gitanas en la Educación Infantil y Primaria. A pesar de que las tasas de escolarización en Educación Infantil son más bajas que para el conjunto de la población, estas han aumentado significativamente en los últimos años. Entre 1994 y 2009 se ha producido un avance de casi 30 puntos en el porcentaje de niñas y niños gitanos que han asistido a Educación Infantil previamente a su escolarización obligatoria (87% en 2009) según los datos de la FSG (2010) En el caso de la Educación Primaria, la escolarización de las niñas y niños gitanos está prácticamente normalizada, aunque sigue siendo preocupante la alta tasa de absentismo escolar y el abandono prematuro. Estos fenómenos, continúa la Estrategia, se intensifican en el primer ciclo obligatorio de Educación Secundaria, en el que la situación se agrava en el caso de las niñas gitanas, ya que todavía existe un cierto porcentaje que ni siquiera accede a Secundaria. No es el caso de Zaragoza donde los diferentes protocolos de Prevención del Absentismo Escolar han hecho que la escolarización hasta los 16 años hasta años recientes haya sido un hecho, según mis propios estudios. La presencia de jóvenes gitanos en estudios postobligatorios, aunque se percibe como una tendencia en aumento, es aún poco frecuente y la brecha con respecto al conjunto de la población es profunda. En el caso de la Graduación en Estudios Superiores, la diferencia era superior: 0,3% de la población gitana frente al 22,3% de la población total. No obstante, se hace la mención a que posiblemente la población gitana con mayor nivel de estudios esté infrarrepresentada en las muestras de las encuestas. Este dato es importante y puede estar en relación con una de nuestras conclusiones, que nosotras denominamos las gitanas invisibles. La población gitana adulta presenta niveles de estudios más bajos, incluyendo una tasa de analfabetismo más alta que la de la población en su conjunto. Ante este panorama se reconoce en la citada Estrategia Nacional para la Inclusión, que uno de los mayores retos que tiene planteados la Sociedad Gitana supone el alcanzar mayores cotas formativas. Estrategia Nacional para la Inclusión 2012-2020: líneas de actuación: En la Estrategia Nacional para la Inclusión 2012-2020 se establecen distintas Líneas fundamentales de actuación en materia de Educación en las Etapas: Infantil, Primaria, Secundaria, y Postobligatoria en con la finalidad de incrementar el nivel educativo de la Población Gitana una vez reconocido que efectivamente es uno de los grandes desafíos que esta etnia tiene pendientes. En cada provincia se están estableciendo reuniones de coordinación entre las Organizaciones Gitanas y las Instituciones para estableces las medidas a desarrollar. La persona que les habla está trabajando en la comisión pertinente en Zaragoza, y al final del curso escolar se deben de aportar en Madrid las conclusiones anuales para unificar criterios. Estudio Estatal sobre la situación educativa del alumnado gitano en la etapa secundaria. Conclusiones y recomendaciones para la intervención. Con la finalidad de desarrollar medidas que pongan en funcionamiento esta Estrategia Nacional, el Ministerio de Educación y Ciencia a instancias de la Fundación Secretariado Gitano y en colaboración con otras entidades, ha realizado un estudio de ámbito estatal, sobre la situación educativa del alumnado gitano en la Etapa Secundaria, que fuesen comparables con los datos oficiales existentes para el conjunto de la población. Así pues El alumnado gitano en Secundaria. Un estudio comparado y según el mismo, este estudio nace como respuesta a la necesidad de contar con datos actualizados. Los datos actualizados en 2014 por la Fundación Secretariado Gitano respecto a la Situación Educativa de la Población Gitana en España (alrededor de 725.000 personas) habla de una notable mejoría, gracias al esfuerzo de las familias gitanas , de las administraciones públicas , de los profesionales de la educación, de los centros, y de las organizaciones no gubernamentales. Tras reconocer la mejora progresiva del nivel educativo de la población gitana en las últimas décadas, debido a una generalización de su escolarización y una visión más positiva de la escuela, se observa que la juventud gitana, supera al de sus progenitores, `pero se halla por debajo de los niveles del conjunto de la población en cuanto a su nivel de educación y formación La brecha comienza a abrirse antes incluso de la finalización de la enseñanza secundaria obligatoria, ya que tan solo 24,8% logra el título de Graduado en ESO y que se ensancha progresivamente con el comienzo de la educación secundaria post-obligatoria. Las conclusiones informe hablan del fracaso escolar como un problema manifiesto en la población gitana joven, ya que los resultados establecen que 64 de cada 100 jóvenes gitanos con edades comprendidas entre los 16 y 24 años no tienen la ESO. Respecto al conjunto de la población joven, el total asciende al 87 sobre 100 jóvenes con titulación ESO. Y contrastaría con los datos siguientes, ya que el informe continúa diciendo que "este panorama se traduce en un patente desfase en términos formativos de la población gitana, pues la mayoría se queda estancada en la educación primaria, de forma que hay un importante número que ni siquiera consigue completar la educación obligatoria." Otras recomendaciones para fomentar la formación de la población gitana De todas las recomendaciones que se establecen en la Estrategia para fomentar la formación de la población gitana he querido destacar, aparte de una implicación real de toda la comunidad educativa entendiendo como tal a todo el personal del centro escolar, familias, alumnado, agentes sociales, administración y todas personas implicadas en un desarrollo integral del alumnado. En la línea de recomendaciones establecidas, las participantes del I Congreso Internacional de Mujeres gitanas: Las Otras Mujeres, en las Conclusiones del Sueño relativas a Educación, hacían referencia a las actuaciones de éxito que mejoran la educación, y concretamente a aquellas en las que las familias participan en las escuelas implicándose en todo el proceso educativo de sus hijas e hijos. Las experiencias docentes con Escuelas Inclusivas o las Escuelas de Aprendizaje con el aprendizaje cooperativo, son buena prueba de ello. Incorporamos su propio testimonio puesto que nos parece altamente significativo, a la par que sugieren distintas actividades altamente atractivas como las tertulias literarias que estamos tratando de poner en funcionamiento en nuestro propio centro. Estas mujeres a su vez están sugiriendo una medida de discriminación positiva que nosotras apoyamos firmemente y que junto a las Organizaciones Gitanas de Zaragoza estamos planteando demandar: la reserva de plazas para población gitana en Ciclos Formativos y en Universidad. Por otra parte, la filosofía que entraña el "Ejercicio del Sueño" que es propio de metodologías activas como las mencionadas con anterioridad en Aprendizajes Inclusivos, han sido igualmente incorporados y mantenidos en la actualidad en Campañas de la Fundación Secretariado Gitano para promover la Educación y la consecución de objetivos académicos y formativos, como en los Programas "Promociona" o "De Mayor Quiero Ser". Estos elementos igualmente los incorporamos en la metodología activa de nuestro centro para tratar de estimular el incremento del éxito escolar en la población gitana fundamentalmente. Actuaciones de Éxito: Entre las actuaciones consideradas de éxito se incluyen, la participación de las familias en los procesos educativos de hijas/hijos; escuelas inclusivas; escuelas de aprendizaje; aprendizaje cooperativo; discriminación positiva en formación; campañas de la Fundación Secretariado Gitano como De Mayor Quiero Ser, Referentes Positivos, Programa Promociona, etc. Situación actual en Zaragoza. La finalización de la escolaridad en Zaragoza, no supone en la mayoría de los casos, la obtención del Graduado en ESO, ya que las cifras distan de acercarse al 24,8 % que establece el Estudio para la población gitana en general. Se halla pendiente de estudio el establecer cifras reales y exactas de alumnado gitano que obtiene la titulación en ESO en la ciudad en ambos géneros. La mayoría del alumnado queda estancado en 2º de la ESO, y de aquellos que promocionan a 3º de la ESO un amplio número es por imperativo legal debido a edad y cursos repetidos. El promocionar arrastrando desfases curriculares importantes, unido a la desmotivación, falta de hábitos de estudio y otros factores, hace muy difícil la posibilidad de alcanzar los objetivos exigidos para titular en ESO, por lo que el alumnado debe ser derivado a otros itinerarios formativos. La puesta en funcionamiento de la LOMCE con la eliminación de los Programas de Cualificación Profesional Inicial y su substitución con los actuales de Formación Básica, ha disminuido las posibilidades formativas para alumnado con desfases curriculares significativos disminuyendo sus alternativas regladas. A estas dificultades debemos añadir los factores de género que hemos visto en el Ámbito Doméstico en forma de ejes y que, en nuestra investigación de 2010 establecimos a su vez como elementos condicionantes de la escolaridad. Ciertas tradiciones y factores culturales suponían impedimentos u obstáculos para promover la educación obligatoria y postobligatoria en las chicas gitanas Las tres Organizaciones Gitanas mayoritarias de Zaragoza tienen entre sus Objetivos fundamentales la promoción de la educación en la Comunidad Gitana. Tanto en la Asociación de Promoción Gitana como en la Federación de Asociaciones Gitanas, a través de los Programas de Mediación para la Prevención del Absentismo Escolar en los Centros Escolares tanto de Primaria como de Secundaria. La Fundación Secretariado Gitano en el Área de Educación invierte gran esfuerzo y realiza distintas campañas y actividades, consciente que la Formación es básica en la Promoción de la Sociedad Gitana. Una de ellas es el Encuentro Anual de Jóvenes Gitanos que tiene lugar en Zaragoza, y al que puntualmente asistimos con chicas y chicos de nuestro centro. Programas: De Mayor quiero ser. Asomate a tus sueños, Mentoring. Promociona. Las Mujeres Gitanas que han trascendido las fronteras del Ámbito Privado al Ámbito Público a través de la Educación, superando las barreras de su propia cultura en ocasiones y las de la sociedad mayoritaria en otras, pueden convertirse en Referentes Positivos para otras Mujeres, y están creando las condiciones para una sociedad en transformación. Sin desprenderse de su identidad gitana, de sus costumbres o de sus tradiciones, defienden elementos de su cultura sin atavismos, desde la libertad que les ofrece su capacidad crítica y la posibilidad de elegir. Establecen sus prioridades, determinan lo que para cada cual es importante, y ejercen su gitaneidad desde sus propios valores. No renuncian a sus orígenes, ni a su presente, ni a su futuro, solo renuncian a la exclusión, a los estereotipos y a los prejuicios. Son Gitanas con Estudios y son Gitanas con Futuro. Son Gitanas del Siglo XXI. Todas ellas han declarado que la Educación es el reto pendiente de la sociedad gitana. Todas han luchado por superar sus propios límites formativos tratando de mejorar en ellas mismas o en sus hijas o hijos el nivel educativo, conscientes de que la educación es libertad. En prácticamente todos los discursos de estas mujeres se repite el deseo de que la Educación forme parte del Presente y el Futuro de la Sociedad Gitana. Algunas de ellas han conseguido alcanzar cotas formativas superiores, como Isabel, Carmen, Vanesa. Otras han continuado y continúan todavía formándose. Otras formulan cambios que se deben producir en su sociedad para que esté adaptada al siglo XXI, y todas son Referentes Positivos, objetivo principal de este trabajo que es visibilizar otras realidades, unas realidades de mujeres gitanas de consecución positiva, de alternativas positivas, tanto para mujeres de su etnia como para la cultura paya. La sociedad mayoritaria debe conocer la existencia de otras realidades, como la de mujeres que están haciendo vidas alternativas a la marginación, a los estereotipos, a los prejuicios, a los aspectos degradados de la sociedad gitana. Y romper precisamente esos prejuicios a base de visibilizar y demostrar versiones distintas de ser mujer y gitana. Porque ellas ya son referentes: son modelos para muchas chicas que todavía tienen que llegar donde han llegado ellas, que ni se plantean la existencia de esas otras posibilidades vitales.¿ Begoña Dual Clavería. Formación Adulta. Presenta sus deseos de cambio dirigidas a las mujeres, a las Instituciones y a las familias en general. De la mujer gitana lo que cambiaría es que tendría que estudiar más. Que se tendría que formar más. Motivar más a las familias para estudiaran y que terminaran la ESO o que se siguieran formando. Las Instituciones que apoyaran a los Gitanos para que pudieran estudiar. Desde pequeños a mis hijos les vengo motivando para que les guste estudiar y el día de mañana estudien los dos una carrera. Begoña. Carmen Dual Clavería. Formación Adulta. Envía su mensaje a la Población Gitana desde la Organización donde trabaja, FAGA. A la sociedad gitana, las personas que valoren más la Educación, que los padres gitanos matriculen a los niños a los tres años, que se preocupen en asistir a las reuniones de padres, que pertenezcan a las Asociaciones de las APAS, y que hagan todo lo posible por el futuro de sus hijos. Que no quieran que sus hijos lleven la vida, que a lo mejor han llevado ellos. Carmen Jiménez Dual. Diplomada en Trabajo Social. Es una de las mujeres con titulación Universitaria. Diplomada en Trabajo Social Aragón, no tiene nada que ver con Andalucía en donde nos llevan mucho adelanto en la formación. Hay gitanos de todas las profesiones. Ester Giménez. Máster Universidad Navarra. El mayor cambio que Ester desearía para la población gitana es que se perdiera ese recelo hacia el mundo laboral y la educación como una forma de pérdida identitaria gitana. Yo creo que hay muchas chicas jóvenes que todavía siguen teniendo ese sentimiento de desarraigo el decir: Yo quiero estudiar, yo quiero salir de de esto¿, se sienten mal. Creo que muchas veces, ellas no piensan que no están haciendo nada que la ley gitana diga que no lo hagas, nuestras leyes, es al contrario. Debería haber un cambio en la sociedad gitana en que pierdan el temor a que esos jóvenes y esas chicas o porque entren a trabajar o porque se formen van a perder su identidad gitana, que no la van a perder, al contrario la van a reforzar Ester plantea dar oportunidades de acceso a minorías en Universidades o en enseñanzas regladas: el tema de cuotas para minorías, un problema que en países como en Estados Unidos está ya regulado. Isabel Jiménez. Maestra La mujer hasta ahora ha visto que los hijos podían ganarse la vida en los oficios tradicionales y aquellas ocupaciones que planteaba el marido o planteaba toda la familia y entonces, cedían ante esto en cierto modo el tiempo les daba la razón. Ahora, los oficios tradicionales ya no dan de sí; hay poco margen para ganarse la vida de forma autónoma, entonces, jugarse el futuro de los hijos, solamente por claudicar en cosas que no tienen ya mucho sentido, eso yo creo que va a ser el aliciente para la mujer para decir: ¿No, no, los hijos tienen que estudiar y los hijos tienen que decidir en qué quieren trabajar, es su vida en realidad." Pilar Clavería Mendoza. Autodidacta. Pilar, que los varones gitanos no impidan que las niñas estudien y se formen, a la par que reivindica el que las mujeres compartan la autoridad y poder de decisión. Lorena Clavería Giménez. Formación adulta. Dentro de mi cultura, de la cultura gitana, yo creo que todavía queda un gran paso para que todo el mundo esté formado, para que la escolarización sea algo normal, para tener tus amigos fuera de la etnia gitana y que sea normal, yo creo que aún queda un poco de trabajo con eso. Marta Dual Clavería. Formación Adulta. Que puedan estudiar tanto las mujeres como los hombres. Hay que abrir puertas, en conocimientos cara a los chicos y a las chicas también. Hay que concienciar a los padres, de que eso no es así, que podría ser como los payos, un matrimonio, un arquitecto y el otro médico, una parejica, o médico, o lo que sea, pero que tengan sus estudios terminados también, completos con licenciatura o diplomatura, nada de grado medio o bachiller, que terminen todo. Vanesa Gabarre Giménez. Grado Superior en Animación Sociocultural. El tener formación, te abre los ojos y te da oportunidades¿ si tu vida es así, es como se hiciera así (imita con las manos un abanico). Algunas reflexiones a modo de conclusiones frente a la escolaridad de la población gitana El estudio que hemos visto con anterioridad ha ofrecido ciertos resultados para incorporar a las acciones en Educación la Estrategia para la Inclusión de la Población Gitana 2012-2020. Corresponde ahora a las distintas administraciones desarrollar planes anuales que especifiquen los compromisos y las diversas implementaciones. En mi opinión faltan reflexiones entre la Comunidad Educativa, Organizaciones Gitanas y Administración, que analicen en profundidad las razones de fondo por las que se llega a los resultados obtenidos en escolaridad, éxito escolar y niveles alcanzados. Es decir reflexionar sobre las necesidades educativas de la comunidad gitana desde una perspectiva de género, integral, sistémica, micro y macrosocial y subscribir compromisos de acción en y con todos los ámbitos implicados en la Educación, Familias, Alumnado, Centros Escolares, Agentes Sociales, Organizaciones Gitanas, Administraciones, etc., y que no supongan únicamente declaración de intenciones. Reflexiones o recomendaciones que entendemos deben presidir una práctica educativa inclusiva y correctora de desigualdades de género. La situación de escolarización gitana ha ido mejorando progresivamente a lo largo de los últimos años y se van dando pasos hacia la normalización educativa del alumnado pero se observan en muchos casos ciertas dificultades en la plena incorporación de los niños y niñas gitanos a la escuela; son escasos todavía los logros en cuanto a la asistencia continuada, la finalización de los estudios obligatorios y el acceso a la educación secundaria post-obligatoria y superior. Para conseguir una escolarización plena, entre otras vemos necesarias las siguientes medidas. Basándonos en la línea establecida en materia coeducativa realizada por diversas/os autoras y autores entre las/los que se cuentan Pilar Laura Mateo (2004), Marina Subirats (1988, 2007), María José Díaz Aguado (2001), Santos Guerra (2009), establecemos los objetivos que consideramos deben contemplarse en una práctica educativa que intente contribuir a superar las desigualdades entre los géneros. Entendemos que una práctica educativa que dé respuesta a las necesidades de la comunidad gitana debe ser inclusiva y reconocer el enriquecimiento que la diversidad cultural supone para toda la sociedad. Sin embargo, como mujeres feministas y defensoras de los derechos individuales y colectivos, no podemos avalar prácticas religiosas o culturales que atenten contra la libertad o la dignidad de las mujeres, sean del signo que sean. Por ello defendemos la necesidad de que las mujeres de todo el mundo sean educadas y formadas bajo criterios de empoderamiento personal, y no adoctrinadas, y puedan decidir y elegir sus opciones en libertad. Esto supondría una educación basada en la igualdad real de oportunidades y la superación de desigualdades de género. Para que una educación inclusiva, intercultural y realmente superadora de las diferencias entre los géneros sea posible, se hace indispensable una implicación real de toda la Comunidad Educativa y la voluntad explícita de los responsables de las administraciones para que la labor de los centros educativos pueda tener alguna posibilidad de éxito. Y ya hemos mencionado que como Comunidad Educativa entendemos, al Alumnado, a las Familias, al Profesorado, a las Organizaciones Gitanas, a Agentes y Organismos Sociales, Administración y a todas aquellas personas implicadas directa o indirectamente en el desarrollo de chicas y chicos. Como conclusión final hacemos alusión a la reflexión que realiza Consuelo Flecha en 2008, y que citando a Amelia Valcárcel, refiere que las mujeres españolas de la postguerra pasaban de la dependencia económica del padre a la del marido, siendo la universalización de la Educación y la incorporación al mundo laboral de estas lo que les facilitó una elección en libertad de sus biografías de vida. Han pasado cincuenta años desde que esas situaciones se producían, y en España, igual que en el resto de países de su entorno sociocultural, contamos con una escolaridad primaria generalizada entre las niñas, y una enseñanza secundaria en la que las jóvenes son mayoría, lo cual ha proporcionado condiciones nuevas a las mujeres, con incidencia evidente en toda la sociedad, y al menos algunas de las transformaciones que la filósofa Amelia Valcárcel ha destacado: "La natalidad desciende, la democracia empieza a ser un sistema apreciado y las mujeres quieren tener una cosa que se llama vida". Tres dimensiones que hablan de itinerarios biográficos en los que es posible decidir más allá de la riqueza que el cuerpo sexuado en femenino ofrece; que garantizan la participación en primera persona en las formas de convivencia social igualitaria asumidas por las sociedades modernas, que vuelve la democracia más auténtica, menos deficitaria; que preparan para llevar los hilos de la propia vida, para cultivar deseos sabiendo que se podrán alcanzar. Consuelo Flecha, (2008, pp. 50-51) Las mujeres gitanas se encuentran en ese proceso reivindicativo. Conscientes de que será la formación, la que las capacitará para romper el yugo dependiente que las mantiene atadas a los hombres de su etnia. Serán ellas las que lleven la democracia a su sociedad, las que un día elegirán los hilos violeta que las irán conduciendo por los caminos de la educación, de la inmersión laboral y finalmente los que les permitirán asumir las riendas de su vida. Ámbito Privado versus Ámbito Público Nuestra Tesis Doctoral basada en la Comunidad Gitana de Zaragoza consta de dos partes fundamentales que hemos denominado Ámbito Privado versus Ámbito Público. Hemos considerado imprescindible definir ciertas condiciones identitarias de la Población Gitana apoyándonos en autoras y autores como San Román, Lagarde, Liégeois, Fernández Enguita, Rincón Atienza, Gamella, Wang, entre otras autoras y autores, para explicar determinadas prácticas rituales o tendencias endogámicas que puedan condicionar sus tradiciones y modos de proceder. El aproximarnos a las Características Generales Culturales de la Población Gitana e ideales Culturales de Mujeres y Hombres nos permite encontrar los modelos referenciales a los que deben ajustarse las mujeres Gitanas y los riesgos que deben de asumir en caso de apartarse de las normas. Si las protagonistas absolutas del trabajo de investigación son las dieciséis Mujeres Gitanas y sus testimonios correspondientes, a través de ellas podremos analizar el panorama en que se encuentran las Mujeres Gitanas de Zaragoza en el Ámbito Público. Para ello previamente hemos delimitado los mandatos culturales que la Comunidad Gitana de Zaragoza establece para las Mujeres respecto al Ámbito Privado. De este modo se puede entender en los discursos individuales de cada mujer que se presenta, las barreras que cada una ha debido traspasar, si procede, y los costes personales o grupales que le ha supuesto para alcanzar su posicionamiento en el Ámbito Público. La población gitana en nuestro país está conviviendo desde hace siglos con la mayoritaria, sin embargo, siguen siendo sus costumbres, tradiciones, sus claves culturales, las grandes desconocidas para la inmensa mayoría de la población general. Las gitanas, cansadas de ser prejuzgadas, victimizadas, marginadas, discriminadas, se aferran a sus rasgos distintivos y diversos como elementos identitarios significativos, y como defensa al hostigamiento a que han sido sometidas por centurias. Nos acercamos a la cultura gitana desde el respeto y con deseo de conocer parte de la diversidad cultural que caracteriza la comunidad y la convivencia cotidianas. En cualquier sociedad de fuerte signo patriarcal, existe un imaginario colectivo que hace creer que otro tipo de formación y de tarea social, que no sea la tradicional, conlleva para el orden establecido riesgos ante los que se deben permanecer alerta: la institución escolar supone peligros por los que se trasmiten ideas, que rompen con el equilibrio establecido que supone la sumisión del género femenino. Se trata de situar a las mujeres ante horizontes tan excesivamente limitados para desenvolverse en la vida, que aquellos deseos y expectativas que pretenden romper esta estructura, choca con de la existencia de mujeres y grupos de mujeres que a través de reconocerse en las otras, apoyarse y darse autoridad, pueden generar un incremento de la autoestima de género, combatir la misoginia y encontrar un posicionamiento social y personal más igualitario. Entendemos que a través de la sororidad se produce una trasgresión política y social importante, por lo que es necesario emprender iniciativas que supongan el crecimiento personal de las mujeres gitanas y de todas las mujeres, el empoderamiento personal y colectivo , y la creación de un autoconcepto identitario sano y fuerte que nos permita ser protagonistas de nuestras propias vidas y de nuestros destinos. La incorporación de la mujer a los espacios públicos, durante siglos confinada al ámbito privado y dedicada a tareas de procreación, crianza, de cuidados de la prole, de la familia nuclear y de los miembros de la familia extensa, es un fenómeno que trae consigo la redefinición de nuevos papeles para ambos géneros. Analizamos así diversas claves culturales de la población gitana de Zaragoza, que hemos considerado pertinente asociar a este Ámbito Privado y que hemos agrupado en torno a diversos ejes. Eje 1. Ideal de mujer Eje 2. Ética de los cuidados Eje 3. Mito de la virginidad Eje 4. Ritos relacionales: roneo, pedimiento, noviazgo Eje 5. Matrimonio y divorcio Eje 6. Función reproductiva: maternidad. interrupción del embarazo Eje 7. Culto a los muertos Eje 8. Ley gitana: mediación versus castigos y sanciones Eje 9. Organización familiar. Familia nuclear. Familia extensa. Sistema jerárquico de género. Autoridad del varón. Rol de las mujeres. Revisión de roles. Esta aproximación descriptiva del Papel de las Mujeres Gitanas en diferentes realidades, nos permitirá entender los testimonios de las mujeres entrevistadas, se podrá comprender los obstáculos, dificultades que ellas han tenido que enfrentar para alcanzar los objetivos que se habían planteado , o para recorrer los caminos que ellas querían trazar y el coste personal y familiar que en algunos casos implicaba. Ámbito Público Nos introducimos en lo que hemos denominado Ámbito público con la presentación individualizada de las 16 Mujeres Gitanas de Zaragoza, protagonistas indiscutibles de este trabajo. Son ellas las que con su voz y su discurso, valoran la evolución y los deseos de cambio para su etnia. Analizaremos qué tienen de excepcional las mujeres estudiadas, qué parte de sí mismas mantienen aferrada a los valores, normas, y exigencias de su cultura y cuáles son los elementos con que ellas están contribuyendo al cambio o a la evolución de su etnia. Interpretaremos con ellas si estas fracturas suponen evolución, estancamiento o retroceso respecto del papel de la mujer en la cultura gitana. Sus voces manifestarán igualmente los cambios deseables en aspectos que se les exigen como mujeres gitanas. De este modo la investigadora pretende no contaminar el Objeto de Investigación y respetar el ritmo establecido estableciendo una línea dialógica, independientemente de sus criterios ideológicos. Estas mujeres enfatizan el acceso a la cultura como medio para la superación de las barreras sociales, puesto que entienden que la educación tiene un enorme potencial emancipatorio. Ellas analizan y definen los elementos diferenciados con la mayoría de las mujeres de su etnia, es decir los elementos de ruptura con la tradición gitana o con lo esperado de las mujeres por parte de la comunidad, ello nos llevará a desvelar posibles elementos de cambio que se están produciendo en la cultura gitana y que supondrán el denominado Motor de Cambio que se atribuye precisamente a las Mujeres Gitanas. Estas Mujeres generosamente nos hacen partícipes de sus itinerarios vitales. Nos han expuesto los distintos niveles de adecuación de sus vidas con las tradiciones, con las costumbres, con las expectativas de ellas esperadas, o con los designios familiares. Han compartido con nosotras las barreras que han tenido que superar dentro y fuera de su etnia para alcanzar cuotas de representatividad en el ámbito público, en una sociedad donde las mujeres se las destina fundamentalmente al hogar y a la crianza, o para obtener asignaciones de poder en un universo regido por los varones, o para conseguir inserción laboral en un mundo donde difícilmente se acepta su independencia económica, o para adquirir niveles de estudios en una población donde todavía existen amplias tasas de analfabetismo. Ellas han abierto caminos para otras mujeres gitanas, bien por sus consecuciones individuales o colectivas, convirtiéndose en Referentes Positivos para su colectividad y para toda la sociedad. A su vez las fracturas en la tradición que ellas han generado, han supuesto cambios en la cultura que van permitiendo que está se vaya volviendo más permeable, más abierta a opciones, a situaciones diversas, y a costumbres con mayor riqueza de elección. La libertad, lema de vida de la población gitana, se convierte de este modo, en una facultad más alcanzable para el resto de mujeres gitanas. Al referirnos a las Mujeres Gitanas de Zaragoza, no se pueden establecer categorías absolutas puesto que encierran una realidad múltiple, plástica, rica, diversa, permeable, y en transformación. En la heterogeneidad que supone ser Mujer y Gitana en Zaragoza en nuestros días, hemos encontrado un amplio espectro de identidades y formas de desarrollar la gitaneidad. Desde aquellas que se aferran al cumplimiento de la tradición más ortodoxa en materia de género, en aspectos como el ejercicio de autoridad masculina, a aquellas que se manifiestan claramente en favor de la superación generalizada de las desigualdades de género. Nos han mostrado relatos de infancias robadas debiendo contribuir al sustento familiar desde una niñez apenas existente. Historias sin oportunidad de acceder a la educación en esa infancia irreal, pero hemos descubierto la fortaleza y resiliencia de esas mujeres, que no supieron ni quisieron resignarse a su destino y esa voluntad de engañar a la vida es lo que las ha hecho excepcionales. En todas las mujeres estudiadas se observa el deseo de Promoción del Pueblo Gitano, siendo la Educación el factor predominante que se valora en todos sus discursos. Tres de ellas han alcanzado titulaciones universitarias, dos se han Graduado en Formación Profesional superior y el resto han superado distintos niveles de formación en su etapa adulta lo que habla de sus deseos de mejora y superación personal. Cada una de ellas es un ejemplo de vida. La mayoría de ellas no se definen a sí mismas como feministas, si bien siempre está presente el deseo de superar el machismo existente en la sociedad gitana desde sus posicionamientos individuales o colectivos. Los términos empoderamiento, autorrealización, crecimiento y superación personal, han aparecido igualmente en sus testimonios. Cabe destacar que dos de las tres Organizaciones mayoritarias dedicadas a la Promoción de la Población Gitana existentes en Zaragoza, están dirigidas por mujeres y en la tercera, una mujer se encuentra en una Junta mayoritariamente masculina. La Unión Territorial de la Fundación Secretariado Gitano de Aragón está dirigida por Isabel Jiménez. La Federación de Asociaciones Gitanas de Aragón está dirigida por Pilar Clavería. En la Junta Directiva de la Asociación de Promoción Gitana se encuentra como Vocal Ester Giménez Doya. Detectamos cómo la religión tiene una presencia importante en la vida y condiciona el pensamiento de algunas de estas mujeres. Pero a pesar de que el Culto como forma ideológica, puede servir para afianzar y mantener ciertas tradiciones que afecten las relaciones de género, debemos reconocer que no hemos estudiado esta variable, quedando abierta para futuras investigaciones. Mujeres Gitanas de Zaragoza La presentación de las Mujeres Gitanas siguientes está encabezada por las tres dirigentes de las Organizaciones Gitanas de Zaragoza en orden alfabético: Pilar, Ester e Isabel. Seguidamente aparecen el resto de las Mujeres hasta las dieciséis siguiendo el orden alfabético que indican sus apellidos. Pilar Clavería Mendoza "la Rona" Autodidacta. Su ejercicio como Mujer Gitana en el Asociacionismo gitano de amplia representación masculina le ha otorgado crecido reconocimiento nacional e internacional. Presidenta de la Federación Nacional de Asociaciones de Mujeres Gitanas "Kamira" de 1999 a 2005. Presidenta de la Federación de Asociaciones Gitanas de Aragón. Ester Giménez Doya Mujer Gitana Soltera, activista de la Pastoral Gitana, Educadora de Gitanos, única mujer en Junta Directiva de Organización Gitana. Trabajadora autónoma. Isabel Jiménez Cenizo Maestra. Educadora Social. Directora Unión Territorial Fundación Secretariado Gitano Aragón.¿ Rosa Carbonell Dual Auxiliar de residencia. Auxiliar de ayuda domiciliaria. Cocinera. Tras una infancia dedicada al trabajo y sin asistir a la escuela, se formó en su vida adulta. Trabajadora por cuenta ajena. Vanesa Carbonell Escudero Licenciada en Derecho. Máster Universitario en Especialización e Investigación en Derecho en el área de empresa. Diploma de intervención con la comunidad gitana. Trabaja en la Fundación Secretariado Gitano de Zaragoza. Lorena Clavería Giménez Formación Profesional Superior en Integración Social. Trabaja como Mediadora Social en la Asociación de Promoción Gitana en el Programa de realojo e inserción social Ayuntamiento de Zaragoza y la Diputación General de Aragón. Mª Jesús Dual Clavería Educadora Social. Formación de adulta. Vida laboral en el Asociacionismo Gitano. Marta Dual Clavería Mujer gitana soltera. Formación de adulta. Mediadora Intercultural. Trabajadora Venta Autónoma. Gestión administrativa Cooperativa de Vendedores. Begoña Dual Clavería Matrimonio Intercultural. Formación de adulta. Agente de desarrollo. Mediadora intercultural. Ayudante de cocina. Auxiliar geriátrica. Carmen Dual Clavería Mujer gitana soltera. Formación de adulta. Ostenta distintos cargos en el Asociacionismo gitano al que se dedica profesionalmente. Rebeca Dual Giménez Matrimonio Intercultural. Graduada en E.S.O. Mediadora Intercultural de la Asociación de Promoción Gitana.¿ Vanesa Gabarre Giménez Grado Superior de Formación Profesional en Animación Sociocultural. Ha sido durante unos años una mujer referente para el Pueblo Gitano desde su trabajo en la Fundación Secretariado Gitano Sheila Giménez Pérez Matrimonio Intercultural. Mediadora Intercultural erradicación chabolismo de Asociación de Promoción Gitana. Curso de mediación. Ana Belén Hernández Clavería Vocal Asociación Mujeres Romí Calí. Mediadora Intercultural Pilar Hernández Seba Mediadora Intercultural. Formación de adulta. Carmen Jiménez Dual Matrimonio Intercultural. Diplomada en Trabajo Social. Trabaja como Educadora Social en el Centro de Prevención y Tratamiento de Adicciones del Ayuntamiento de Zaragoza. Ámbito Público. Mujeres y Organizaciones Gitanas Relevantes de España. Con la finalidad de comprender mejor el recorrido evolutivo que están realizando las Mujeres Gitanas españolas y profundizar en el tema Mujeres Gitanas y Ámbito Público, ofrecemos un capítulo general de Organizaciones, y Momentos Clave de Presencia Gitana, donde asimismo están implicadas algunas de las Mujeres Protagonistas de este trabajo. Igualmente, se presentan en esta parte otras Mujeres relevantes del Asociacionismo Estatal u Organizaciones que consideran la Educación fundamental en la Promoción de todas las Mujeres Gitanas. Conceptos como educación, desarrollo, igualdad, cultura y feminismo, comienzan a integrarse en las diversas asociaciones de mujeres gitanas como medio de promoción y recuperación de una historia propia. Jóvenes gitanas, integrantes de diferentes Organizaciones, consideran importante favorecer la promoción de las mujeres, puesto que son ellas las que sufren la mayor carga cultural, al ser transmisoras de los valores y costumbres que las identifican.¿ CONCLUSIONES La estructura de presentación que he seguido para presentar las mismas en el informe final es el corresponder cada Objetivo planteado y cada hipótesis con una serie de hallazgos o aproximaciones que configuran estas conclusiones: Mi Planteamiento al elaborar estas conclusiones, al igual que mi preocupación constante durante todo el trabajo de investigación, ha sido el situarme en un posicionamiento dialógico, y de respeto, y tratar de substraerme a tentaciones etnocéntricas. Con ellas pretendo contribuir humildemente a la Promoción del Pueblo Gitano. Los datos que hemos obtenido a lo largo del presente trabajo confirmarían nuestras Hipótesis generales de partida y creemos haber cumplido los objetivos que nos planteábamos. Este primer grupo de conclusiones pertenecen a las voces de las 16 mujeres que presentamos y definen el presente y futuro de la sociedad gitana. No se pueden establecer categorías absolutas en la forma de ejecutar la tradición gitana sino que existen múltiples variaciones en la manera de interpretar la norma. La primera planteaba que nos encontramos en una sociedad donde las relaciones entre los géneros están basadas en premisas patriarcales ya que el Patriarcado sigue plenamente vigente en la actualidad. Creemos haber situado esta hipótesis a partir de la teoría y los ejemplos expuestos en el Marco Conceptual y a lo largo de los diferentes capítulos de la Tesis. Así mismo, sugeríamos que la sociedad gitana mantiene las estructuras patriarcales fuertemente arraigadas y condiciona, en mayor o menor medida, el destino de las Mujeres hacia el Ámbito Doméstico. Esto quedaría demostrado por el número reducido de Mujeres que hemos encontrado en Zaragoza inmersas en la Esfera Pública y por los Condicionantes de Género que hemos descrito en el Ámbito Doméstico. La tercera hipótesis general quedaría confirmada por la Presentación de las dieciséis Mujeres Gitanas de Zaragoza que han transitado las fronteras del Ámbito Doméstico y que han penetrado en el Ámbito Público a través de alguna de las modalidades que este supone, educativas, asociativas, o laborales. Si bien como hemos mencionado en las limitaciones de esta Investigación, esperábamos encontrar un número significativamente supe
A través de la realización de este trabajo, pretendo poner en perspectiva el derecho de acceso a la información pública en relación con el derecho a la intimidad y otros derechos con los cuales coexiste en la actualidad; partiendo de la tesis que en éste momento la tendencia en América - contraria a la Europea - es la primacía del derecho de acceso a la información pública, como una consecuencia lógica derivada del Derecho General de Libertades que toda persona debe tener, bajo la premisa de que nadie está obligada a hacer o no hacer, lo que la ley expresamente no manda o prohíbe, principio recogido en muchas constituciones y particularmente en la salvadoreña. En el desarrollo del mismo, tomo también en cuenta la relación que este nuevo derecho fundamental, que ha sido reconocido como tal por la Corte Interamericana de Derechos Humanos, tiene con otros derechos como el de la intimidad, plasmado en muchas legislaciones sobre todo Europeas y desarrollado a través de sendas Leyes de Regulación de Datos Personales; puesto que la Libertad es un derecho indudablemente mucho más general, el cual debe prevalecer sobre otros derechos asimiles o consecuentes, con los cuales por supuesto debe interrelacionarse, pues ningún derecho es totalmente absoluto, estando de acuerdo en que debe tener algunas limitantes, pero en todo caso la regla general debe ser la publicidad y no la intimidad, pues estos tiempos de pujanza de las tecnologías de la información, el Internet y la globalización de las actividades de toda naturaleza, nos obligan a legislar tomando en consideración las nuevas realidades, recordemos que el derecho es cambiante, nunca estático, y precisamente hemos visto como el mundo se debatió (y aún quedan graves secuelas), en una crisis económica generada por los grandes conglomerados financieros, lo cual ha traído como consecuencia no solo cuantiosas pérdidas de dinero, sino la pérdida de confianza en la Banca internacional, que vendió y repartió por todo el mundo paquetes de acciones, bonos, títulos valores y carteras de créditos sin ningún respaldo, basados en la confianza, lo cual desde mi perspectiva personal se debió en parte a que no se analizó o divulgó adecuadamente y en forma oportuna la información sensible al respecto que estaba a disposición, se prestó dinero para generación de hipotecas, bajo una ficción legal producida por el sector Inmobiliario-Bancario, a personas que no tenían capacidad de pago, ya que en forma irresponsable no se analizó la información crediticia bajo criterios técnicos reales. Vemos también como se desquebraja y se pone en peligro la Unión Europea, por la poca transparencia sobre el manejo de la información de las finanzas por parte de algunos gobiernos de la Zona Euro. Durante mis veinticinco años de ejercicio profesional de la Abogacía y el Notariado en mi querido país El Salvador, siempre tuve la aspiración de especializarme en la rama del Derecho Constitucional, no solo por ser la Constitución la ley primaria y fundamental de la cual derivan todas las leyes de un país, sino por su esencial naturaleza cambiante en aras de adecuarse permanentemente a las continuas e incesantes transformaciones sociales, sobre todo en estos tiempos de avances tecnológicos y de información vertiginosa que transita por la intranet. Ello ha producido cambios substanciales en el espectro tradicional de derechos fundamentales, hasta dar cabida a nuevos derechos y garantías que paulatinamente fueron adquiriendo más protagonismo y rango constitucional. Acorde con lo anterior, pretendo también brindar un aporte a mi país, sobre las nuevas realidades y tendencias de ese derecho fundamental de acceso a la información pública, para que se vea reflejado en la ley o sus posibles reformas futuras; tomando en cuenta que la mayoría de países de Latinoamérica y particularmente de Centroamérica, ya aprobaron una Ley de Acceso a la Información Pública; que estamos en un proceso, aunque lento, de integración económica en la región; que no tenemos prácticamente Banca nacional, sino que estamos sujetos a las regulaciones y convenios de la Banca internacional; que somos un Estado dolarizado, siendo nuestro referente los Estados Unidos con su "freedom information Act"; por lo que mal haríamos en no regular este derecho fundamental y desarrollarlo en una normativa secundaria, en forma clara y armónica con otros derechos que deban respetarse, acorde obviamente con nuestra realidad y cosmovisión nacional, pero por sobre todo poniendo nuestra mirada en el futuro, con la visión de legislar ante un nuevo panorama mundial, un nuevo derecho emergente, que no dudo que prevalecerá ante otros ya conocidos, que deberán sucumbir o ceder ante la preeminencia de éste. En la sinergia social actual, la publicidad debe ser la regla general y la intimidad la excepción, ya que el interés público, colectivo y del pueblo debe prevalecer sobre el interés individual o particular. Eso es lo que pretendo transmitir, y ojala que este modesto esfuerzo investigativo pueda contribuir a ello, en aras que los Diputados de la Asamblea Legislativa, que son los que finalmente aprueban las leyes de conformidad con la Constitución salvadoreña, puedan tener un referente, y ya sea que compartan o no mi posición, puedan tomar una mejor decisión a la hora de aprobar el contenido de la Ley o sus reformas futuras, tomando en cuenta toda la información necesaria para beneficio de los que los eligieron, a los que finalmente se deben, ese pueblo que voto por ellos y que confía en que tomarán las mejores decisiones para bien de las futuras generaciones. Asimismo, espero que también pueda servir a otros colegas estudiosos del derecho en otros países que aún no han aprobado una Ley similar o que se encuentren en la fase de discusión y análisis de su respectivo Anteproyecto. A mi juicio, no debemos cometer el mismo error que han cometido otros países de incorporar en una misma ley o en un mismo texto, el derecho de acceso a la información pública y el derecho a la intimidad junto con el consecuente habeas data, sino que deben ser regulados separadamente, en cuerpos normativos diferentes, pero en una forma armónica y clara; de ser posible en forma paralela y con vigencia simultánea, a fin de evitar contradicciones, pero como dije antes, tomando en cuenta la nueva realidad mundial y regional, partiendo de la idea que la información pública es un bien público, propiedad de todos, lo cual implica que el secreto sólo será aplicado a lo estrictamente necesario, estableciéndose de forma previa y clara cuál es la información reservada, cuales son los criterios para esa clasificación, así como los procedimientos y autoridades ante quienes se pueda impugnar la decisión de calificar la información como reservada, en otras palabras, aplicando el principio de favorecimiento a una actividad de interés público, y desarrollando como lo ha sido en el caso de El Salvador, el Art.246 de la Constitución que establece precisamente en su Título IX, Alcances y Aplicación, que la Constitución prevalecerá sobre todas las leyes y reglamentos y que "el interés público tiene primacía sobre el interés privado". Desde mi visión, cualquier Ley de regulación de datos debe de ser pensada y redactada en armonía con el derecho a la libertad, anteponiendo el interés público y el principio de máxima publicidad en materia de acceso a la información; es decir, partiendo de la base que la regla general debe ser la publicidad y no la reserva indiscriminada o difusamente delineada. La Carta Magna de El Salvador al igual que la mayoría de constituciones, reconoce el derecho a la Libertad como uno de los derechos primordiales y fundamentales de la persona en su Art.2 Cn ESA, y lo ubica en el tercer lugar, después del derecho a la vida y a la integridad física y moral; y, muy por delante del derecho a la seguridad, al trabajo, a la propiedad y posesión, al derecho al honor y la intimidad personal. Por su parte, la jurisprudencia del máximo Tribunal de Justicia de El Salvador, emitida a través de la Sala de lo Constitucional reconoce y ha dejado claramente sentado ese principio general del derecho a las libertades, como un derecho general, que no debe tener más limitaciones aparte de buscar la armonía con otros derechos, y que debe ampliamente protegerse y manifestarse a través del derecho de libertad de acceso a la información, de libertad de expresión y divulgación, de libertad empresarial, de libertad de credo o religión, etc.; pues el contenido de la Libertad, es para el máximo tribunal salvadoreño, la posibilidad de actuar conforme a lo permisible por las normas jurídicas. El ejercicio del derecho a la Libertad, debe por tanto ser entendido como una condición para que el individuo pueda desarrollar libremente sus facultades propias; y la mejor manera de hacerlo es asegurando este desenvolvimiento, a través de permitirle que se dirija espontáneamente y a su manera, afrontando las consecuencias y riesgos, en tanto no afecte el derecho legal de otro. CONTENIDO. Planteamientos Jurídicos. Mi primer planteamiento se resume en una sola pregunta: ¿Qué derecho debe prevalecer: El de libertad de acceso a la información pública, o el de la intimidad a través de la protección de datos personales?". A mi juicio es el primero, por derivar del derecho general de Libertad, y por las razones que más adelante expondré, el cual ha emergido con toda su fuerza ante la nueva realidad económica y social que vive el mundo. La clave está en qué entendemos por información personal o confidencial y como la hemos regulado en nuestras legislaciones, si lo hemos hecho conociendo sus límites y con base al principio de máxima publicidad o no. El segundo planteamiento: ¿Es la libertad de acceso a la información pública, un derecho fundamental o es un valor superior? Sostengo que ambos, depende si está regulado en cada país y de cómo esté regulado, si es derecho positivo y vigente, si está referido a tratados internacionales que generalmente están por encima de las normas, también conocidas como Supra constitucionales; pero en todo caso, el valor superior libertad es raíz y base de los derechos humanos, que constitucionalizados se vuelven fundamentales. Encontrándose este nuevo derecho humano concretamente anclado en el derecho de Libertad de Expresión, por cuanto siendo su raíz y comprendiendo las facultades de: pedir, investigar, recibir y transmitir, o sea, dar o divulgar informaciones de toda índole, por cualquier medio o procedimiento de su elección, sin limitación de fronteras y sin injerencia de las autoridades, éste ha dado origen a nuevos derechos en el espectro internacional, entre ellos, el derecho a saber, a saber la verdad, y el derecho a acceder al Internet. Este último, fue precisamente reconocido en Mayo de 2011 como derecho humano fundamental por Frank La Rue, relator especial de la Organización de las Naciones Unidas para la protección de la Libertad de Expresión e Información. Lo cual genera una nueva polémica, sobre cómo regular el mismo, por tratarse el Internet de un mundo virtual, sin territorios, ni fronteras, marcado por la abundancia de informaciones, en vez de limitaciones y "sin materialidad", lo cual no se puede regular eficazmente con nuestros principios jurídicos y filosóficos naturales o usuales. Obviamente la Tesis aborda otros cuestionamientos y temas de interés relacionados con el derecho de libertad de acceso a la información, entre ellos, si es un derecho de libertad Opcional o Autónomo, si es un derecho de libertad como tal o de prestación, etcétera; igualmente abordamos la realidad que se vive en los países que ya han implementado una ley de la materia para analizar y compartir sus experiencias; si prevalece el principio de máxima publicidad o divulgación de la información pública o si por el contrario sigue prevaleciendo la protección de datos personales; la cultura de la transparencia y del acceso a la información o la cultura del secreto, lo privado o lo prohibido. Metodología Utilizada. La metodología utilizada es la Analítica Comparativa, analizando el contexto mundial, contraponiendo el viejo mundo con el nuevo mundo, es decir la realidad Europea que es muy diferente a la Americana; la "freedom information act", es decir la libertad de información en manos del Estado por pertenecer al pueblo, versus la regulación y protección de datos personales que constan en archivos públicos; en otras palabras, el derecho de acceso a la información pública en contraste con el derecho a la intimidad. Para ello, me he apoyado en el análisis del espectro económico, social y jurídico mundial, y en el proceso acelerado y vertiginoso de promulgación de leyes de acceso a la información pública y de transparencia del Estado, suscitado en el mundo entero y particularmente en toda Latinoamérica, de la cual hacemos un pequeño recorrido; para luego pasar al contexto centroamericano en proceso de integración económica, siendo las últimas leyes de acceso a la información pública aprobadas, la de nuestra vecina República de Guatemala y la de El Salvador, promulgada en el año 2011 y que entró en vigor a partir de Mayo de 2012, cuya ley era necesaria y conveniente, siendo que la misma surgió a través de un proceso de discusión y cabildeo con los diferentes actores, sectores involucrados, fuerzas vivas, sociales, económicas y políticas del país, incluyendo el análisis de dos borradores de proyectos de ley que fueron discutidos por los diferentes partidos políticos en la Asamblea Legislativa juntamente con el Reglamento respectivo; por lo que es muy oportuno hablar de este tema; esperando que esta modesta investigación académica pueda servir de algún aporte no solo en mi patria, el pulgarcito de América, El Salvador; sino a otros países que aún no regulan este derecho, que lo han hecho recientemente, o que incluso han promulgado ya leyes cuya vacatio legis está pendiente o que han sido promulgadas pero aún no han entrado en vigencia plena, como es el caso de España, a la cual también obviamente nos referiremos, que ya cuenta con una Ley de acceso a la información pública, denominada en sentido amplio: Ley 19/2013, de 9 de diciembre, de transparencia, acceso a la información pública y buen gobierno. LOS OBJETIVOS PRINCIPALES DE LA TESIS SON. 1. Poner en perspectiva ambos derechos: el de libertad de acceso a la información pública y el de la intimidad; pues los dos deben ser objeto de regulaciones específicas en todos los países del hemisferio. Pero de conformidad con mi tesis cualquier ley de regulación de datos personales o reforma, debe ser pensada y adecuada al principio de máxima publicidad en materia de información. 2. Promover que la regla general en materia de información en poder del Estado, debe ser la publicidad, y la excepción, lo reservado, lo clasificado, lo secreto. 3. Esta tesis pretende exhortar a los países que no cuentan con una legislación al respecto, o que solo cuentan con leyes de regulación de datos, que legislen sobre el tema en forma armónica y consecuente con la nueva realidad económica mundial, tomando en consideración las experiencias vividas por otros países que han avanzado más sobre este derecho fundamental. 4. Señalar con claridad que todo Estado está en la obligación de transparentar la actuación de sus gobiernos y de sus funcionarios, poniendo a la disposición de los ciudadanos que los eligieron, toda la información relativa a su gestión, pues un pueblo que no tiene acceso a la información, no puede considerarse verdaderamente democrático. 5. Impulsar una cultura de transparencia, combate a la corrupción e impunidad que conlleve la creación o reforma de leyes de acceso a la información pública eficaces y positivas, que permitan cambiar el entorno y realidad actual de muchos países en la búsqueda de una verdadera democracia, dejando atrás la cultura de la opacidad y el secretismo de la cosa pública. 6. Finalmente, exhortar que de una forma u otra, según la realidad jurídica y cosmovisión de cada país, se considere a la libertad de acceso a la información pública, como un derecho humano fundamental, positivo y vigente; se modernicen y sometan a la nueva tendencia y realidad mundial de transparencia en la gestión pública y de acceso a la información; o en todo caso, reconozcan la prevalencia de los tratados internacionales que regulan la materia; y, consideren a este nuevo derecho como un valor superior, necesario e imprescindible para el desarrollo democrático, económico, social y de cambio generacional. PRINCIPALES APORTACIONES DE ESTA TESIS A LA CIENCIA JURÍDICA: NOVEDADES, AVANCES. El objetivo principal de mi investigación y análisis, es provocar una reflexión objetiva y sosegada en torno a qué derecho debe tener primacía en la actualidad: el de libertad de acceso a la información pública o el derecho a la intimidad, a través de la protección de datos. Lo novedoso es que la gente en la actualidad quiere estar más informada, difunde, transmite por medios tecnológicos, aparatos electrónicos con mayor capacidad de almacenamiento, obviamente también comparte y busca más información, para crearse opinión y tomar mejores decisiones en todos los aspectos de su vida, por lo que se trata de un cambio de mentalidad, un cambio generacional, pasar de la cultura del secreto y la opacidad a la cultura de la información y la transparencia, en donde la regla general debe ser el libre acceso a la información y la excepción lo confidencial o prohibido, y todo ello representa un verdadero desafío para el legislador y sobre todo para los aplicadores de las leyes y los juzgadores, quienes deben adaptarse a esa nueva realidad social mundial. Si bien ningún derecho es absoluto y debe tener límites, en mi opinión debe prevalecer el derecho de libertad o en todo caso el valor superior Libertad, origen y fin de toda sociedad democrática y propia de la naturaleza del hombre que desea vivir en desarrollo. Sin información no hay democracia ni desarrollo de los pueblos; en los países en los que sus ciudadanos no tienen acceso a la información, prevale la ignorancia, la corrupción, la impunidad y la falta de transparencia, en otras palabras no hay desarrollo. Pienso que cualquier ley o reforma de ley, que verse sobre tales materias, debe ser pensada en base al principio fundamental y rector, que debe ser el principio de máxima publicidad o de máxima divulgación de la información. Por ello, es importante establecer mediante conceptos claramente definidos, qué debemos entender y cómo debemos aplicar esos conceptos y principios que rigen el acceso a la información pública; qué debemos considerar como información de carácter personal, confidencial o reservada, para no dejarlo al arbitrio interpretativo del funcionario; igualmente, qué tipo de información requiere el consentimiento previo y expreso de su titular, y cual no requiere tal consentimiento, tal como ya lo han hecho otros países como Argentina y Uruguay, que incluso lo tienen claro y plenamente definido, paradójicamente en leyes de protección de datos personales. Se dice que una fe sin hechos no transforma, igualmente una ley sin los recursos necesarios para su implementación no funciona, es ineficaz, por ello para que el derecho sea objetivo se deben de otorgar los recursos económicos, técnicos, humanos y de cualquier otra índole, suficientes para su cumplimiento, adoptando toda una plataforma tecnológica que permita que el Estado cumpla con su obligación prestacional de dar la información; aparte de implementar las medidas y mecanismos de control ciudadano, capaces de garantizar la participación exclusiva de funcionarios probos, que rindan cuentas de su gestión de los bienes públicos, en especial permitiendo a los ciudadanos que ejerciten su derecho de pedir la información, sin necesidad de legitimar un interés particular, simplemente por tener el derecho a saber. Hay que tener en cuenta que las legislaciones sobre la materia deben adaptarse, adecuarse reformarse o implementarse, en perfecta sintonía con los Convenios Internacionales de Derechos Humanos, que forman parte de la legislación internacional, los cuales han ido cambiando o se han ido ampliando, y que, al haber sido aprobados y/o ratificados por los países miembros, entran a formar parte del ordenamiento jurídico de los países, por lo que están obligados a su implementación a través de leyes o reformas, a fin de que se tornen en derecho positivo y a la vez vigente; y no tener que esperar que se haga forzosamente a través de sentencias de tribunales internacionales, como sucedió con el caso de Chile. Esa es la disyuntiva y preeminencia de derechos que pongo en perspectiva (el acceso a la información o la intimidad), en el entendido que es mejor haber tomado una decisión errónea después de haber analizado y accedido a toda la información posible, disponible y permisible al alcance de nuestras manos, que no haber tomado ninguna, por falta de Libertad de acceso a la información, en un mundo que se caracteriza por ser generador por excelencia de cada vez más novedosas tecnologías de la Información. Otra aportación importante, está en destacar que esta clase de regulación debe abarcar no solo a instituciones del Estado, ya sea de gobierno, autónomas, de capital mixto, concesionarios de servicios públicos o subsidiadas por el Estado, sino también a las empresas privadas o particulares que estén prestando o en el futuro se dedicarán a prestar servicios de información en general. A manera de ejemplo, ya existe información estadística recopilada en redes sociales como Facebook y twiter, sobre servicios, quejas ciudadanas, etc, que son de interés de las Municipalidades para conocer el grado de satisfacción de los habitantes y del trabajo del ayuntamiento, que posteriormente se traducirán en votos favorables o desfavorables, de aprobación o desaprobación de su gestión y de su posible reelección o no. Me declaro abiertamente PRO acceso a la información, pues creo que a pesar de todo, y de cualquier crítica que pueda existir, válida o no, tener acceso a la información pública tiene y traerá más beneficios que perjuicios a los pueblos democráticos. Otro aporte importante del trabajo, es el análisis y resumen que hago del derecho comparado sobre libertad de acceso a la información pública, tanto de legislaciones como de jurisprudencia, contraponiendo a Europa con América, y haciendo un recorrido sucinto por los países más representativos de Latinoamérica, que incluye el área centroamericana y por su supuesto mi propio país, El Salvador, sin dejar de abordar a la madre patria España. Al respecto de América, es pertinente destacar la reciente implementación de una nueva generación de leyes de avanzada, como el caso de México, donde se aprobó el 4 de Mayo de 2015, la Ley General de Transparencia y Acceso a la Información Pública, una ley de orden público y de observancia general en toda la República, que crea toda una política, un sistema y una plataforma nacional de transparencia. El derecho es cambiante y debe adaptarse a las nuevas realidades, por lo que el derecho a la libertad de acceso a la información pública ha generado a su vez el nacimiento de nuevos derechos, como el derecho al internet, el derecho a saber, a saber la verdad, etc, siendo para mí lo más importante para asegurar el éxito de cualquier Ley, crear una verdadera cultura de transparencia y de acceso a la información, tanto de carácter pública como privada, lo cual garantiza todo un sistema democrático de control ciudadano, de pesos y contrapesos, fomenta la rendición de cuentas de los funcionarios públicos, la libertad de expresión y de información, es decir, la transparencia como medio eficaz de combatir la corrupción y la impunidad en cualquier sociedad o Estado, que realmente busque el desarrollo de su pueblo y consolidación de su democracia. CONCLUSIONES. a) Estimo, que no podemos tomar buenas decisiones, ya sea como personas, empresas, conglomerados, instituciones internacionales, Estados o Unión de Estados, si no tenemos acceso a la información pública necesaria, adecuada, conveniente y oportuna, incluyendo aquella información personal que no requiere el consentimiento previo y expreso de su titular o que se ha vuelto pública a través de medios masivos de comunicación. b) Las leyes de datos personales deben estar enfocadas y tener como finalidad la regulación y control de la información personal, pero no deben limitar el derecho de acceso a esa información, excepto cuando se traten de datos sensibles, protegidos por ley expresa y clara, pues se tiende a confundir a priori, de que toda esa información es prohibida. c) Ambos derechos: el de Libertad de Acceso a la Información y a la Intimidad, son derechos fundamentales de la persona humana, pero no son derechos absolutos, sino relativos en cuanto no riñan entre sí, por lo que deben legislarse en forma positiva, sistemática y armónica. d) Considero, según ésta propuesta, que no deben utilizarse normativas que quieran proteger la intimidad o imagen de las personas para limitar el derecho de acceso de información, sino que la regulación de ambas materias deben de pensarse de manera conjunta, coordinada y plenamente consensuada, partiendo del hecho de que la publicidad debe ser la regla general y no la excepción. e) Es conveniente legislar qué tipo de información no requiere el consentimiento expreso de su titular, como sería el caso de datos provenientes de fuentes públicas de información, tales como: registros, archivos o publicaciones en medios masivos de comunicación, información periodística o referencias de prensa; o de listados cuyos datos se limiten a: nombres y apellidos, documento de identidad o registro único de contribuyente, nacionalidad, estado familiar, nombre del cónyuge, régimen matrimonial, fecha de nacimiento, domicilio y teléfono, ocupación o profesión, etc.; o se trate de datos recabados para el ejercicio de funciones o deberes, constitucional o legalmente regulados; o que se deriven de una relación contractual del titular de los datos y sean necesarios para su desarrollo y cumplimiento; o, finalmente, hayan sido recabados por personas físicas o jurídicas, privadas o públicas, para su uso exclusivo o de sus asociados o usuarios y por supuesto, para fines lícitos. f) El derecho de libre acceso a la información pública, es un derecho humano fundamental, vital para el ejercicio de la libertad de expresión y pensamiento, es un instrumento en el combate de la corrupción, indispensable para fortalecer la democracia y fomentar la participación y control ciudadano, además de ser una herramienta para sostener el principio de legalidad de la actuación de los funcionarios públicos. g) Es conveniente que esta legislación especial sobre acceso a la información pública, este confiada, en cuando a su implementación y fiscalización, a un ente regulador independiente, autónomo y apolítico, incluso en lo económico. h) En el ámbito del derecho mercantil y como parte del Derecho a la Libertad Empresarial, existen datos de relevancia pública, que permiten la formación crítica de las personas a las que van destinadas y que son considerados como asuntos de interés general, entre ellos, el análisis del riesgo, de suma importancia en el comercio moderno, que requiere conocer aquella información judicial, crediticia o de prensa, que asegure una adecuada decisión financiera o mercantil y, sobre todo, una inversión razonablemente confiable. i) En lo relativo a excepciones al acceso a la información, acceso parcial, deber de motivación y control de las resoluciones denegatorias, la regla general en un Estado democrático ha de ser el de respetar el principio de máxima publicidad o sea, la del mayor acceso posible a la información pública, de manera que cualquier posible denegación de acceso debe interpretarse siempre de forma restrictiva, y sobre la base de excepciones legalmente estipuladas claramente en la Ley. j) De acuerdo a esta Tesis, el Estado tiene la obligación de elaborar versiones públicas de los documentos confidenciales o restringidos a su cargo, pues a la luz del principio de máxima publicidad, la declaratoria de reserva, secreto o confidencialidad debe reducirse a su mínima expresión; debiendo tomar las medidas adecuada para prevenir y sancionar las conductas deliberadas o negligentes, que favorezcan la obstrucción injustificada al derecho de acceso a la información en manos gubernamentales. k) Las empresas que prestan servicios de información, también conocidas como burós, deben estar protegidas por ese derecho de libertad de acceso a la información, pues ellas nacieron como una necesidad del sistema financiero para reducir costos de la evaluación del riesgo. La apertura y modernización de los sistemas financieros y la baja en los costos de informática y comunicaciones, permite la existencia de estos burós, los cuales deben ser incorporados y estar claramente regulados en la Ley. l) Los burós o empresas de servicios de información o analizadoras de riesgo, no solamente propician el desarrollo y agilidad en las transacciones financieras y bursátiles, sino que indirectamente coadyuvan a detectar lavado de dinero y activos, actividades de narcotráfico, trata de personas, contrabando de mercaderías y otras actividades ilícitas, minimizando riesgos consecuentes. m) La falta de acceso a la información, trae consigo la mala toma de decisiones, pues a mayor y mejor información, mejores decisiones. La falta de acceso a la información limita las posibilidades de negocios, pues no permite evaluar correctamente el riesgo. Consecuentemente, la falta de acceso a la información, también restringe el crédito interno de un país. n) Los países cuyos ciudadanos todavía no cuentan con libre acceso a la información pública, en realidad no son enteramente democráticos y, consecuentemente, estimo que no podrán alcanzar un verdadero desarrollo socio económico. o) El derecho a la información es indispensable para fomentar la cultura de transparencia, y debe aplicar tanto a instituciones públicas como privadas con base al principio de máxima divulgación o publicidad. Todo ello, en defensa del valor superior libertad y de la primacía de este nuevo derecho humano fundamental de acceso a la información pública. Finalmente, no puedo dejar de mencionar que al participar del Programa de Doctorado en Derecho Constitucional, de la Universidad de Castilla La Mancha, he tenido la oportunidad de ampliar mis conocimientos con catedráticos y maestros de gran trayectoria y reconocimiento en España, no solo por su labor docente, sino también académica y científica en el desarrollo de temas de gran trascendencia en el conglomerado de profesionales, especialistas y verdaderos maestros de derecho Constitucional Español, que están sentando jurisprudencia en los Tribunales Constitucionales de la Unión Europea, lo cual me ha abierto una ventana de conocimientos que me permiten no solo comparar la legislación constitucional salvadoreña con la Española, que por cierto está ejerciendo mucha influencia en la Sala de lo Constitucional de la Corte Suprema de Justicia de El Salvador, sino ir más allá, para entender adecuadamente que se está haciendo en el continente Europeo, sobre temas tan trascendentales como los Derechos Humanos, que han sido plasmados y reconocidos en Tratados y Convenios Internacionales; particularmente en torno a este nuevo derecho fundamental, que tiene sus raíces en la libertad de expresión. Así como las nuevas tendencias y jurisprudencia, que ha surgido del Tribunal Europeo de Derechos Humanos y de la Corte Interamericana de Derechos Humanos; lo cual me permite tener una visión más amplia y aplicar lo que pueda ser útil a nuestra realidad e idiosincrasia, transmitiendo las vivencias y experiencias a otros que aún no han regulado este derecho, están en el camino de implementación de una Ley o están aún pensando en hacerlo, para que no cometan los mismos errores o hagan las rectificaciones o reformas pertinentes.
Haciendo una observación general –en el metro, en el autobús, caminando por la calle o en cualquier reunión de amigos– es fácil comprobar que nos encontramos en una nueva era en la que estamos 24 horas on-line ó 24 horas disponibles para comunicarnos con nuestros contactos. Se pueden simultanear conversaciones físicas, con coloquios a través de redes sociales o de sistemas de chats integrados en nuestros teléfonos móviles. Podemos responder en tiempo real a las inquietudes de nuestros interlocutores. Terminales como las PDAs han facilitado esa disponibilidad permanente. Hemos cambiado nuestra forma de comunicarnos gracias a la proliferación de este tipo de aparatos. Hemos ampliado la facilidad de establecer contacto y hemos comenzado a entablar diálogos on-line con las marcas y las empresas. Los medios sociales, entre otras herramientas, permiten interactuar en los espacios habilitados por las corporaciones. A través de estos espacios intercambiamos opiniones con las propias marcas o con otros usuarios interesados en las mismas. Se han multiplicado los canales y herramientas a través de los cuales aportamos opiniones, ensalzamos o criticamos productos, nos quejamos del trato del personal, hacemos consultas previas a una decisión de compra y un largo etcétera. Las nuevas tecnologías permiten además que hagamos todo esto de manera más rápida. Se han agilizado los tiempos de respuesta. Esta ampliación, en cantidad y calidad, del abanico de posibilidades han modificado las pautas de comportamiento de los públicos con respecto a las marcas y, por ende, en la manera de comunicarse de estas. Las nuevas aplicaciones nos permiten algo que la comunicación corporativa soñaba desde hace años: las empresas, sus productos y sus servicios han empezado a hablar de 'tú a tú' con sus públicos. Decía Verdú en el año 2005 que la publicidad, como tantas otras instancias, había decidido hacerse humana; y el tiempo le ha dado la razón. Tenemos, asimismo, la posibilidad de segmentar con mayor facilidad acercándonos a comunidades y grupos de intereses que, de manera espontánea, surgen en la red, o que podemos generar desde los departamentos y agencias de comunicación. Podemos ir a buscar a nuestros targets economizando tiempo, esfuerzo y presupuestos; e incluso tenemos la oportunidad de testar y preguntarles directamente qué quieren, qué necesitan, qué les interesa, qué les gusta y, de este modo, extraer ideas. De esta manera podemos tener un contacto tan directo con nuestros públicos y contar con sus opiniones a través de canales que antes no existían (Formanchuk, 2010) Los internautas, los públicos del siglo XXI que navegan por Internet, utilizan canales on-line y entablan charlas con las empresas, tienen necesidades diferentes, desean obtener los contenidos de otra manera, no se conforman con las fórmulas de siempre; estamos ante un público interactivo que demanda formas nuevas de relacionarse con las compañías (Beelen, 2006:11-12). Formas con escaso tiempo de vida, si las comparamos con las formas tradicionales de comunicación corporativa; formas 'beta', que estamos aprendiendo gracias al ensayo-error y ensayo-éxito. Los internautas están acostumbrados a tener toda la información que necesitan utilizando Internet para buscar los datos que necesitan. La Web 2.0, concepto sobre el que reflexionaremos profusamente a lo largo de estas páginas y que enunciamos más adelante en esta misma introducción, actúa de manera acelerada, y como hemos indicado anteriormente, está cambiando la realidad desde diferentes planos (económico, educativo, comercio, cultural, creativo…) por lo que se hacen necesarios su estudio y observación. Estudios que por las características de la misma Web y de los propios centros de investigación se demoran y quedan rápidamente anticuados. La Web permuta a diario e introduce transformaciones simultáneas que afectan a distintos niveles y con cortos espacios de tiempo entre ellas. Estamos de acuerdo con Marín en afirmar que su potencial transformador es mucho mayor que el de cualquiera de los cambios tecnológicos que la han precedido por rapidez y por niveles de afectación. Así, "La Web sólo tiene veinte años, lo cual es muy poco si pensamos en la importancia que tienen en la economía mundial y sobre todo para la presencia y la influencia que tiene en la economía mundial y sobre todo para la presencia y la influencia que tienen en la vida de una gran parte de los seres humanos. Si comparamos estos veinte años con el tiempo que tardaron otros inventos revolucionarios, como la máquina de vapor o la imprenta en llegar a transformar las vidas de las personas corrientes y la economía global, su juventud y éxito son aún más sorprendentes. (Marín, 2010:19) No hemos terminado de aprender a utilizar una aplicación, cuando la siguiente la ha dejado obsoleta. Las generaciones de móviles PDA se suceden y las posibilidades de generar contenido y compartirlo se multiplica; cambios tecnológicos imparables; innovación multitudinaria que afecta a nuestra vida social, laboral, a la economía y en general a nuestra manera de relacionarnos con el mundo. A día de hoy mediante Internet podemos 'hablar' con los candidatos de las próximas elecciones, generar nuevas formas de educación, hacer negocios en tiempo real con personas que viven en Australia, por ejemplo, e incluso organizar una revuelta social internacional como la protagonizada por el movimiento 15M. Estamos en disposición de decir que hablamos de un fenómeno que va más allá de lo tecnológico y afecta a lo social: en materia política, empresarial, educativa y mediática. Así lo corrobora el pensador Hiroshi Tasaka (2008) que habla de revolución Web 2.0 en todos los ámbitos de la vida: economía, innovación, democracia, capitalismo, comunicación, estilos de vida, ciencia, religión y civilización. Se producen cambios, por tanto, en muchos ámbitos, especialmente, según percepción de la autora, en el ámbito político-institucional, económico, filosóficoeducativo y el comunicativo. Es el caso de la esfera política e institucional, es de los casos más evidentes. Los ciudadanos tienen de repente la capacidad de manifestar sus opiniones sobre temas gubernamentales a través de Internet. Y esto obliga a los propios políticos a tener que estar presentes en la red para poder responder a las inquietudes de los internautas. Presidentes de gobierno y de repúblicas, monarquías y hasta el Papa ya comunican mediante perfiles creados en plataformas digitales. Otro tema de gran interés es saber si realmente si se comunican e interactúan con los ciudadanos, pero eso queda fuera del ámbito de estudio de esta investigación. Por su parte, los ciudadanos tienen en los medios sociales una nueva herramienta de participación política que les permite generar movimientos sociales al margen de los partidos. Los levantamientos sociales internacionales que se accionan a través de las redes como los citados anteriormente o los surgidos en el mundo árabe en verano de 2011 son definidos por Ugarte (2007) como la ' Primavera de las Redes' : se trata de un movimiento global en el que países con contextos muy diferentes, con trasfondos culturales y religiosos de todo tipo, desarrollan movimientos ciudadanos en red que convierten directamente a la ciudadanía en fiscalizadora de los procesos democráticos, denunciando fraudes electorales, corrupciones y excesos autoritarios de los gobernantes. "La Primavera de las Redes es la materialización histórica concreta de la globalización de la democracia y las libertades" (2007:59). En este sentido continúa Marín explicando: "Dentro de unos años se volverá la vista atrás y al mirar hacia la primera década del siglo XXI se observará cómo se comenzaron a desafiar muchos de los paradigmas económicos y sociales que gobernaron los siglos anteriores y cómo ser redefinieron los modelos de negocio de industrias enteras. Y la Web se verá como la plataforma sobre la que se desarrolló la transformación de prácticamente todos los aspectos que afectan a nuestras vidas desde nuestros hábitos de consumo hasta la forma en que desarrollamos nuestras relaciones personales, pasando por el modo en que desempeñamos nuestro trabajo, disfrutamos nuestro ocio o nos relacionamos con nuestros gobernantes" (Marín, 2010:19) La era digital ha revolucionado todos y cada uno de los aspectos que envuelven nuestras vidas: desde el modo en el que nos comunicamos (telefonía móvil, mensajería instantánea en la web, telefonía a través de la web tipo Skype ), relacionamos (chats, comunidades virtuales), recibimos asistencia médica (telemedicina), compramos ( eCommerce ,), trabajamos (teletrabajo), y vivimos en casa (domótica). La sociedad está por tanto cambiando a la misma velocidad que se desarrolla la tecnología. Para Drucker (2008), el mayor cambio no es la globalización, ni siquiera internet, sino la capacidad que han adquirido por primera vez en la historia los individuos para auto-gestionarse y pone en duda que las organizaciones estén preparadas para estas transformaciones. Siguiendo esta línea, según nuestra opinión, desde el punto de vista de las relaciones públicas, la comunicación corporativa se ha vuelto más humana al ponerse al mismo nivel de los usuarios (Ramos, 2007); y al poner la atención en las personas y no en las masas, como ya aventuraba el artículo 14 del Manifiesto Cluetrain , aunque esto realmente ya venían haciéndolo las RR.PP. Así los pone de manifiesto el 4º modelo de relaciones públicas enunciado por Grunig, el modelo simétrico bidireccional. En este modelo, los relacionistas públicos sirven de mediadores entre la organización y sus públicos, con el objetivo de conseguir. Una comprensión mutua entre ambos. La naturaleza de la comunicación es pues bidireccional, consistiendo en un diálogo en el que, tanto la organización como sus públicos, sean susceptibles de modificar sus actitudes o conductas (Grunig y Hunt, 2000). Se están necesitando maneras diferentes de comunicación y profesionales que aprendan estas maneras para poder dar respuestas a los targets surgidos al abrigo de la sociedad de la información y a esas maneras de hacer comunicación corporativa en el entorno de las nuevas tecnologías. Así lo expresa Jiménez (2008:17) para quien la comunicación integral implica una verdadera revolución cultural que genera en el individuo, como consumidor, una relación con las empresas en un nuevo sistema de valores. Y, para los profesionales de la comunicación, supone, asimismo, un nuevo oficio. Wormell (1996: 214) estima que los profesionales de información se han convertido en "mediadores entre los proveedores de información, los usuarios (.) y las tecnologías". En la actualidad el complejo entorno que rodea a productos, servicios, marcas y sus respectivas empresas, parece haber desbordado las capacidades persuasivas de la tradicional publicidad y los canales habituales de las relaciones públicas. Los soportes se han saturado, la retórica clásica ha perdido eficacia y la credibilidad del discurso mediático se ha reducido; como consecuencia, podemos afirmar que el consumidor se ha vuelto desconfiado (Canavilhas 2007: 16). La comunicación corporativa se transforma y así lo sienten directivos, creativos y relacionistas públicos, entre otros profesionales. Sobre esto José Manuel Velasco, Presidente de la Asociación de Directores de Comunicación (Dircom) reflexiona y aporta que las tecnologías digitales y sus manifestaciones han empujado a los directores de comunicación desde su zona de confort hacia el territorio del desafío. Así "la red confunde a quien sólo mira a sí mismo o se limita a interpretar su realidad con sus certezas y sus verdades" (en Fuetter, 2011: 6). La observación de este panorama pone de manifiesto, tal y como lo apreciamos en esta investigación, que estamos inmersos en una espiral de cambios tecnológicos que, entre otros resultados, ha traído la popularización de la Internet y una mayor velocidad en los procesos de comunicación en general, que se han visto más acelerados aún desde la llegada de la llamada Web 2.0; una denominación muy extendida que hace referencia a la etapa en la que la Web se utiliza para: compartir, colaborar, aportar, editar y sobre todo comunicar personas con personas (Fumero y Roca: 2007; Celaya en Mouriz: 2008) Se trata de una realidad cuya expresión, Web 2.0, fue acuñada por Tim O'Reilly en el año 2001 cuando, según Celaya (2008: 27), realizó sus primeras anotaciones sobre Web 2.0. La mayoría de los autores, sin embargo, sitúan este acontecimiento entre 2004 y 2005 (Celaya, 2008; Pisani y Piotet, 2008; Beelen, 2006; Cobo y Pardo, 2007). Fue precisamente en septiembre de 2005 cuando O'Reilly publica la que se ha considerado como la primera y mayor referencia bibliográfica sobre el término: el artículo "What Is Web 2.0. Design Patterns and Business Models for the Next Generation of Software". Según O'Reilly, siete son los principios constitutivos de las aplicaciones Web 2.0 (Pardo, 2007:27 y 37): "La Web como plataforma (…); el aprovechamiento de la inteligencia colectiva (…); la gestión de la base de datos como competencia básica (…); el fin del ciclo de las actualizaciones de versiones del software (…); los modelos de programación ligera junto a la búsqueda de la simplicidad (…); el software no limitado a un solo dispositivo (…); y las experiencias enriquecedoras de los usuarios (…)". Celaya (2008:27) describe a la Web 2.0 como una Web colaborativa que permite a sus usuarios acceder y participar en la creación de un conocimiento ilimitado, y como consecuencia de esta interacción se generan nuevas oportunidades de negocio para las empresas. En comparación con la Web 1.0 la caracteriza como web más dinámica y rica en contenido multimedia (sonido, vídeo, metadatos, etc.). Una etapa en la que las empresas entienden que deben ofrecer a sus clientes reales y potenciales la posibilidad de comentar, valorar u opinar sobre los contenidos publicados con el fin de enriquecer la comunicación virtual entre ambas partes. Pisani y Piotet (2009) otorgan a la Web 2.0 un carácter mucho más revolucionario puesto que la contemplan como un fenómeno diferente impulsado por los jóvenes: son los comportamientos de estos en Internet los que crean grandes tendencias. Estos son los que están generalizando la manera de trabajar en Internet, puesto que conforme entran en el mundo laboral integran en su trabajo los usos que hacen de la web. Ellos mismos difunden estos usos a su alrededor: entre sus amigos, sus familiares y sus compañeros de trabajo. Por lo tanto, los usos más comunes de la web nacen del mismo comportamiento de los jóvenes y a partir de ellos podemos describir sus grandes líneas generales. Estos autores hablan también de dinámica relacional un concepto que describen a partir de cinco premisas (2009:93): * "Las tecnologías están presentes, pero los usos y los hábitos de los usuarios son los protagonistas. * La plataforma es realmente flexible, y permite que los usuarios la dominen con facilidad. * Permite la posibilidad de comunicar en la nube6 con el mayor número de personas y de manera muy libre. * Es un espacio social y relacional. * Es un espacio que da la palabra a los aficionados expertos" El componente juvenil es, desde nuestra perspectiva, un factor clave para entender el proceso en el que nos vemos envueltos. Son las nuevas generaciones las que están fijando las estrategias de comportamiento en este entorno, aportando valores y usos que se escapan a las depuradas técnicas de los profesionales más experimentados. Y esta realidad pone de manifiesto la existencia de, llamémoslos nichos, poco estudiados todavía, a la hora de interpretar y crear estrategias de comunicación para los públicos del siglo XXI. Es interesante también detenernos a reflexionar sobre el componente colaborativo y/o colectivo, tan referenciado por los autores citados hasta ahora. En línea con esta idea, Cobo y Pardo (2007) y Beelen (2006), autores pioneros en esta materia, entienden que la Web 2.0 ha puesto de manifiesto que si a las personas les das la oportunidad de participar y las herramientas adecuadas, normalmente lo hacen y pueden aportar un gran valor a las aplicaciones que utilizan o construir proyectos valiosos de forma colaborativa. En este sentido, opinamos que ha sido esta posibilidad de sumar pequeños esfuerzos de miles de usuarios para lograr un fin común, lo que ha dado lugar a la formación de comunidades de individuos capaces de organizarse y colaborar para conseguir objetivos que van desde la elaboración de los subtítulos de la última serie de éxito en televisión, una colección de óperas traducidas al español o incluso la mayor enciclopedia del mundo, Wikipedia. Una revolución que cotinúa con la Web 3.0 Es materia de esta investigación analizar cómo han cambiado los medios de comunicación y por consecuencia la comunicación corporativa, acercándonos a la nueva realidad comunicativa en la que estamos inmersos y que cambia día a día. Como también es materia de estudio el análisis de las nuevas realidades profesionales que el mundo digital ha implantado en el ámbito de las relaciones públicas y la publicidad, una consecuencia más de la transformación en nuestro modo de consumir los medios y de las múltiples posibilidades de creación y publicación de contenidos a disposición de cualquier internauta, con capacidad de hacer lo que antes únicamente podían lograr los profesionales de la comunicación. Así pues, con este estudio lo que pretendemos es analizar cómo la comunicación corporativa se ha visto afectada por la Web 2.0 y cómo ha generado nuevos perfiles profesionales para gestionar esa comunicación 2.0, centrándonos concretamente en los community managers. Para llevar a cabo este proyecto nos basamos en la observación directa de la autora, en la revisión bibliográfica y en las aportaciones de los propios profesionales de la comunicación on-line tanto en lo que ellos mismos publican en la red como a través de las entrevistas y cuestionarios que se les pasarán. OBJETIVOS El objetivo fundamental de esta investigación es describir, analizar y entender la figura del community manager o gestor de comunidad , su labor, su ejercicio y profesión y así, establecer los fundamentos y bases del CM como figura profesional de las RR.PP en su vertiente on-line . Para conseguir este objetivo fundamental planteamos cuatro objetivos principales. * OP1 : Describir cómo son las relaciones públicas en el ámbito on-line o digital tomando como referente los ámbitos tradicionales. * OP2 : Describir el fenómeno de la Web 2.0 * OP3: Descubrir el mundo digital como entorno de trabajo y las necesidades profesionales que demanda en el ámbito de la comunicación corporativa. * OP4: Acercarnos a la realidad de los CM: características principales, funciones, tareas y perfiles que se están produciendo. Algunos de estos objetivos principales a su vez se apoyan en una serie de objetivos secundarios que exponemos a continuación: Objetivos secundarios en relación al OP1 * OS1: Definir relaciones públicas: características, protagonistas, funciones y herramientas de trabajo. * OS2: Comprender la relación: relaciones públicas -comunicación corporativa * OS3: Entender las RR.PP on-line , RR.PP digitales y la realidad que representan dándole entidad académica. * OS4: Detectar semejanzas y diferencias del trabajo de RR.PP en los ámbitos on-line y off-line en relación a sus características, públicos, relaciones que se establecen con estos y herramientas de trabajo. * OS5: Acercarnos al desarrollo de las relaciones públicas en España * OS6: Determinar las competencias y funciones de los profesionales de las relaciones públicas. Objetivos secundarios en relación al OP2 * OS7: Situar y analizar el advenimiento de la Web 2.0 en el conjunto de los procesos de industrialización y sus consecuencias. * OS8: Entender los cambios sociales y tecnológicos que se están produciendo con su llegada. * OS9: Comprender la socialización y sistemas de comunicación de las generaciones digitales. * OS10: Entender su relación con la crisis de la comunicación. * OS11: Describir la Web 3.0. Objetivos secundarios en relación al OP3 * OS12: Comprender las competencias y habilidades necesarias para trabajar en la web social. * OS13: Localizar y describir las categorías profesionales surgidas con la Web 2.0. * OS14: Detectar qué profesiones 2.0 están relacionadas con la función de relaciones públicas. * OS15: Entender qué habilidades y competencias son requeridas para los profesionales de las relaciones públicas en el ámbito digital. Objetivos secundarios en relación al OP4 * OS16: Definir la figura del gestor de comunidad. * OS17: Describir la trayectoria profesional de un GC "tipo". * OS18: Diferenciarlo de otros perfiles profesionales relacionados con su labor. * OS19: Averiguar las funciones y competencias de los CM * OS20: Entender su importancia dentro de una organización. * OS21: Entender su importancia en el ámbito de la comunicación digital. * OS22: Elaborar un corpus científico y teórico sobre esta figura. * OS23: Determinar el grado de aproximación o lejanía de la realidad profesional del CM respecto a la literatura publicada hasta ahora. * OS24: Determinar su relación con la comunicación corporativa * OS25: Acercarnos al desarrollo de los GC en España De este modo, este estudio pretende abrir líneas de investigación para cubrir el vacío científico existente en este campo en España analizando, entre otros: * El panorama comunicativo del siglo XXI * El desarrollo de las RRPP en el ámbito digital * La situación de los community managers o gestores de comunidades en España. Saber cuál es el objeto de estudio en sí, cómo se realiza esa investigación y por qué (y para qué) de este análisis son cuestiones fundamentales. ¿Qué se estudia? Una nueva categoría profesional ligada a la comunicación corporativa. ¿Cómo se estudia? Describiendo la situación social, histórica, tecnológica en la que nacen y trabajan estos profesionales y analizando sus funciones, necesidades y trayectorias profesionales. Y por último, y lo más importante ¿por qué y para qué se estudia? Para conocer los hechos científicos que dan lugar a esta realidad profesional y darle entidad académica. Lo que se intenta con esta investigación es, sobre todo, una labor de análisis y comprensión de una nueva demanda laboral que, desde nuestra opinión, tiene que ser incluida como categoría profesional de las relaciones públicas en su rama digital. Una vez concretados los objetivos de la tesis, así como la oportunidad del tema, estamos en disposición de describir la estructura del presente trabajo. Dicha estructura ha sido fijada a partir de las propuestas de Lasso de la Vega (1977), Tolchinski, Rubio y Escofet (2002), Busquet, Medina y Sort (2006). La tesis doctoral se compone de seis partes; cada parte, a su vez, queda dividida en capítulos. Así, las partes que componen esta tesina son: * Introducción * Parte I: Planteamiento de la investigación * Parte II: Consideraciones conceptuales * Parte III: Estudio empírico: análisis de situación * Parte IV: Resultados de la investigación * Parte V: Fuentes * Parte VI: Anexos * Parte VII: Agradecimientos En la "Introducción" hemos intentado despertar la curiosidad del lector sobre los cambios que están aconteciendo en el mundo de la comunicación corporativa. La parte I, "Planteamiento de la investigación", se ha tratado de justificar e identificar el contexto social que ha dado lugar a la realidad que se va a analizar. Al mismo tiempo que expone la oportunidad y necesidad de examinar la figura de los community managers desde la perspectiva de la comunicación corporativa. Esta parte se compone de los siguientes capítulos: El primer capítulo lo constituye la "Estado de la cuestión: justificación, importancia, relevancia y consecuencias de la investigación" donde se analizan "La sociedad de la información", "La sociedad del conocimiento" y "La sociedad digital" como motores del cambio que se ha producido en la comunicación corporativa. Con el siguiente capítulo, "Objetivos", se establecen cuáles son, como su propio título indica, las finalidades fundamentales de este estudio que versa sobre perfiles y competencias profesionales de comunicación en Internet. En el capítulo "Hipótesis", tras explicar brevemente este concepto, se expone cuál es la hipótesis principal a la que se intenta dar respuesta a la finalización de la investigación. Se sigue con "Fundamentos de la investigación", una recopilación de documentos empíricos, divulgativos, teóricos, etc donde a través de "Acotación del objeto de estudio y alcance de la investigación", "Marco teórico y revisión de la literatura" y "Las fuentes del proyecto de investigación" se reseñan los antecedentes de este análisis, es decir, aquellos estudios previos que tratan una temática afín o similar o bien que han ayudado a la elaboración de esta tesis. El capítulo "Necesidades de estudio. Oportunidad del Tema" se acerca a la tendencia actual que existe entre las agencias de comunicación y publicidad y los departamentos de comunicación a contratar especialistas en comunicación digital; y al surgimiento de estudios que describan estas nuevas preferencias. "Estructura del trabajo de investigación" es el capítulo que está leyendo en estos momentos. Pasamos, a continuación, a la segunda parte: "Consideraciones conceptuales". Este bloque se compone de siete capítulos. En el capítulo 'La crisis de los soportes de Comunicación' se describe la difícil situación por la que atraviesa el sector desde los diferentes ámbitos que lo constituyen; a través de los epígrafes: "Crisis de los medios de masas" donde profundizamos sobre las "Principales causas" que han llevado a esta situación, entre ellas "La pérdida de la asimetría: la democratización de los medios", la "Pérdida de la credibilidad y espectacularización", y "El problema de la monetización". Una vez comprendidas las causas que han llevado a la situación que nos rodea se valorará cuál es "El futuro de los medios" para aventurar hacia dónde caminamos. Hecho el análisis de los medios de comunicación, el capítulo se cierra realizando una radiografía de la "Crisis de la publicidad", como parte fundamental de la comunicación. A continuación nos adentraremos en 'Los cambios sociales y tecnológicos' para entender esa realidad de la que tanto se habla, qué es la "Web 2.0". Por último nos acercaremos al futuro más inmediato, a la "Web 3.0: un paso más hacia delante". El siguiente capítulo, 'Relaciones Públicas y Comunicación Corporativa', define y aclara ambas ideas. En primer lugar se repasa el "Concepto de Relaciones Públicas" a través de investigaciones publicadas para posteriormente explicar que la relación "Relaciones Públicas y Comunicación Corporativa: una misma realidad", defendiendo que estamos ante el mismo concepto. Una vez comprendidos, se enuncian cómo son los "Procesos de comunicación en Relaciones Públicas" para entender la situación de los emisores y receptores en este contexto; adentrándonos de manera más profunda en estos segundos con "El concepto de público". También se repasan las "Estrategias y herramientas más habituales de relaciones públicas". Se cierra este capítulo con la definición del concepto "Reputación Corporativa". De esta forma llegaremos a 'Estructura de las Relaciones Públicas /Comunicación Corporativa' con el claro objetivo de describir quiénes son los "Sujetos participantes" en los procesos de Relaciones Públicas; en concreto, "sujetos promotores", "sujetos ejecutores" De este modo se entenderá de manera más clara "La función de las relaciones públicas". Dentro de este epígrafe nos detendremos en ver las diferencias y semejanzas existentes entre "Los departamentos internos de comunicación" y "las agencias de relaciones públicas. A continuación podremos aclarar cuál es "El perfil de los relacionistas públicos". Así llegamos a 'Relaciones públicas en el ámbito on-line' . Una vez conocido el panorama de las RR.PP no virtuales, es el momento de comenzar a ver las transformaciones que se están produciendo, para ello el lector profundizará en "Las nuevas tecnologías y sus influencias en la comunicación". Con estas definiciones se expondrá cómo quedan los procesos de comunicación y Relaciones públicas en el entorno digital, los "Nuevos modelos. La comunicación sintética en red". De este modo estaremos listos para entender las "Relaciones Públicas 2.0", definiéndolas, identificándolas y concretando las "Características más significativas de las Relaciones públicas en el ámbito digital". Para completar la conceptualización de esta versión de las relaciones públicas, siguiendo el patrón que se usó en el capítulo destinado a la Comunicación Corporativa y a las Relaciones Públicas, el lector podrá entender "El concepto de comunidad", las "Estrategias y herramientas" que están implicadas en la vertiente digital, y comprenderá qué es la "Reputación on-line o digital". Al tratarse esta investigación de un estudio sobre un perfil profesional dedicaremos un capítulo a las 'Nuevas competencias y nuevos perfiles profesionales' que la Web 2.0 está generando. En primer lugar se describen las "E-competencias" que han de caracterizar a los profesionales que trabajan en sectores digitales. A partir de este conocimiento estaremos en disposición de conocer cuáles son las "Nuevas realidades profesionales" que han surgido desde la llegada de la Web 2.0, Posteriormente profundizaremos en el sector de la comunicación viendo cómo son "Los profesionales de la comunicación en el mundo digital", especificando las "E-competencias para la comunicación", viendo "La respuesta del sector" ante estas nuevas demandas y deteniéndonos en los "Nuevos perfiles profesionales". Entre esas nuevas profesiones se encuentra el motor de esta investigación los " Community Managers " a los que se les dedica el último capítulo de la Parte II y en el que se recogen la aportaciones que estos mismos profesionales ya han hecho sobre ellos a través de sus propias herramientas 2.0. En primer lugar justificaremos el incremento de la demanda de este perfil en el apartado "Una profesión en auge en el mundo 2.0"; a continuación entenderemos "¿Qué es un gestor de comunidad?" a través de diferentes definiciones; también los ubicaremos en las estructuras y organigramas de las compañías para localizar "Su lugar en las organizaciones". A continuación sabremos qué hacen exactamente describiendo sus "Funciones" y conoceremos cuáles son las "Habilidades deseables" para ejercer dichas funciones. Por último conoceremos cuáles son sus "Herramientas de trabajo". La parte III, "Estudio empírico. Análisis de la situación" está compuesta por tres capítulos: El número doce está dedicado a las "Referencias Metodológicas" y en él se explican las técnicas que se han considerado adecuadas para conseguir el objetivo de esta investigación, en la que se emplean técnicas como el análisis de contenido y de discurso, como marco metodológico general, complementado con un estudio de casos. En este capítulo, por tanto, se exploran las razones que nos han llevado a seguir esta metodología y se expone en qué consisten cada una de estas técnicas, así como las utilidades que aportan a esta investigación concreta. En el sigueinte capítulo, 'Desarrollo de la investigación', se expone el proceso seguido en el estudio y se detallan las fases del mismo: la fase preparatoria, el trabajo de campo y el análisis de datos. El capítulo 16, "El estudio", explica la elección de las bolsas de empleo en las que se basa esta investigación. Así, se describen qué son y por qué se han escogido: Infojobs , Linkedin , y AERCO. También se explica la selección de los CM a los que se entrevistará y a los que se les enviarán los cuestionarios, además se recopilarán los obstáculos que esta investigación se ha ido encontrando para ser elaborada. Nos encontramos ya en, a la parte IV: 'Resultados de la investigación'. Expuestos por cada uno de los métodos que se han implementado "Análisis de Contenido", "Cuestionarios" y "Entrevistas en profundidad" distinguiendo las manifestaciones de los "Responsables de comunicación" de las de los " Community managers" . A continuación con todos estos resultados el lector encontrará una puesta en común de los datos conseguidos y los obtenidos en otros estudios en "Discusión de los resultados", donde se plantean las generalidades que se han extraído de los resultados. A continuación podremos leer: "Contrastación de Hipótesis", uno de los más importantes de la investigación, donde se comprueba si las hipótesis planteadas en el capítulo tres ("Hipótesis") pueden darse o no por válida. En el apartado "Conclusiones", se exponen todas las evidencias a las que se han llegado y "Abriendo nuevas líneas de investigación", un capítulo dedicado a la propuesta de futuros proyectos que podrían dar continuidad a esta tesis y que cubrirían realidades cercanas o aquellos aspectos que no se han podido abordar en la misma. Pasamos, a continuación, a la parte V, "Fuentes". Aquí se recogen todas las referencias bibliográficas, e-books , artículos en revistas y prensa, blogs y artículos online, entre otros que se han utilizado y a las que el lector puede acudir para comprender mejor algunas de las teorías o aseveraciones realizadas a lo largo del estudio. Finalmente se adjunta al final de esta tesis una sexta parte, "Anexos", donde el lector podrá observar algunos datos de interés complementarios a este trabajo y que pueden serle de utilidad, así como los modelos metodológicos. Y para concluir se dedican las últimas páginas de esta investigación a los "Agradecimientos" hacia todas aquellas personas o entidades que han ayudado en la labor de recopilación, análisis, lectura o estudio de las distintas realidades analizadas.
Ego te provoco: algunas consideraciones preliminares.El continuo despliegue de potencias extra-regionales por el hemisferio ha adquirido nuevas connotaciones estos dos últimos años. En ambientes políticos, y comunidades epistémicas, han surgido visiones contrapuestas a la hora de evaluar estos despliegues. Por un lado, están quienes ven esta problemática de forma relativamente benigna y en lo medular acorde a las tendencias globalizantes que estarían abarcando todo el planeta sin excepciones de país, cultura, economía o sociedad. Por otro, están quienes matizan las intensidades y diferencian entre los objetivos buscados por una u otra potencia extra-regional. China, India, Rusia e Irán, los actores extra-regionales más activos, tendrían motivaciones distintas; y la receptividad también sería diferenciada. Sin embargo, en los nichos e intersticios por donde circula la influencia extra-regional queda al descubierto una característica común cual es la ausencia relativa del otrora omnipresente comportamiento de Estados Unidos.En este contexto, plagado de factores multidireccionales, es la penetración iraní la que suscita mayor atención. También es sobre la que hay menor información en fuentes públicas. Ello no ha sido óbice, sin embargo, para que, desde 2005 en adelante, ésta penetración sea no sólo ostensible sino creciente. En visibilidad y en complejidad.En efecto, Irán se está desplegando por América Latina a través de una hábil combinación de elementos propios de soft y del hard power. Emplea también una gama de otros elementos intermedios. Los énfasis de unos, o de otros, está relacionados no sólo con el diseño conceptual y praxis desplegada por Teherán, sino también con la receptividad que ha tenido en cada país de la región. De esta forma, se han generado tendencias que hacen de la relación de Irán con los países latinoamericanos un tema esencial de la agenda de seguridad hemisférica.Siguiendo a dos de los más prolíficos autores en esta materia, Román Ortiz y Ely Karmon, y teniendo en consideración el carácter complejo del diseño conceptual y la praxis de la penetración iraní, se sostiene la hipótesis general de que la principal motivación de los iraníes es la obtención de influencia en el "patio trasero de EEUU".Aunque el despliegue iraní se observa en la mayoría de los países del hemisferio, cinco sudamericanos son los que concentran mayor actividad (en orden alfabético): Argentina, Bolivia, Brasil, Ecuador y Venezuela. Con cada uno, se registra una relación multifacética y no desprovista de elementos sui generis, que poco o nada tienen que ver con los cánones tradicionales de las relaciones bilaterales. En consecuencia, identificar y problematizar estos elementos coadyuva en la muy intrincada tarea de desentrañar las razones por las que, por primera vez en su historia milenaria, los persas se muestran interesados en esta zona del mundo.Para alcanzar un foothold en América del Sur, el régimen iraní se procura diversos tipos de elementos categorizables en a) aquellos de poder suave (diplomacia pura y formal, lazos culturales inocuos, como el hermanamiento de ciudades, convenios universitarios y otros), b) elementos intermedios (apoyo material y espiritual a comunidades shií en la región, a mezquitas y centros religiosos) y c) elementos definitivamente duros (acuerdos militares o industriales vinculados a asuntos de seguridad y defensa o comerciales con dicha finalidad, o bien actividades encubiertas con grupos terroristas afines como Hizbollah). Denominador común de todos estos elementos es su ubicación en el contexto de una estrategia a prioridefinida.La vastedad de los elementos señalados, así como el fortísimo sigilo con que son ejecutados, ha llevado a que analistas y académicos privilegien dos posturas para entender su impacto; ambas benignas. En efecto, la mayoría las ve como algo irrelevante, por momentos incluso con cierta indiferencia, casi como un sub-producto de las excentricidades del régimen de los ayatollahs, mientras que en otros momentos, buscan asociarla a cierta inevitabilidad de los cambios en el escenario mundial y a la pérdida relativa de la influencia estadounidense en América del Sur. Sin embargo, ambas relativizan las verdaderas consecuencias y no dan cuenta de su naturaleza. Naturaleza y consecuencia van de la mano. La primera se entiende por su rasgo fundamental, cual es que toda la estrategia iraní está en manos del Pasdaran. Por cierto que ello no implica necesariamente que todas las consecuencias sean previsibles o inmediatas. Pero al ser el Pasdaran el principal instrumento de la penetración, no se puede sino asociar la penetración a los objetivos e imperativos estratégicos de Teherán, vale decir con los planes nucleares, con la competencia estratégica con EEUU, con la construcción de bases capaces de propinar golpes de represalia en el corazón mismo de Norteamérica y, last but no least, con el papel global asignado a la religión. En otras palabras, con la capacidad de disuasión iraní. Por lo mismo no es casualidad que los planes de desarrollo nuclear y misilístico estén bajo tuición del Pasdaran. Tampoco es casualidad que el despliegue esté tan estrechamente vinculado a su estrategia de promoción del fundamentalismo islámico y a la pretensión de aislar a Israel (1). Vista en el contexto de los imperativos estratégicos de Irán, la generación de complicidades con gobiernos afines es fundamental.En esta materia, el despliegue iraní en la región registra novedades generales y específicas a lo largo del bienio 2010-2011.Hannibal ante portas: Irán se despliega en América del SurCuasi de forma paralela a la gira del Presidente Barack Obama por Brasil, Chile y El Salvador en marzo de 2011, el Viceministro de Relaciones Exteriores iraní, Behrouz Kamalvandi realizó un periplo por Quito, Bogotá y La Paz. Pocas semanas más tarde, al iniciar junio de 2011, el influyente y controversial Ministro de Defensa iraní, Ahmed Vahidi, llegó a Caracas para desplazarse luego a La Paz. Asimismo, a fines de 2010, el régimen de Ahmedinejad destinó US$ 4.500 millones para esta nueva etapa de su despliegue en América del Sur (2).Esta verdadera proliferación de recursos económicos, políticos abiertos y encubiertos, así como diplomáticos indica que los énfasis de estos dos últimos años se han comenzado a vincular crecientemente con el poder duro. De acuerdo a las previsiones de Elías Eliaschev, durante 2011 se completará la designación de 150 cargos para el staff que se dedica a América Latina en general, y de esa masa de US$ 4.500 millones, ya se han empezado a ejecutar US$ 87 millones (una transferencia supervisada por el propio comandante general de las brigadas Quds, Qassem Soleimani), de los cuales, a su vez, siete milllones han ido directo a Hizbollah(3).Parece razonable entonces asumir la hipótesis de que el poder duro ha adquirido centralidad. Sin embargo, los ritmos e impulsos que vaya observando el despliegue iraní dependerá finalmente de los nioveles de receptividad de cada país sudamericano(4). Esta responde a necesidades y motivaciones específicas. De ahí que el despliegue deba tener también una atención relativa en aquellos elementos de poder blando y toda la gama intermedia. Los sucesos acaecidos en torno a la visita de Ahmed Vahidi a Bolivia, examinados infra, así como el objetivo de alcanzar pronto US$ 20 mil millones en inversiones diversas de Irán en la región, confirman esta necesidad que tendrá Irán de ir acomodando su estrategia a las citadas sensibilidades de cada país sudamericano.En cuanto a los elementos de poder suave, el más importante verificador de tendencia del despliegue está dado por el incremento de embajadas iraníes en la región. Teherán tenía hasta el 2007 (5) sólo cinco embajadas en América Latina; de ellas únicamente tres en América del Sur. Hacia el 2011, el número de legaciones con embajador residente ha crecido ostensiblemente. Once suman hasta mediados de 2011 las embajadas iraníes en América Latina. Un dato anexo es que salvo Guyana y Surinam, la diplomacia iraní mantiene legaciones en todos los países de la región, y la única donde no hay embajador residente es aquella en Paraguay. Sin embargo, las visitas a Asunción del embajador concurrente -desde Montevideo- tienen la inusual frecuencia de una por mes; sin contar las constantes visitas de personeros de gobierno a Asunción (6). Finalmente, dentro del ámbito de poder suave, destaca también el apoyo manifiesto expresado por los embajadores de los países integrantes del ALBA en Teherán el 16 de julio de 2010, reiterando el "derecho soberano de Irán para generar energía atómica y utilizarla para fines pacíficos". Declaración vista con satisfacción en Teherán ya que permite visualizar algunos signos homogéneos en la receptividad regional. Debe tenerse en consideración que en los asuntos concernientes al vínculo con Irán, son los países sudamericanos del ALBA (Venezuela y Bolivia) los que llevan la iniciativa (7).En definitiva, se trata de un bienio lleno de connotaciones de alto significado, de una tendencia in crescendo, que, sin embargo, podría terminar abruptamente si la enfermedad del Presidente venezolano eclipsa su protagonismo.a) Relatio in terrorem: ArgentinaLas relaciones argentino-iraníes, a lo largo de estos dos últimos años, siguieron muy fuertemente marcadas por las reverberaciones de los brutales atentados a la embajada israelí y contra la AMIA en 1992 y 1994, respectivamente (8).Antecedentes con poderosa significación fueron descritos y fundamentados por Pepe Eliaschev en el diario Perfil (26.3. 2011). El primero apunta a la propuesta de la Casa Rosada para negociar un acuerdo secreto entre los dos gobiernos para dejar de lado el proceso judicial que lleva a cabo el juez Alberto Nisman contra exdiplomáticos y altos funcionarios iraníes a cambio de un compromiso por mayor intercambio comercial (9). La revelación de este antecedente tuvo como resultado que la visita del canciller Hector Timmerman a Israel, anunciada para fines de marzo, estuvo a punto de ser cancelada debido al profundo malestar causado en el gobierno iraní. Declaraciones posteriores de la cancillería argentina, negando la propuesta, mitigaron el estado de crispación bilateral, y el canciller finalmente se desplazó a Jerusalén.Un segundo antecedente de alta significación, y que causó gran molestia en el juez Nisman, es la revelación de tareas de reclutamiento y recolección de fondos en Brasil por parte de Hizbollah, Hamas y Al Qaeda en la zona de la Triple Frontera, en las que el iraní Moshe Rabbani, sindicado como autor intelectual del ataque a la AMIA, es fundamental. Rabbani ha visitado ocasionalmente Brasil utilizando pasaporte falso (10). Para ahondar aún más la controversia, Rabbani participó en abril de 2011 en un programa de radio junto al activista kirchnerista Luis D´Elía negando la versión de sus viajes a Brasil. Anexo a esta problemática, durante el bienio continuó también la controversia en torno a las actividades de la embajada de Irán en Buenos Aires. El juez Rafael Rafecas, por ejemplo, denunció que desde esa legación se financia a muchas agrupaciones anti-judías y que el nexo es el activista pro-gubernativo Luis D´Elía (11).El intento de revertir el estado de deterioro generalizado que existe en las relaciones bilaterales, y que Eliaschev adjudica a la influencia del canciller Timmerman, ocurrió meses después de que la Presidenta Cristina Fernandez, hablando ante la Asamblea General de la ONU en septiembre de 2010, propusiera una solución a la Lockerbie, que comprendiera un proceso judicial a los iraníes acusados por el caso de la AMIA en un tercer país, por mutuo acuerdo entre Irán y Argentina (12). No queda muy claro la finalidad de la propuesta, ya que, como era dable esperar, provocó una agria carta respuesta de Irán dirigida al Presidente de la Asamblea General(13).Finalmente cabe consignar que en el plano comercial, a inicios de abril de 2011, se anunció que Teherán empezará a incrementar sus compras de soya. La iniciativa surgió no sólo por el interés de Irán sino por la baja de las exportaciones argentinas de este producto a la India para las que era necesario encontrar otro poder comprador (14).En suma, el bienio 2010-2011 ha servido para constatar que el vínculo iraní-argentino sigue alterado en sus cimientos (15). La intensidad de las reverberaciones que continúan emanando de los atentados a la embajada israelí y a la AMIA ponen necesariamente un signo de interrogación a la evolución ulterior que tenga este problema, cuya solución definitiva no se divisa. En tal sentido, el principal elemento a monitorear es la presunta oferta emanada de Teherán a mediados de julio orientada a re-tomar el diálogo.b) Dulce periculum: las tentaciones bolivianas El bienio 2010-2011 fue especialmente fructífero para la relación entre estos dos países. Mirado desde el punto de vista de la estrategia iraní, los antecedentes del período consolidaron a Bolivia, en términos cualitativos, como el segundo eslabón más importante en la región. Mirado desde la perspectiva boliviana, asistencia iraní en diversos ámbitos superó los US$ 1200 millones lo que convirtió a Irán en el segundo donante del país, superando a la Unión Europea (16).En el plano diplomático adquirieron relevancia varios hechos como la inauguración de la embajada iraní en La Paz, en septiembre de 2010, el viaje del Presidente Morales a Teherán un mes más tarde (17), y los desplazamientos realizados por varios altos personeros del gobierno iraní por territorio boliviano durante el primer semestre de 2011. Desde el punto de vista comunicacional, lo más destacado del viaje de Morales a Teherán y Tabriz, fue el anuncio de que Irán asistiría a Bolivia en la construcción de una planta de energía nuclear. Dado que el asunto carece de toda viabilidad debido al precario nivel de masa crítica existente en Bolivia respecto a esta materia, el anuncio adquiere singularidad. Desde ahora en adelante habrá movimientos, algunos visibles, otros menos, de especialistas y personeros vinculados a elementos de poder duro iraní. En este marco, fuertes sospechas tiene la aprobación de un proyecto de ley por el Congreso boliviano en junio de 2011, destinado a facilitar el turismo entre los dos países, ya que, pese a no existir cifras oficiales sobre el tema, todas las estimaciones apuntan a un flujo prácticamente inexistente.Otros dos elementos de poder duro son tanto la declaración conjunta emitida tras el viaje de Morales, en el sentido de que ambos países señalan a EEUU como enemigo común, como también el anuncio de crear un banco binacional que permitirá gestionar futuros proyectos. Esto último, ya se había visualizado un mes antes del viaje de Morales, cuando el ministro de Industrias y Minas de Irán, Ali Akhbar Mehravian asistió a la presentación de cartas credenciales del embajador Alireza Ghozeilee en La Paz, asunto que además, coincidió con la apertura física de la legación persa. La cartera del ministro constituyó una señal indicativa del énfasis que Irán está dando a este vínculo. Consecuentemente, durante la visita de Mahrebi, ambos países suscribieron acuerdos en materias de gas, petróleo y petroquímica. Además, Mahrebi inauguró las dependencias de la Iranian Oil en Santa Cruz y ofreció una nueva línea de crédito por US$ 254 millones que permitirá expandir los proyectos existentes y examinar nuevos proyectos en torno a la extracción del litio.Posteriormente, en marzo de 2011, la visita del Vicecanciller Behrouz Kamalvandi hizo anuncios que reforzaron el carácter estratégico que está asumiendo Bolivia en el despliegue iraní en la región. Kamalvandi anunció tanto la creación de un Centro Geocientífico, que se dedicará a estudiar datos geológicos de Bolivia, como de una red de transmisión y de antenas que permita crear un canal nacional de televisión. El objetivo central del Centro Geocientífico es localizar yacimientos de uranio. Hasta ahora, los estudios sobre localización y caraterísticas de depósitos uraníferos bolivianos son confusos, debido a su obsolescencia y poca acuciosidad. Uranio existiría en la Cordillera de Los Frailes, en Cotaje (Potosí) y en Mamonó, el este del país cerca d ela frontera con Brasil, en el Parque Noel Kempff Mercado y bajo el Bosque Seco Chiquitano (ambos forman el ecosistema El Pantanal). Tras la visita de Mehravian, la ministra boliviana de Planificación, Viviana Caro manifestó, "hay intenciones de realizar trabajos, pero lo que se necesita es una carta geológica actualizada en la que colaborará Irán" (18). Jorisch sostiene que el litio podría ser utilizado como un acelerador alternativo en el enriquecimiento de uranio. Durante su visita, Kamalvandi firmó acuerdos justamente para explotar litio (algo acordado inicialmente durante la visita de Ghozeilee)(19). Además, comprometió una línea de crédito adicional a la de US$ 270 millones ya existente para construir represas. Se trata de una línea crediticia abierta que se materializará apenas lo disponga el gobierno de Morales.Una significancia mayor tiene la llegada a Bolivia, en junio de 2011, del ministro de Defensa iraní, Ahmed Vahidi (20), quien visitó La Paz y Santa Cruz. Declaraciones de Vahidi ofreciendo todo tipo de ayuda militar que Bolivia demande y la invitación a la inauguración de la Escuela Militar del ALBA, ratifican la hipótesis sustentada acerca de la especificidad estratégica que tiene el despliegue iraní en Bolivia. Como trascendió por la prensa, Vahidi debió interrumpir su estadía en Bolivia, cuando fue detectado por el servicio de inteligencia argentino (SI) mientras se efectuaba una ceremonia en el Colegio Militar de Aviación (COLMILAV) en la que se entregaban licencias de pilotos a cadetes de Bolivia, Venezuela y Panamá. Ello motivó la rápida queja del gobierno de Cristina Fernández, quien advirtió al Presidente Morales sobre el retiro de la invitación que se le había cursado para que visitara Buenos Aires la semana siguiente (21). Bolivia presentó sus excusas al gobierno argentino, y ni Morales ni su ministra de Defensa, Cecilia Chacón se refirieron públicamente al incidente. Vahidi, sin comentarlo directamente, valoró positivamente su paso por Bolivia y reiteró que "la cooperación total con los países latinoamericanos goza de prioridad para Irán"(22).El carácter estratégico de Bolivia en el despliegue iraní en la región, había quedado esbozado en octubre de 2010, cuando el ministro de Economía y Finanzas de Bolivia, Luis Arce informó de un acuerdo entre los dos países para la compra de equipos militares iraníes, el mantenimiento de las aeronaves de la Fuerza Aérea Boliviana (FAB), así como un acuerdo para entrenamiento militar. Ese anuncio ministerial ocurrió dos semanas después que Morales llegara procedente de Teherán (23).En síntesis, la relación bilateral ha entrado en una etapa cualitativamente distinta estos dos últimos años, marcada por claras intenciones de fortalecer un compromiso que adquiere visos de estratégico. El interés manifestado por ambos en esta línea indica que se debería generar mayores niveles de asociatividad bilateral en el futuro cercano. En todo caso, si Bolivia no cautela los aspectos políticos formales de este acercamiento, se producirán inevitablemente fricciones inesperadas con terceros, tal cual de desprendió de la tensión argentino-iraní en relación a Vahidi. La experiencia de este hombre clave del Pasdaran en Bolivia es una señal que los próximos pasos del acercamiento bilateral se caractericen por la opacidad y el sigilo.c) De omnibus dubitandum, las aprehensiones del neo-lulismobrasileño Las relaciones bilaterales durante el bienio, sometidas a las reverberaciones del viaje del Presidente Ahmedinejad a Brasil, ocurrido en las postrimerías del 2009, siguen mostrando señales ambivalentes. Sin embargo, la fuerza ex intra de algunas de éstas indican que, paulatinamente, se ha ido instalando la idea de poner las relaciones bilaterales bajo premisas nuevas. Son señales que, decodificadas, ofrecen matices diferenciadores respecto a los años de lulismo puro.En efecto, a lo largo de casi todo el 2010 se observó una atención brasileña muy deferente hacia problemática iraní, ejemplificada en la crítica que hizo el canciller Celso Amorim en marzo de ese año a la imposición de sanciones contra el régimen de Teherán. El pragmatismo del lulismo puro cobró expresividad en el acuerdo Brasil-Turquía (marzo 2010), que provocó desconcierto en varios países centrales, malestar en Washington y preocupación en Israel (24). Ese acuerdo, percibido positivamente por Ahmedinejad, se suscribió en el marco de la cumbre de los G-15 realizada en Teherán.Otra señal proveniente del pragmatismo lulista había ocurrido poco antes, en abril de 2010, cuando Petrobras anunció que mantendría sus oficinas en Teherán y todas sus inversiones en el Mar Caspio, pese al clima internacional desfavorable. Prosiguió al mes siguiente, cuando de forma demostrativa, Lula realizó una visita oficial a Teherán, que culminó en el controversial acuerdo con Turquía. Continuó en junio de 2010, cuando, en votación dividida, el Consejo de Seguridad aprobó sanciones (Resolución 2040) con los votos en contra de Brasil y Turquía (ambos miembros no permanentes del órgano en ese momento).En esta postura pragmática subyacía una visión muy clara. Lula veía los asuntos internacionales con un prisma que favorecía la mantención del diálogo con todo tipo de regímenes y de rechazo a la imposición de sanciones. Para Lula, el efecto de las sanciones terminaban recayendo en los más pobres. Lula, además, insistía en el necesario respeto a la cultura, costumbres y leyes de todos los países, alegando que de lo contrario se alimentaba las tendencias al caos en el sistema internacional.Sin embargo, la asunción de Dilma Roussef comenzó a ofrecer matices respecto allulismo puro, denominación que parte del supuesto que con Dilma el lulismo sigue representando el prisma central de la política exterior brasileña.Sin embargo, los nuevos matices, advertibles en las primeras decisiones de Dilma en torno a la problemática iraní, sugieren que subyacen ideas nuevas. Aunque es prematuro visualizar la intensidad que estas ideas nuevas, se pueden conjeturar énfasis de tipo cuasi doctrinario, por ejemplo en materia de derechos humanos, vistos tanto genéricamente como en lo relativo al de las mujeres. Tal inclinación salpicará directamente la relación con Irán.Dos novedades interesantes sobre esto son las siguientes. Dilma, por ejemplo, fue mucho más dura que su antececesor en cuanto a criticar la lapidación de Sakineh Ashtiani, por presunta complicidad en asesinato de su esposo. Indicó que era "inaceptable y medieval". Apenas ocurrido el hecho, y en su calidad de candidata presidencial, Dilma, solicitó al entonces Presidente Lula, que diera indicaciones a su embajador en Teherán, Antonio Luis Salgado para reunirse con autoridades de la cancillería persa e informarles que Brasil estaba en condiciones de garantizar asilo a Ashtiani.Luego, ya en funciones, invitó a la abogada disidente Shirin Ebadi, Premio Nobel de la Paz 2003, asunto que irritó a la cancillería iraní. Luego, el ministerio de Cultura brasileño formuló críticas a la censura de las obras del escritor Paulo Coelho en Irán.Probablemente el dato más significativo ocurrió en 2011, cuando, por primera vez en 10 años, Brasil (junto a Panamá y Colombia y contra Cuba y Ecuador) votaron a favor de una moción en la Comisión de Derechos Humanos para monitorear la situación de éstos en Irán. Baste recordar que el año previo -2010, es decir bajo ellulismo puro- Brasil se abstuvo (25).Aunque el re-enfoque brasileño implicará que Brasil ya no tendrá un papel tan relevante en el establecimiento del foothold iraní en la región, el régimen de Ahmedinejad ha reaccionado con cautela ante las nuevas señales provenientes de Brasilia. No ha hecho ver sus molestias y pareciera optar por darle preeminencia a los espacios e intersticios que se muestren disponibles. En esa línea, anunció que establecerá un centro comercial durante el segundo semestre 2011 para facilitar negocios entre los dos países (26). El régimen iraní es consciente que el deterioro de la relación bilateral perjudicará más a Irán que a Brasil. Además, también hay señales de continuidad.Vital en este aspecto es la mantención del negocio de la triangulación de alimentos, carnes y azúcar que realizan empresas brasileñas instaladas en Dubai y Emiratos Arabes Unidos.Huelga subrayar que este recalibramiento seguirá siendo monitoreado por Washington y las potencias centrales. A lo largo del bienio ha habido varios motivos de preocupación que podrían repetirse. Por ejemplo, según revelaciones de Wikileaks, a fines de 2010, se produjo una situación que generó preocupación en EEUU y en Alemania, ya que la empresa Machine Sazi Tabriz (MST) habría estado adquiriendo material de uso dual a la brasileña Mello SA Maquinas e Equipamentos. Siemens habría detenido a última hora importantes envíos a Mello SA que iban a ser entregados a MST (27).En definitiva se puede establecer que la relación brasileño-iraní pasa por momentos de ciertas re-definiciones producto de los cambios políticos internos en Brasilia. Dado que la cautela dominará la apreciación de ambos, es probable que la agenda bilateral no oscile entre elementos de poder duro ni blando, sino descanse en aquellos intermedios, donde las cuestiones estrictamente comerciales vayan adquiriendo centralidad. (1) Los dos principales instrumentos globales de la línea estratégica anti-israelí son ese híbrido llamado Hizbollah y el Pasdaran; ambos con capacidades para operar en cualquier parte del globo. Los mortíferos ataques en Buenos contra la embajada de Israel en Buenos Aires en 1992 y contra la AMIA en 1994, ejecutados conjuntamente, son los mejores ejemplos de dicha capacidad. Karmon sostiene que la amenaza terrorista es el principal desafío a la seguridad internacional y que después de la guerra fría no se podría hablar de un conflicto armado donde no se haga uso del instrumento terrorista. En tal sentido –añade- la gran amenaza actual proviene de lo que denomina la "coalición iraní", compuesta por Irán y su proxy organization, Hizbollah, creado por el Pasdaran, por Siria, por Hamas.(2) La cifra aparece en varias de las referencias utilizadas en este texto. Según Eliaschev, las prioridades de esta nueva fase del despliegue iraní son: la Triple Frontera (Brasil, Paraguay, Argentina), Venezuela y Panamá. (3) Ver: "Venezuela e Irán".(4) Otros elementos de poder duro son el esfuerzo por instalar en la región bancos iraníes o bien formar instituciones bancarias asociadas así como la cooperación para la prospección y explotación de recursos energéticos específicos (uranio, litio, petróleo y gas).(5) Fecha referencial clave. El despliegue iraní adquirió contornos más precisos y sistémicos con la Conferencia Internacional sobre América Latina, denominada "Desarrollo en América Latina: su papel y su estatus en el futuro sistema internacional" (febrero, 2007) y en la que participaron invitados de Argentina, Venezuela, Colombia, Cuba, Brasil, Uruguay y Ecuador aparte de latinoamericanistas de Italia, Rusia, y China". Fue un seminario auspiciado por el Ministerio de Relaciones Exteriores iraní y sirvió para dar luces acerca del diseño conceptual y modelos de praxis para materializar la iniciativa. Procuró insertar conceptualmente el despliegue en las corrientes revolucionarias de la época, buscando asociar las figuras de los comandantes Chamran y Guevara como simbólicas del encuentro revolucionario entre Irán y América Latina. El gobierno iraní invitó a exponer al seminario a dos hijos de Guevara. Pocos meses más tarde, en Teherán e Isfahan, también con auspicio de organismos de gobierno, se efectuó el Primer Congreso Internacional de Literatura Latinoamericana. Ver Witker, op cit. pp. 171-172.(6) La relación de Irán con Paraguay se inicia bajo mandato del Presidente Lugo el 15 de agosto de 2008. Un trascendido relevante en las relaciones de Irán con esta zona del mundo es la presunta petición formulada a inicios de abril de 2011 por Ahmedinejad al Presidente paraguayo, Fernando Lugo en orden a garantizar asilo para Muammar Gaddafi.(7) Ver "Apoyo del ALBA a Irán" en el sitio http://www.noticiasdeiran.com (accesado el 01.06.2011).(8) La trayectoria y los eventos dramáticos ocurridos en la capital argentina apuntan a un diseño conceptual y praxis específicas del interés de Irán en Argentina, pues no se divisan motivos demográficos o migratorios, ni económicos, ni gran colaboración militar, aunque sí hay versiones, no confirmadas, de interés en la industria nuclear argentina a comienzos de los 90. Sí tiene fuerza explicativa la numerosa población judía en Argentina. Al asumir a los aproximadamente 250 mil judíos argentinos como blanco de su despliegue global, se advierten elementos coherentes con el esquema antijudío que marca la diplomacia iraní desde fines de los 80.(9) El acuerdo habría nacido tras una oferta hecha por Timmerman mientras efectuaba una visita a Aleppo, Siria entre el 23 y 24 de enero de 2011. Los mediadores iban a ser el Presidente sirio Bashar al Assad y su canciller Walid al Mohalem. El texto de Eliaschev asegura que en septiembre de 2010 y febrero de 2011 se produjeron tratativas directas, aunque discretas, entre Argentina e Irán a nivel de "funcionarios poco conocido".(10) Pagina 12 y Perfil (7 de abril). El juez Nisman identificó una casa de seguridad de Rabbani y otros 20 terroristas en Sergipe N° 67 en la ciudad Foz de Iguacú.(11) Rafecas instruye casos contra algunos grupos terroristas como Quebracho. Esas afirmaciones las hizo en una reunión realizada en la Sociedad Hebraica del Pilar, Buenos Aires el 30 de marzo de 2011.(12) Hay versiones que indican que esta fórmula habría sido propuesta en 2003 y que no se habría encontrado ningún país dispuesto a servir como tal.(13) "Respuesta de Irán a Argentina en Naciones Unidas" en http://www.noticiasdeiran.com (accesado 14.6.2011).(14) El intercambio comercial entre Irán y Argentina llegaba en 2011 a US$ 1.200 millones anualmente.(15) Inicialmente, las investigaciones tropezaron con las enormes dudas acerca de qué pudo haber motivado esta expansión terrorista hacia América del Sur. También se hicieron públicas varias hipótesis argentino-céntricas de un presunto descontento del mundo musulmán por la participación de Buenos Aires en la primera guerra desatada por Estados Unidos contra Irak, aunque Irán era muy hostil al Irak de Saddam Hussein 1980-1988. Ese resentimiento musulmán se habría visto alimentado también por otros motivos. Los daños causados a Irak, financista de Egipto, y potencial beneficiario del proyecto misilístico Cóndor (desarrollado por Argentina y Egipto), abandonado por Menem por imposición de Estados Unidos. Luego estaría la decepción de Trípoli tras haber invertido fondos en la campaña electoral de Menem. Otro elemento de resentimiento musulmán con Argentina sería la distancia que tomó Buenos Aires respecto del Movimiento de No Alineados en 1991 y su acercamiento a Estados Unidos. Por último, la desilusión experimentada por Damasco ante los diversos viajes de Menem a Medio Oriente en los que no visitó Siria (el país de sus ancestros), a la vez que se convertía en el primer Presidente argentino en viajar a Israel. Todas hipótesis excesivamente argentino-céntricas y carentes de efectivo poder explicativo.(16) Irán ha financiado una fábrica de textiles, una de cemento, un hospital en El Alto, una procesadora de lácteos y ha iniciado estudios para una ensambladora de tractores. La suma es un conjunto de créditos que forman parte del llamado Plan de Cooperación Industrial válido por cinco años firmado en 2007 durante la visita de Ahmedinejad a La Paz. Notoriedad tiene un reportaje de la BBC (27.11.2009) alerta sobre la posible obligatoriedad que existiría en el centro hospitalario construido en El Alto para que las mujeres porten velo.(17) La visita de Morales incluyó un desplazamiento a la ciudad de Tabriz donde visitó una fábrica de tractores. Irán tiene la oferta de instalar una ensambladora similar a la levantada en Venezuela.(18) Ver: "Uranio y agua para Irán" en http://www.noalamina.org (accesado 10.6.2011).(19) Sobre este punto, las negociaciones se habían iniciado en octubre de 2010 durante la segunda visita de Morales a Teherán. Bolivia tiene un depósitos estimados de 100 millones de toneladas métricas (TM) de litio, lo que correspondería al 70% de las reservas mundiales.(20) Excomandante general de la Fuerza Quds del Pasdaran. Existe orden de captura internacional por su participación en el atentado contra la AMIA en Buenos Aires en 1994. Por años nexo entre Teherán y Hizbollah. Su cargo actual implica una tuición directa en el programa de desarrollo nuclear de Irán. La orden de captura de Interpol se extiende a Moshen Rabbani (ex agregado de prensa en la embajada iraní en Buenos Aires), Ali Akhbar Velayati (excanciller), Alí Fallahijan (exministro de Informaciones), Alí Rafsanjani (expresidente), Moshen Rezai (exasesor presidencial), Hadi Soleimanpour (exvicecanciller).(21) Gran parte de la prensa mundial consignó esta nota ese día. El canciller David Choquehuanca endosó responsabilidades a funcionarios medios del Ministerio de Defensa. Otro antecedente que apoya la sospecha de una circunstancia embarazosa es que Vahidi se encontraba alojado en el mismo hotel (Casa Blanca), que el Presidente Morales. Ver La Tercera, Santiago de Chile 6.6. 2011.(22) La Prensa (Bolivia) 03.06.2011.(23) El anunció precisó que podrían adquirirse FAJR-3, S-68 e IRAN-140 así como helicópteros. Ver Los Tiempos, Cochabamba 1.11.2010.(24) El acuerdo consistía en que Irán se comprometía a enviar 1200 kilos de uranio enriquecido al 3,5% hacia Turquía y recibiría el producto enriquecido al 20% para usos médicos, en un proceso supervisado por EEUU, Francia y Rusia más el Organismo Internacional de Energía Atómica.(25) Aprobada por 22 votos a favor , 7 en contra y 14 abstenciones.(26) Aunque la relación entre ambos países también se remonta a comienzos del siglo 20 sólo a partir de los 90 comenzó a registrar cierto volumen al intercambiar alimentos. Sin embargo, a partir de 2003, Petrobras obtuvo una primera licencia de exploración de petróleo en el Mar Caspio con lo que la relación bilateral aumentó fuertemente. En 2004, Petrobras obtuvo una segunda licencia y en 2007 una tercera. El 2009, asociada con Repsol, obtuvo derechos de explotación del bloque Tosan, también en el Caspio.(27) State 123431 SIPDIS E.O. 12958: DECL:12/12/2034 *El autor es politólogo y periodista de la Universidad de Chile,PhD en Comunicaciones por la Universidad Carlos IV de Praga, República Checa y egresado del Centro Hemisférico de Estudios de la Defensa, National Defense University (CHDS-NDU). Ha sido jefe de la Mención en Relaciones Internacionales del Doctorado en Estudios Americanos de la Universidad de Santiago y jefe de Cátedra de Estudios Internacionales de la Academia Nacional de Estudios Políticos y Estratégicos (ANEPE) de Chile. En la actualidad es profesor de la ANEPE y la Universidad Alberto Hurtado de Santiago de Chile,profesor visitante del Colegio Interamericano de Defensa, Washington DC. Ha publicado varios artículos sobre terrorismo y seguridad internacional en revistas académicas, destacando "Los guiños de Mefisto. Relaciones Irán-América Latina, los casos de Chile y Argentina", "El síndrome de Herostratos o la conversión de terroristas en íconos". "Momentos palmerstonianos: retórica integracionista y conductas divisivas a la luz de la cumbre energética de 2007".
L'albo lapillo Pier Paolo Pasolini nasce il 5 marzo 1922 a Bologna, prima tappa del lungo peregrinare della famiglia Pasolini imposto dalla professione del padre Carlo Alberto, ufficiale dell'esercito. Carlo Alberto appartiene ad una delle più illustri famiglie di Ravenna, i Pasolini Dall'Onda, nobili degli Stati della Chiesa che da sempre assolvono incarichi importanti in Vaticano. Tuttavia il padre, Argobasto, avvia la famiglia alla rovina a causa del gioco d'azzardo, rovina cui contribuirà a sua volta il figlio Carlo Alberto preda della medesima passione. L'aver scialacquato ciò che restava del patrimonio paterno, lo costringe nel 1915 ad abbracciare la vita militare, carriera che sopperiva ad un destino di degradazione economica. Carlo Alberto aderisce al fascismo e al riguardo, Enzo Siciliano addirittura si esprime con queste parole: "il fascismo apparteneva antropologicamente […] alla sua vanità, al suo evidente vitalismo, all'ombrosità del suo sguardo e ancor di più alla sua dissestata configurazione sociale, alla sua aristocrazia di sangue respinta verso le terre desolate della piccola borghesia" . L'angoscia del fallimento e il senso di solitudine che nasce da una passione non ricambiata spinge Carlo Alberto ai vizi perniciosi del vino e del gioco. Il dramma che suscitò nell'animo di Carlo Alberto lo "scandalo" del figlio, tralignò alla follia e unico rifugio, fino alla morte avvenuta nel 1958 per cirrosi epatica, lo trovò nel bere. Pier Paolo Pasolini nasce pochi mesi prima della storica Marcia su Roma, atto che sancisce la salita di Mussolini al potere. Le velleità dirigistiche e di controllo del fascismo coltivato dalla piccola borghesia che credeva di fare del Colpo di Stato delle camicie nere strumento per i propri fini particolari, viene travolta e rigettata. Questo il clima in cui cresce Pier Paolo Pasolini il quale, stabilitosi con la famiglia alla fine degli anni Trenta a Bologna, termina brillantemente gli studi liceali e si iscrive alla facoltà di Lettere. Pasolini amò profondamente il gioco del calcio, ma nella sua forma "pura": incontaminato, non degradato e inquinato come sarà quello reificato dalla società dei consumi, postindustriale, contro cui lancerà i suoi strali. È risaputo che si teneva in forma: aveva il terrore di invecchiare e negli ultimi anni della sua vita andò addirittura in Romania a fare la cura del Gerovital (a cui sottopone anche la madre). La prontezza del corpo fece di lui, come farà notare il suo amico Italo Calvino, uno dei pochi convincenti "descrittori di battaglie" della nostra letteratura recente. L'apparente normalità della sua vita si spezza l'8 settembre 1943, quando con lo storico armistizio, si frantumano le illusioni fasciste e l'Italia si trova allo sbando. Qui Pasolini prosegue la sua attività letteraria. Divenuto partigiano della brigata Osoppo, vicina al Partito D'Azione, cadrà vittima di quell'orribile episodio della Resistenza italiana che passò alla storia come "strage di Porzus", che vide i garibaldini e gli azionisti uniti contro le pretese territoriali sulle terre di confine delle truppe slovene fomentate dalla propaganda nazionalista e sciovinista di Tito. Questa pagina luttuosa e mesta della vita di Pier Paolo è calata nell'età storica dell'antifascismo segnata dal fenomeno della Resistenza, risultato dell'acuirsi del carattere politico-ideologico del conflitto tra il sistema democratico e i totalitarismi nazi-fascisti e che si traduce in una vera e propria resistenza nei confronti degli eserciti occupanti, sia in forma armata che in forma "passiva" (rifiuto del consenso, attività di intelligence e frenetica attività propagandistica di intellettuali e politici esuli). L'evento bellico della Liberazione attraversa e scuote tutta la penisola italiana, dalla Sicilia alle Alpi, lasciando un paese grondante di devastazione e distruzione. Enzo Siciliano parla di un'"ingenua furia romantica" del poeta Pasolini perché nel suo animo alberga il furore pedagogico di chi crede nella pregnante forza educatrice della poesia, della lingua che si fa storia e cultura attraverso il poeta che la plasma forgiando armi imperiture, vivificando una cultura locale in cui i poveri contadini possano riconoscersi e, insieme, superare l'eclissi e l'oblio dell'arcaicità d'espressione e dei costumi. Discutendo una tesi sulle Myricae di Pascoli, si laurea in Lettere a Bologna con Carlo Calcaterra, professore di storia della letteratura italiana che segnerà la formazione di Pasolini insieme a Roberto Longhi, professore di Storia dell'Arte, fondamentale nella successiva passione figurativa del Pasolini regista. È affascinato dal Friuli, a cui dona il suo cuore. Pasolini aderisce nell'ottobre-novembre 1945 all'associazione Patrie tal Friul, il cui programma politico era dichiaratamente autonomista. Nel 1947 Pasolini si iscrive al Pci, diventa segretario della sezione di San Giovanni di Casarsa e per vivere inizia ad insegnare italiano alle scuole medie statali a Valvasone (dopo una breve parentesi in una scuola privata a Versuta). Il paese lasciato in eredità dalla guerra alla nuova classe politica e dirigente è un paese umiliato, stremato, insozzato dalla ferocia sanguinaria della guerra civile, economicamente dipendente dagli aiuti stranieri; un paese che ha perso la sua credibilità all'estero, governato da una classe politica inesperta, conservatrice, che non ha saputo rispondere alle pulsioni modernizzatrici favorendo la sclerotizzazione della frattura tra un nord vivace, propositivo e attivo, e un sud dove ha prevalso l'impulso reazionario che ha favorito il ripristino del vecchio stato, dove le forze dell'ordine e la magistratura sono tutt'altro che convertiti alla democrazia e dove predominano due partiti di massa tra loro antitetici. Il sogno di una cosa viene visto come "lo sfondo mitico e contadino del romanzo "romano" (per) l'epicità del libro che trae sostanza dal senso di avventura che increspa il vivere dei tre protagonisti: soluzione stilistica a cui Pasolini arriva dopo Ragazzi di vita" . La situazione agraria e contadina, soprattutto nel sud Italia, risente fortemente della distruzione e degli sconvolgimenti causati dalla guerra. La manifestazione organizzata dalla Camera del Lavoro a San Vito del Tagliamento per ottenere i miglioramenti che il lodo prometteva agli agricoltori disoccupati e ai mezzadri danneggiati dalla guerra, è rivolta contro quei proprietari terrieri che si sono strenuamente opposti fino a quel momento all'applicazione della legge. La concezione ideologica di Pasolini si incarna in un personaggio del "romanzo" Il sogno di una cosa: una ragazza borghese, Renata, che abiura alle precedenti categorie di pensiero e all'impianto ontologico tipico della sua classe sociale, "che mai gliel'avrebbero perdonato", per farsi marxista. Pasolini dona così forma al suo "inconscio antropologico" (Enzo Siciliano), affidandolo alle parole di questa giovane ma anche a quelle del prete Paolo quando dice, ho notato quanto siano migliori i giovani del popolo da quelli della borghesia: è una superiorità sostanziale e assoluta, che non ammette riserve. Si insinua insidioso anche un altro tratto autobiografico, che lui avvertirà sempre come una colpa soverchiante e per cui i patimenti emotivi si susseguiranno fino alla fine della sua breve esistenza: l'omosessualità. Trauma inconscio che si riverbera nel suo atteggiamento sessuale adulto per cui Pier Paolo cerca "in folle caccia notturna" i ragazzi, stabilendo una distanza netta dalla sua realtà domestica. Muoio nell'odore di una latrina della mia infanzia, legato per sempre alla vita da una vespa che accende nell'aria l'odore dell'Estate. O anche "ciò che più tortura è il "cedere"/mi trovo al mesto bivio del peccato/e cedo […]". Isolato e epurato dal partito comunista -al tempo duro ed ortodosso in materia-, si decide alla partenza con la madre Susanna. Roma. Pasolini rimane pur sempre un "poeta" inteso, alla Elsa Morante, come scrittore che sa dar voce, anche con irriverenza, al proprio daimon, rimanendo fedele alla propria vocazione. Poeta vicino all'espressionismo, rifugge dalla trasposizione della realtà nella letteratura dove esprime invece tutto il suo disagio esistenziale. Nella capitale della neonata Repubblica Italiana, Pasolini arriva con la madre agli albori degli anni Cinquanta. Nel frattempo avrà l'occasione di un nuovo contatto con il cinema quando Mario Soldati lo invita a collaborare alla sceneggiatura, insieme anche a Bassani, del suo film del 1954, La donna del fiume. La prima opera in omaggio alla romanità è del 1955, Ragazzi di vita. Lapalissiano il fine politico: disvelare una realtà taciuta, volutamente emarginata anche geograficamente nelle borgate, nelle appendici da una società apparentemente riemersa dalle ceneri della guerra, sedicente superstite dell'horror vacui della disperazione e della distruzione che tende a celare a se stessa i propri dolori ed i propri mali. Ciò spiega il perché è addirittura la presidenza del Consiglio dei ministri, Antonio Segni, a muoversi scrivendo esso stesso al Procuratore della Repubblica di Milano, bollando il testo come "pornografico". Contro questi perbenisti piccolo borghesi detrattori di Pasolini, politici e non, Gadda (che definisce Ragazzi di vita una "colonna sonora"), Bertolucci, De Robertis, Bigongiari, Carlo Bo, Cassola, Sereni, Anna Banti, Mario Luzi e con loro altri esponenti della cultura del tempo, costituirono quella giuria che a Parma nell'estate del 1955 assegna al "romanzo" il premio "Colombi- Guidotti". Il plurilinguismo a cui è votato Pasolini lo riporta presto sulle scene con un'opera, forse l'unica che- data l'organicità della narrazione- può essere ascritto alla famiglia dei "romanzi", Una vita violenta (1959). È una sorta di manifesto letterario con cui sancisce il suo riavvicinamento al Partito Comunista. Questo è deducibile dalle parole di Pasolini il quale in un'intervista apparsa sulla rivista "Nuovi Argomenti" nel 1959 dirà io credo soltanto nel romanzo "storico" e "nazionale", nel senso di "oggettivo" e "tipico". Emblematico è a questo fine il titolo di una raccolta di undici componimenti poetici in lingua, Le ceneri di Gramsci, "i più intensi e profondi esperimenti poetici di Pasolini […] una vera e propria summa al contempo delle posizioni ideali del poeta e della sua visione del mondo" "una delle partiture più ingannevoli e più strabilianti di tutta l'opera di Pasolini" il cui segreto sta "nei poemi, che nelle intenzioni dovevano esprimere l'angoscia dell'inafferrabilità e dell'impermeabilità del reale, si trasformano in un flusso che riproduce il reale nei suoi tessuti e nelle sue strutture, come il continuum sintattico riproduce il continuum del paesaggio" , composti tra il 1951 e il 1956 e stampati nel 1957, precedente di due anni il romanzo Una vita violenta e intervallato da una collaborazione alla sceneggiatura di Le notti di Cabiria, a cui lo invita Federico Fellini, come revisore della parte dialettale romanesca (per cui si servirà della collaborazione di quello che diventerà uno dei suoi due pupilli e tenero amico, Sergio Citti). In questa raccolta di componimenti l'obiettivo è quello di dare un volto nuovo alla storia italiana e per farlo Pasolini indulge sul passato con brani dedicati alle origini medievali del canto popolare, al periodo classico, romano greco e barbarico, al periodo comunale: il tutto in un clima quasi di attesa, di sospensione del popolo che aspetta da sempre "mai tolto al tempo" (Il canto popolare) e quindi non obnubilato dalla modernità ma vivo, sopravvissuto nel Presente e emarginato, confinato, ghettizzato in vacui solitari e fatiscenti paesi di collina, in tuguri o baracche, in squallidi quartieri periferici che circondano, con ferina purezza e semplicità, le baldanzose, bislacche città frutto del tempo breve. L'occasione è data da una visita di Pasolini al "Cimitero degli Inglesi", accanto a Porta San Paolo a Roma, a ridosso del quartiere popolare il Testaccio, in cui era stato seppellito Gramsci. Pasolini contempla amareggiato la rovina storica, "in esso c'è il grigiore del mondo / la fine del decennio in cui ci appare / tra le macerie finito il profondo / e ingenuo sforzo di rifare la vita / il silenzio, fradicio e infecondo". In questi versi sono condensate tutte le cocenti delusioni che albergano nel cuore del poeta e la sofferenza per la sorte dell'Italia: i dieci anni di dominio della Democrazia Cristiana al potere, il tradimento della Resistenza, il naufragio delle speranze e la perdita degli affetti. Durante lo srotolarsi del poemetto, Gramsci abbandona le vestigia di ideologo e uomo di partito, di padre e diviene per Pasolini "umile fratello", completamente disarmato, non rivoluzionario bensì il Gramsci della sofferenza riflessiva della prigione da cui gemmano pagine di vibrante lirismo e puntigliosa razionalità, lucidità storica e politica. Confinato nella solitudine dalla mordacità dell'uomo e dalla crudeltà della storia. L'interesse è rivolto al giovinetto Gramsci, umiliato e vilipeso, partorito dalla sensibilità del poeta, non al personaggio storico. La protesta è rappresentata dall'essere "diverso", nella poesia come nella vita. Diverso da chi, da cosa? Diverso dai prodotti della mercificazione, dall'omologazione e dalla massificazione che crea e fa subire al popolo inerme e disarmato l'evoluzione della tecnica. Questo non farà che esacerbare ulteriormente le idiosincrasie all'interno del partito dal quale, in seguito agli scandali legati alla sua omosessualità, era stato espulso. Sono gli anni in cui all'interno del partito domina l'intransigenza teologica dei marxisti ("sono inflessibili, sono tetri, / nel loro giudicarti: chi ha il cilicio / addosso non può perdonare. Nel 1958 pubblica L'usignolo della chiesa cattolica, una summa del suo credo marxista intriso soavemente di pietas cristiana. L'attività critica di Pasolini vede la sua prima momentanea sistemazione nella raccolta saggistica del 1960 Passione e ideologia. Un profondo e drastico mutamento del clima culturale occorse negli ultimi anni prima della guerra. Questo nuovo clima non è infondato ma motivato dalla lotta vittoriosa del paese contro il fenomeno fascista e la riconquista che ne derivò della libertà e della democrazia. Il primo numero compare alla fine di settembre del 1945 e, novità, in edicola perché vuole assurgere subito a organo culturale di massa. Chiude la sua attività nel dicembre del 1947. L'editoriale del direttore Una nuova cultura apre il "Politecnico". Contrasti con la redazione e divergenze di vedute fra Vittorini e esponenti di spicco del Partito Comunista, di cui era un giovane neofita, portò alla chiusura dell'organo. I dissapori con i dirigenti comunisti, in particolar modo con Palmiro Togliatti e lo storico Alicata, ruotano intorno al valore che Vittorini attribuisce alla cultura nell'orientamento della storia e nella rinascita della società, compiti che il partito attribuisce più alla politica che alla cultura. La cultura invece non può non svolgersi al di fuori di ogni legge di tattica e di strategia sul piano diretto della storia. Vittorini tende, esecrabilmente, a mettere in discussione il rapporto organico tra intellettuali e partito che dominerà la vita culturale nei decenni successivi caratterizzando la storia della cultura a sinistra dell'Italia; si rifiuta di porre così dei limiti al suo lavoro, di assecondare i diktat del partito e chiude la rivista "Il Politecnico". Il "ceto intellettuale" svolge una funzione di prim'ordine nell'analisi gramsciana, per la formazione del "blocco storico" perché è l'unico che può condurre al cambiamento la società rifondandola. Da qui, la sua idea di "intellettuale organico" per indicare quell'intellettuale che si lega visceralmente ad una classe sociale e al suo destino e istaura un rapporto dialettico con il suo partito. Una tendenza volta a creare una cultura liberale nell'Italia dopo la Liberazione ma, al contempo, attenta ai problemi del socialismo e della democrazia, corrente di pensiero incarnata da Norberto Bobbio. Per ottenere questo fine, è necessaria la comprensione della realtà. Al cinema e nella letteratura il parlato e il dialetto si impongono sovrani. Asor Rosa parla, per introdurre Pasolini, di "apoteosi e crisi del neorealismo" ricordando al lettore che ogni periodo storico-letterario finisce sempre e comunque o per rottura o per eccesso. Quello fascista, ci dice, terminò bruscamente per rottura e si fa strada l'idea che una nuova fase debba aprirsi per rispondere alle speranze degli italiani, anche nel campo del gusto e della poesia. Si scontra allora con le posizioni ufficiali del Partito Comunista che lo accusa tramite la rivista culturale ufficiale del partito, "Il contemporaneo", fondata nel 1954 e diretta da Salinari e Trombadori, di deviare dalla via del realismo inserendo nelle sue opere elementi decadenti, irrazionalistici e vitalistici. Alla "Guerra Fredda" corrisponde una spartizione del mondo in due parti (a cui nel 1962 si aggiungerà una terza realtà che è quella del blocco dei cosiddetti "paesi non allineati" nata alla conferenza di Bandung), simbolicamente indicate nella carta geografica con due colori differenti, il blu per i paesi schierati con gli Stati Uniti e rosso per quelli che gravitano intorno all'Unione Sovietica. In seguito alla Conferenza di Yalta del 1945, che stabilisce la spartizione delle zone di influenza, l'Italia viene inserita nel gioco di alleanze della potenza americana. Nel nostro Paese, il lungo periodo inaugurato dalle elezioni politiche del 1948, che vedono la vittoria di De Gasperi e della Democrazia Cristiana e l'uscita di scena del blocco delle sinistre, viene vissuto in condizioni di sostanziale equilibrio politico: per quarantacinque anni si succederanno governi a guida democristiana il cui percorso è agevolato anche da quella conventio ad excludendum, grazie alla quale vengono respinte come forze di governo, le due frange estreme dello schieramento parlamentare (Msi, erede delle posizioni della Repubblica di Salò, e Pci) . Un Paese ancora impegnato sulla strada della ricostruzione della propria identità, materiale e spirituale. La quasi totalità degli italiani ancora era impegnata, per vivere, nei settori tradizionali- principe ancora l'agricoltura che all'inizio del 1950 assorbe ancora quasi il 50% della popolazione attiva, concentrata con picchi del 56-57% al Sud (Ginsborg) - a cui corrispondeva un basso tenore di vita legato, nel caso dell'agricoltura, all'arretratezza strutturale che rallentava la crescita e la produzione (unica eccezione quella delle aziende agricole, dinamiche, moderne e produttive della Pianura Padana). Ciò è legato sia ad una perdita di autorità del pater familias, per cui il figlio del mezzadro tende a non voler più seguire le orme del padre sia al fatto che il proprietario, dato il crollo dei profitti e gli alti prezzi del mercato, tende a vendere le proprie terre il più delle volte ai mezzadri stessi. Ugualmente nel sud Italia si avvia un processo di vendita di terra che, insieme alla legge del 1948 che stabilisce il sistema di crediti ipotecari rurali rimborsabili in quarant'anni, agevola la piccola proprietà contadina. La fine del protezionismo diede nuova vita all'economia del paese portandolo, quasi obtorto collo, a rimodernarsi. In breve tempo la produzione industriale, così sollecitata al dinamismo, supera quella di tutti gli altri settori e l'Italia da paese agricolo diviene una delle nazioni più progredite del continente. L'"urbanizzazione" cambia il volto del paesaggio umano e sancisce la morte dell'"homo italicus" (Asor Rosa) legato alla proprietà e alla coltivazione della terra, sovverte totalmente i precedenti rapporti di classe con la crescita esponenziale della classe operaia di fabbrica che sarà al centro delle lacerazioni che seguiranno questo primo periodo di ebbrezza e che trova sfogo nella dura politica antisindacale e persecutoria ai danni di operai di dichiarata fede comunista perseguita dalle imprese. Il clima sociale e politico si scalderà velocemente e le lotte, le manifestazioni, le repressioni e la rabbia sociale che questa realtà esacerberà tingeranno di nero molte pagine della storia politico- sociale della Prima Repubblica italiana. Il "miracolo economico" in realtà cova degli squilibri al suo interno. Ginsborg delinea perfettamente questa situazione: il boom si realizzò seguendo una logica tutta sua, rispondendo direttamente al libero gioco delle forze del mercato e dando luogo, come risultato, a profondi scompensi strutturali. Dunque, l'altro lato della medaglia vede quelle declinazioni obliate dalla vitalità del momento, i contraccolpi che cova al suo interno il "boom" e che, accanto al forte spaesamento culturale, genera bisogni difficilmente soddisfacibili, come la domanda aggiuntiva di case, ospedali e scuole essendo più rivolto alla produzione di beni privati, individuali o al massimo familiari a detrimento dei beni pubblici e dei servizi. Fomenta anche rancore sociale accanto alle rivendicazioni di nuovi diritti dei lavoratori, che cominciano a tradursi in fiammate di combattività, a partire dagli scioperi del 1962- che si concluderà con l'episodio tragico di Piazza Statuto - e soprattutto del 1969 con la rivendicazione di uguaglianza di salario e parità normative tra operai e impiegati (lo Statuto dei Lavoratori è del 1970). Le forme governative non sono pronte alla sfida che questi mutamenti sociali mettono in campo. Avvocato seguace della linea dura, della politica "legge e ordine", opportunista nelle sue strategie di alleanze, Tambroni non si schiera apertamente con l'ala destra o sinistra del suo partito e mantiene buoni rapporti sia con i dirigenti missini che del Psi (anche se sarà bollato come uomo di destra non solo per la politica perseguita contro i manifestanti ma perché ottenne la carica di presidente del Consiglio grazie al voto degli esponenti del Msi e dei monarchici). Tambroni risponde alle manifestazioni che si svolgono a Genova, a Roma e in Emilia Romagna nel 1960 in occasione del congresso nazionale dei missini che provocatoriamente annunciano di tenerlo a Genova, una delle patrie della Resistenza, merito riconosciutole istituzionalmente con una medaglia d'oro. La vicenda Tambroni, ci fa notare Ginsborg, ha il merito di chiarire una volta per tutte una costante della storia politica della nostra Repubblica: l'antifascismo è nel dna dell'ideologia egemone per cui qualsiasi velleità autoritaria o liberticida viene osteggiata fisicamente dalla massa e messa al bando. Inoltre questo episodio favorisce un avvicinamento della Dc con i socialisti con la conseguente avanzata delle sinistre alle elezioni. Nel gennaio 1961 viene eletto alla Casa Bianca il democratico John Kennedy che, dopo il rapporto stilato sulla situazione politica italiana da un suo funzionario, decide di appoggiare l'ascesa del Psi con il doppio scopo di oscurare il partito comunista -che aumenta il proselitismo di massa- e al contempo far uscire l'Italia dallo stallo in cui il vuoto riformista l'aveva incatenato. Un papa ieratico, lontano dal sentire della gente. "Riforme mancate e mancata riforma del sistema politico si intrecciano e si alimentano a vicenda, innescando un "cortocircuito perverso" che agisce in profondità, sotto l'apparente bonaccia che va dal superamento della crisi economica all'"esplosione" del 1968" . Togliatti si aprirà al policentrismo politico e culturale e caldeggerà il superamento dello schieramento ideologico dei due blocchi. Stalin è morto nel 1953 e nel corso del XX Congresso del Pcus, che si tenne a Mosca nel febbraio del 1956, il nuovo segretario Nikita Chruscev diffonde il rapporto segreto sui crimini nefandi commessi da Stalin, favorito in questo dal "culto della divinità" a cui aveva piegato non solo la popolazione ma anche tutti i suoi sodales. La tradizione culturale del comunismo italiano ha allora, con Togliatti e la sua necessità di "vie nazionali del socialismo", l'originalità di confondersi con quella liberale. Quest'ultimo aspetto è interessante perché testimonia un processo di unificazione nazionale frutto sia di un maggior intervento scolastico mirato all'aumento del tasso di alfabetizzazione sia dell'incontro di due realtà fino a quel momento agli antipodi, i contadini del sud e la classe operaia del nord. Affermato poeta e emergente cineasta, interviene nel dibattito sui caratteri dell'italiano nell'epoca del "miracolo economico" e dedica alla nuova questione linguistica una conferenza (apparsa sulla rivista "Rinascita" nel dicembre del 1964) dove denuncia un letale sovvertimento del tradizionale assetto dei rapporti comunicativi, inquinati dall'avvento dell'industrializzazione a-morale e selvaggia e alla diffusione sempre più massiccia della televisione che tende ad unificare al ribasso la lingua italiana dalla cui facies scompare, o comunque si erode irreversibilmente, la genuinità di un dialetto che si vede aggredito dai potenti mass media. I dati statistici sono a questo fine utile: nel 1958 solo il 12 percento delle famiglie italiane possiedono un televisore, nel 1965 la percentuale è già salita al 49, allo stesso modo il possesso di un frigorifero passa dal 13 al 55 per cento, quello di una lavatrice dal 3 al 23 mentre gli italiani che posseggono un'automobile passa da 342000 a 4670000. Cambiano le abitudini alimentari e il modo di vestire degli italiani. Tutto ciò avallato dallo Stato e dal suo lassismo, dalla pigrizia e inamovibilità dei governi che nel ventennio 1950-1960 concedono piena libertà all'iniziativa privata. Fu uno dei pionieri della critica serrata e violenta di questo nuovo stato di cose, sociale e politico e ferventi saranno gli attacchi che lancerà dalle pagine di quotidiani, in particolare il "Corriere della Sera". A lacerare il velo delle illusioni saranno, in campo politico-sociale, atti di terrorismo e violenza vigliacca che dopo il preludio sessantottino, dalla Strage di Piazza Fontana del 12 dicembre 1969 darà il via alla "strategia della tensione", allo stragismo nero e al fenomeno delle Br: vicende che tanto avviliranno la nostra democrazia. Il rifiutato è l'irruzione dell'estraneità e della diversità, l'oggetto inerte e passivo del rifiuto. L'essere del rifiutato è la sua povertà e la sua miseria inseparabili e irreparabili. Pasolini con la sua opera poetica, che contempla non solo la scrittura ma anche il cinema ("la lingua scritta della realtà"), offre al suo pubblico un ampio materiale di riflessione sulla figura del rifiutato, dell'emarginato e sulle sue implicazioni sociali, politiche e morali. Negli anni Sessanta la produzione culturale e artistica si sposta sul cinema perché ha una presa maggiore sul pubblico, è più sensibile alla quotidianità e fedele al paese che cambia. L'avventura del cinema lo porterà a viaggiare costantemente negli anni Sessanta. In Alì dagli occhi azzurri, un volume che raccoglie scritti tra il 1950 e il 1965, c'è un racconto in versi che presta il titolo alla raccolta, Profezia (1962-1964) in cui riversa la sua speranza nelle potenzialità rivoluzionarie dei popoli sfruttati del terzo mondo,essi sempre umili/essi sempre deboli/essi sempre timidi/essi sempre infimi/essi sempre colpevoli/essi sempre sudditi/essi sempre piccoli […] deponendo l'onestà/delle religioni contadine, /dimenticando l'onore/della malavita/tradendo il candore/dei popoli barbari, /dietro ai loro Alì/dagli occhi azzurri- usciranno da sotto la terra/per uccidere-/usciranno dal fondo del mare per aggredire/scenderanno dall'alto del cielo per derubare […]distruggeranno Roma/e sulle sue rovine/deporranno il germe/della Storia Antica. Accanto c'è anche il filone politico, di denuncia: Le mani sulla città di Francesco Rosi,1963, affronta il tema della speculazione edilizia a Napoli, o a Elio Petri, Marco Bellocchio (I pugni in tasca, 1965) etc. Accanto a questi registi Pier Paolo Pasolini è spinto al cinema dalla volontà di dare plasticità visiva alla sua immaginazione antropologica e poetica. Il suo è un cinema tutt'altro che consolatorio, non è foriero di speranze ed è colmo di rassegnazione e amarezza, sentimenti maturati in seguito al sopravvenire della crisi delle ideologie e allo sfigurarsi del mondo del "piccole patrie". Una nuova "Bibbia dei poveri". Un cinema che fa dell'intrattenimento piccolo-borghese una sorta di Moloch e che si staglia contro l'ipocrisia dei benpensanti attraverso l'esibizione del sesso senza veli, almeno finché il consumismo non farà della liberazione dai tabù sessuali un suo imperativo, trasformando lo stigmatizzato Pasolini in corifeo della nuova normalità borghese. In Pasolini il cinema si mostra da subito per ciò che è, "passione per la vita", un mezzo per portare la poesia nella realtà attraverso la chiarezza della prosa. "[…] Io amo il cinema perché con il cinema resto sempre al livello della realtà. Sempre del biennio 1968-69 sono La sequenza del fiore di carta e Porcile (a detta dell'autore, il suo film "che più tende al cinema di poesia") mentre successive altre significative produzioni, dall'Edipo Re (1967), a Medea (1969-'70), da la "Trilogia della vita" (stagione 1970-1974) che contempla Il Decameron I racconti di Canterbury Il fiore delle mille e una notte (una trilogia della "mancanza della vita", affermazione disperata di qualcosa che non esiste più) alla quale seguirà un documento scritto nel giugno 1975 (Abiura dalla Trilogia della vita) dove giustifica il suo gesto dell'abiura con la costatazione della scomparsa di quella gioventù capace di libertà e trasgressione a cui quasi lui inneggiava attraverso questi film. L'innocenza che lui aveva perseguito qui è cancellata dal meccanismo di emulazione dei modelli veicolati dalla televisione, figli della società capitalista che tutto ciò che tocca corrompe; alla violenza disarmante e demistificante di Salò o le Centoventi giornate di Sodoma (1975) in cui la rievocazione in chiave sado-masochista di un episodio della Repubblica fascista di Salò fa da metafora della situazione dell'Italia democratico-repubblicana; a cui avrebbe dovuto seguire Porno- Teo- Kolossal, progetto interrotto, insieme al suo romanzo Petrolio, dalla tragica fine dell'autore all'Idroscalo di Ostia. Riservandoci un'analisi più puntuale in un secondo momento, possiamo tuttavia cogliere la sua convinzione che sia in atto un mutamento socio- antropologico devastante, che oscura la prospettiva popolare della Storia spogliandola così del suo carattere "assoluto". Intuibile è, a questo punto, la sua netta condanna del movimento studentesco del 1968, da cui prende le distanze dichiarandosene estraneo perché avvertito come volontà di emancipazione piccolo- borghese. Lo stato d'animo del Pasolini degli ultimi anni è di "disperata vitalità": sa di non essere compreso. I suoi interventi si fanno sempre più numerosi e appassionati, ruotano intorno a ciò che Pasolini dice soggiacere alla base di questa drammatica realtà: l'esiziale vuoto democristiano, partito arroccato nel Palazzo per semplice tornaconto personale, l'inamovibilità del progressismo e gli errori tattici del Pci, la dissoluzione del mondo proletario- contadino. L'ingordigia dei governi di centro- sinistra che dominano la scena dal 1962 al 1968, rende sordi e ciechi i politici di fronte alle esigenze di un'Italia in rapido cambiamento. Le ragioni salienti del movimento studentesco vanno ricercate nelle riforme scolastiche degli anni Sessanta: con l'introduzione (1962) della scuola media dell'obbligo fino ai quattordici anni, si incentiva un livello di istruzione di massa oltre la scuola primaria ma contemporaneamente vengono alla luce le gravi carenze: dalla mancanza dei libri di testo alle gravissime lacune nella preparazione degli insegnanti, mai aggiornati. Il Sessantotto italiano nasce nelle università con la richiesta di un serio esame di coscienza alla cultura. Nel frattempo, nelle maglie comuniste torna in auge il pensiero marxista con la sua attenzione per i coni d'ombra aperti dallo sviluppo economico e la conseguente condizione della classe operaia. A completare il quadro, si aggiungono presto le influenze "terzomondiste" provenienti dall'America del Sud, a partire dalla morte di Che Guevara in Bolivia nel 1967 che diviene così il martire simbolo della rivolta. Siamo nell'autunno del 1967 e investe gli atenei a partire dalla facoltà di sociologia di Trento a cui seguono quelli di Milano, Torino, Pisa. La nuova lettura che viene data nel Sessantotto è libertaria e iconoclastica del materialismo storico. I lasciti saranno vari, non tutti della medesima natura: innegabile il forte impulso alla democratizzazione, alla modernizzazione e alla partecipazione con l'affermazione del primato dell'assemblea a detrimento della delega. Gli atti dimostrativi, provocatori, violenti e il disprezzo per le regole furono alla base del fallimento. Ebbero però l'intuizione della necessità di avere al proprio fianco gli operai, classe sociale sclerotizzata in una situazione intollerabile. La propaganda incendiaria inibisce qualsiasi istanza modernizzatrice, le modalità di rivendicazione sono corrotte da una torsione del marxismo e del leninismo, per cui la coronazione della lotta di classe si può ottenere solo per mezzo di un furore iconoclasta e casinista. Gli anni dal 1968 al 1972 vedranno un susseguirsi di tiepidi e brevi governi di coalizione, perlopiù di centro-sinistra, che tentano di mediare la protesta con una scialba politica riformatrice che favorirà l'istituzione delle Regioni, la regolamentazione del referendum abrogativo; in campo sociale la regolamentazione delle pensioni, la nascita (maggio 1970) per merito del socialista Giacomo Brodolini dello Statuto dei Lavoratori di cui si comincia da subito a fare largo uso, la conclusione della lunga lotta del Lid per l'introduzione del divorzio in Italia, intrapresasi dopo il progetto di legge del 1965 presentato dal socialista Fortuna, il cui iter parlamentare però venne bloccato dalla Democrazia cristiana. Una condizione di assoluta precarietà su cui si abbatterà la più grave crisi economica dopo quella del 1929 e che influirà sulle politiche economiche internazionali per tutti gli anni Settanta, conosciuta come crisi petrolifera perché generata dalla decisione dei paesi dell'Opec di aumentare del 70 per cento il prezzo del petrolio facendolo schizzare alle stelle e mostrando nella sua drammaticità la totale dipendenza dei paesi occidentali dall'esportazione del petrolio. Questa crisi si abbatte su una situazione internazionale già fortemente problematica: la rottura del sistema Bretton Woods con la conseguente incertezza sui mercati finanziari internazionali, la svalutazione del dollaro, l'esplosione dei tassi salariali europei, un eccesso di offerta sul mercato del lavoro e il rapido declino dei profitti. Interessante è l'analisi che fa dei motivi che soggiacciono a questo estremismo della "nuova sinistra" Silvio Lanaro. Si è molto discettato sull'anomalia del "bipartitismo imperfetto", sul blocco ultradecennale del quadro politico e sul "revisionismo" del Pci, accompagnato dalla tattica terzinternazionalista del far terra bruciata alla propria sinistra: e tuttavia non si è posto l'accento sullo scotoma idiomatico di cui soffre chi vive in un paese privo nel lungo periodo di tradizioni liberali, e dunque costretto ad articolare le proprie concettualizzazioni (e le proprie azioni) a seconda di quanto gli offre il mercato delle idee e dei linguaggi. Immediata l'accusa da parte di polizia e governo alle frange anarchiche con l'individuazione dei responsabili nel ballerino Valpreda (che dopo aver trascorso tre anni in galera, solo nel 1985 sarà prosciolto da ogni accusa) e nel ferroviere Pinelli che "cadrà" dalla finestra dell'ufficio del commissario Calabresi durante l'interrogatorio. Alla strage del 12 dicembre e alla tensione successiva si richiamerà il primo documento del Collettivo Politico metropolitano, da cui nasceranno le Brigate Rosse, gruppo che rimarrà isolato fino alle elezioni del 1972, quando il terrorismo si colora anche di rosso con l'incruento ma emblematico sequestro di un dirigente della Sit- Siemens. Nel marzo del 1972, al XIII Congresso del partito, viene eletto segretario Enrico Berlinguer. Alla strage di Piazza Fontana se ne aggiungono presto altre: Piazza della Loggia a Brescia, attentato al treno "Italicus" nel 1974 e attentato alla stazione di Bologna del 2 agosto 1980. L'unico argine, nell'opinione di Berlinguer, sarebbe stata allora una grande alleanza che si concretizzasse politicamente in un accordo con la Dc, presentandolo come una strategia in cui comunisti e cattolici avrebbero condiviso un medesimo codice morale con il quale risollevare le sorti del paese. Questa strategia avrebbe avuto il merito indiscutibile di porre il Pci al centro della scena politica dopo anni di evanescenza. La sensazione che si ha è di essere di fronte alla nemesi del Partito democristiano, come si coglie dall'esigenza pasoliniana di un "Processo etico" al "Potere", ossia al partito che lo ha incarnato, al fine di riscrivere delle regole civili universali e inviolabili. A Pasolini il "coraggio intellettuale della verità" non manca: Io so. Io so i nomi dei responsabili della strage di Milano del 12 dicembre 1969. Io so i nomi dei responsabili della strage di Brescia e di Bologna dei primi mesi del 1974. […] Io so tutti questi nomi e so tutti i fatti (attentati alle istituzioni e stragi) di cui si sono resi colpevoli. Colpa da cui discende la necessità di un processo, un "Processo come metafora" con cui "determinare nel paese una nuova coscienza politica" sancendo definitivamente la fine di "un'epoca millenaria di un certo potere", rendendo preclara una verità fondamentale, "che governare e amministrare bene non significa più governare e amministrare bene in relazione al vecchio potere bensì in relazione al nuovo potere", ossia alle esigenze etiche della collettività civile. Le successive elezioni politiche, 20 giugno 1976 -le prime aperte anche ai giovani tra i 18 e i 21 anni-, confermano la salita del Pci che con il 34,4 per cento dei voti si avvicina alla Dc che resta stabile al 38,7 per cento, grazie alla grande borghesia che fa quadrato intorno al partito (storico l'invito del più famoso giornalista conservatore italiano e direttore del "Giornale Nuovo", Indro Montanelli, a votare Dc "turandosi il naso") mentre il Psi esce indebolito (nel 1976 il segretario De Martino verrà sostituito da un esponente dell'ala destra del partito, Bettino Craxi). I due governi Andreotti che si susseguono tra il 1976 e il 1978 e che includono il Pci nell'area di governo, passeranno alla storia come governi di "solidarietà nazionale" all'interno dei quali si appannerà la diversità comunista, grazie anche all'abilità del fine statista Aldo Moro, che con l'ambiguità e la sottigliezza del suo linguaggio, favorisce il graduale inserimento del Pci nelle logiche del sistema dei partiti, processo vissuto come un tradimento da quegli elettori che avevano riposto vitali speranze in un partito per cui Pasolini spende queste parole: la presenza di un grande partito di opposizione come il Partito Comunista italiano è la salvezza dell'Italia e delle sue povere istituzioni democratiche. A provocare il fallimento della "solidarietà nazionale" è proprio l'assenza del soggetto "nazionale" con cui unanimemente si indica un agglomerato sociale relativamente uniformato da comportamenti e valori comuni. Questo avvenimento scuote le fondamenta del sistema spingendo alla riflessione parte della società civile sull'importanza di beni immateriali usurati fino a quel momento. La presa di coscienza di Berlinguer del fallimento del "compromesso storico", si ha a Genova dove, nel settembre 1978, durante la festa nazionale dell'"Unità" rivolgendosi alla folla dirà che è giunto il momento in cui "si possono e si devono cambiare" gli equilibri politici del paese. Tuttavia, la rottura della solidarietà nazionale segnerà anche il declino del Pci. Nelle manifestazioni giovanili del 1968, diviene inviso agli studenti, e a larga parte del Pci, per la netta posizione che assume. Individua una forte ambiguità nel movimento, all'interno del quale scorge elementi piccolo-borghesi. La polemica contro/il Pci andava fatta nella prima metà/del decennio passato. siamo ovviamente d'accordo con l'istituzione/della polizia.//a Valle Giulia ieri, si è così avuto un frammento/di lotta di classe: e voi cari (benché dalla parte/della ragione) eravate i ricchi/mentre i poliziotti (che erano dalla parte/del torto)erano i poveri. /Un borghese redento deve rinunciare a tutti i suoi diritti, /o bandire dalla sua anima, una volta per sempre/l'idea del potere. Il "perturbatore della quiete" Pasolini, ospite scomodo della cultura italiana, negli ultimi anni della sua vita sente il bisogno cocente di confrontarsi con l'opinione pubblica, atterrito da ciò che vede: un'omologazione incalzante di costumi e moralità cui si doveva celermente fuggire e contro cui doveva lanciare i suoi strali anche a costo di attirarsi critiche aspre, come fu. Nel frattempo, prende a scrivere caustici pamphlet politici nella prima pagina del "Corriere della sera" (possibilità che gli è data dalla successione a Giovanni Spadolini come direttore di Piero Ottone, più liberale e pronto a violare il moderatismo borghese a favore di una più vivace dialettica politica, al cui fine venne creata una "Tribuna aperta"). I bersagli di Pasolini sono il consumismo, l'esercizio democristiano del potere, il permissivismo nei giovani e la linea ufficiale dei comunisti. Il fine è quello di provocare accese polemiche, assumendo anche posizioni inaspettate, come nel caso del referendum sull'aborto del maggio 1974 la cui vittoria viene aspramente criticata da Pasolini perché dissolve definitivamente l'identità contadina, lasciando un vuoto riempito dalla "borghesizzazione", dai valori vacui ed effimeri di un consumismo sfrenato. La vertiginosa salita del Pci alle elezioni amministrative del giugno 1975, offre a un Pasolini galvanizzato da questa novità politica, da quella che sembra una nuova primavera nata da una restaurazione della sinistra -favorito anche dal consenso accordatogli dai ceti medi, i quali sembrano rispondere a quel sentimento di legittimità costituzionale che suscita nei confronti del Pci il terrorismo di destra-, l'occasione per delineare un suo personale progetto di riforma che prevede l'abolizione immediata della scuola media dell'obbligo e della televisione. Nei confronti del successo elettorale comunista però Pasolini tiene un atteggiamento di distacco . I "fascisti di sinistra" dal punto di vista della prassi, sono frange attive all'interno del partito e simili impurità rischiano di far perdere di vista le necessità della Storia. "Io mi sono sempre opposto al Pci con dedizione, aspettandomi una risposta alle mie obiezioni. Accanto alle passioni, l'eros e le abitudini sono recidive. Nei suoi vagabondaggi notturni si riverbera il deragliamento della società italiana. Sarà vittima di aggressioni, conati di violenze e intolleranza fino al triste epilogo: l'alba del 2 novembre 1975 consegna al mondo il corpo di Pasolini abbandonato su un anonimo terreno dell'Idroscalo di Ostia. Ogni società sarebbe stata contenta di avere Pasolini tra le sue fila. Poi abbiamo perso un regista che tutti conoscono, […] ha fatto una serie di film alcuni dei quali sono ispirati al suo realismo che io chiamo romantico ossia, un realismo arcaico, gentile e al tempo stesso misterioso; altri ispirati ai miti, al mito di Edipo ad esempio, poi ancora al mito del sotto-proletariato il quale è apportatore […] di una umiltà che potrebbe portare ad una palingenesi del mondo. Lì si vede questo schema del sottoproletariato. Lo schema dell'umiltà dei poveri Pasolini l'aveva esteso in fondo al Terzo Mondo e alla cultura del Terzo Mondo. […] Allora il saggista era una novità (che) corrispondeva al suo interesse civico e qui si viene ad un altro aspetto di Pasolini cioè, benché fosse uno scrittore con dei frammenti decadentistici, benché fosse estremamente raffinato e manieristico tuttavia aveva un'attenzione profonda per i problemi sociali del suo paese, per lo sviluppo di questo paese. Gli anni del boom economico italiano vedono un'incontrollabile e apparentemente solida crescita industriale a cui si accompagna un decisivo aumento del reddito e il conseguente espandersi dei consumi privati. Questa visione idilliaca è turbata tuttavia da alcune degenerazioni del sistema. La deflagrazione industriale, l'impennata della produzione settoriale e la diffusione del benessere hanno come contraltare una serie di sovvertimenti sociali che si manifestano sempre in maniera più evidente e che vanno dall'abbandono delle terre nel Meridione alla convivenza coatta nelle città industrializzate tra culture antitetiche e sconosciute sino a quel momento l'una all'altra al vuoto etico generato dalla perdita di quei valori diacronici, consolidati e comuni che informavano la vita relazionale. dove non c'è libertà ma un nuovo "dentro": il "penitenziario del consumismo" i cui "personaggi principali" sono i giovani. Il fenomeno della perdita non risarcita dei valori è devastante sui giovani, è l'ipoteca più amara che grava sul loro futuro e la caduta del prestigio irrelato dei valori culturali non poteva non produrre una mutazione antropologica, una crisi. È un sostituto della magia […] Ernesto De Martino lo chiama "paura della perdita della propria presenza" e i primitivi, appunto, riempiono questo vuoto ricorrendo alla magia, che lo spiega e lo riempie. Nel mondo moderno, l'alienazione dovuta al condizionamento della natura è sostituita dall'alienazione dovuta al condizionamento della società: passato il primo momento di euforia (illuminismo, scienza applicata, comodità, benessere, produzione e consumo), ecco che l'alienato comincia a trovarsi solo con se stesso: egli quindi, come il primitivo, è terrorizzato dall'idea della perdita della propria presenza . Alla distruzione anomica del mondo popolare, sottoproletario e delle borgate che favorisce certi fenomeni di alienazione psichica, è imputabile il clima di criminalità brutale che si diffonderà in Italia. La crisi della cultura fa sì, infatti, che molti giovani siano letteralmente ignoranti. La società viene reificata dalla nuova realtà economica. In una lettera al suo amico Alberto Moravia esprime tutto il suo disagio esistenziale, la sua rabbia e la sua disperazione fisica di fronte al cataclisma che sta investendo la società italiana, Il consumismo consiste in un vero e proprio cataclisma antropologico: e io vivo, esistenzialmente, tale cataclisma che, almeno per ora, è pura degradazione: lo vivo nei miei giorni, nelle forme della mia esistenza, nel mio corpo. Nel delineare il profilo strutturale della nuova società edonistica e consumistica si serve molto della descrizione delle relazioni individuali e del significato che queste acquistano. Pasolini parla di "genocidio" richiamandosi a Marx, intendendo dunque una totale sostituzione di valori, il genocidio: ritengo cioè che la distruzione e sostituzione di valori nella società italiana di oggi porti, anche senza carneficine e fucilazioni di massa, alla soppressione di larghe zone della società stessa. Non è del resto un'affermazione totalmente eretica e eterodossa. Oggi l'Italia sta vivendo in maniera drammatica per la prima volta questo fenomeno: larghi strati, che erano rimasti per così dire fuori della storia- la storia del dominio borghese e della rivoluzione borghese- hanno subito questo genocidio, ossia questa assimilazione al modo e alla qualità di vita della borghesia . La dignità della povertà, elemento caratteristico del mondo contadino e che racchiude quasi in una dimensione sacra il mito pasoliniano, si perde nelle borgate romane degli anni Settanta (unica consolazione per lui sarà la realtà contadina del Terzo Mondo). Sentivano l'ingiustizia della povertà, ma non avevano invidia del ricco, dell'agiato. È attratto dal sottoproletariato di cui delinea il profilo in una delle riflessioni fatte nel corso di una serie di incontri tenutesi nel 1975 con il giornalista inglese Peter Dragadze e che lui stesso definisce un "testamento spirituale- intellettuale", mi attrae nel sottoproletariato la sua faccia, che è pulita (mentre quella del borghese è sporca); perché è innocente (mentre quella del borghese è colpevole), perché è pura(mentre quella del borghese è volgare); perché è religiosa (mentre quella del borghese è ipocrita), perché è pazza (mentre quella del borghese è prudente); perché è sensuale (mentre quella del borghese è fredda); perché è infantile (mentre quella del borghese è adulta); perché è immediata (mentre quella del borghese è previdente), perché è gentile (mentre quella del borghese è insolente), perché è indifesa (mentre quella del borghese dignitosa), perché è incompleta (mentre quella del borghese è rifinita), perché è fiduciosa (mentre quella del borghese è dura), perché è tenera (mentre quella del borghese ironica), perché è pericolosa (mentre quella del borghese è molle), perché è feroce (mentre quella del borghese è ricattatoria), perché è colorata (mentre quella del borghese è bianca) . Pasolini non volge la tua attenzione alla caotica realtà del Nord dove le borgate sono popolate da immigrati spuri, fagocitati dal sistema neocapitalista industriale al quale hanno volontariamente aderito abbandonando le loro terre al Sud. Piuttosto trova analogie tra la cultura del sottoproletariato meridionale e la cultura contadina di quello che chiama Terzo Mondo. Individua l'errore dell'Italia nella rapidità del cambiamento e ricorda spesso nei suoi scritti come il passaggio nel secondo dopoguerra dalla società preindustriale agricola e commerciale a quella industriale sia avvenuta in soli venti anni. Il neocapitalismo è includente, unificante, tende ad inglobare creando una "unità del mondo". Tutto questo perché il neocapitalismo coincide insieme con la completa industrializzazione del mondo e con l'applicazione tecnologica della scienza. Sicché l'unità del mondo (ora appena intuibile) sarà un'unità effettiva di cultura, di forme sociali, di beni e di consumi . (Non so quindi cosa farmene di un mondo unificato dal neocapitalismo, ossia da un internazionalismo creato, con la violenza, dalla necessità della produzione e del consumo) . Per Pasolini appare di precipua importanza rifondare i modelli culturali, teorici rinnovando l'analisi marxista e della sinistra del tempo. Il capitalismo cui si riferisce Pasolini non è più quello statico, meno interessato dagli effetti della tecnologia che caratterizzò la prima fase industriale; non a caso lui parla di "neocapitalismo", dominato da una classe borghese almeno potenzialmente egemone, che informa la società dei suoi peculiari valori e caratterizzato, a differenza del vecchio capitalismo, dalla mercificazione della cultura attraverso l'industria culturale e favorito in questo dalla nascita e dalla rapida diffusione su larga scala di mezzi di comunicazione di massa, tra cui domina la televisione. La crescita industriale schizofrenica non permette dunque alle classi sociali di sedimentarsi ma al contrario le obbliga a formarsi in brevissimi lassi temporali. Giulio Sapelli nel suo testo marca la distanza della realtà italiana sia da quella inglese dove, come Engels testimonia nella sua celebre opera del 1845, Condizione della classe operaia in Inghilterra, la formazione del proletariato prende corpo già nell'Ottocento, sia da quella francese e tedesca dove il proletariato è concomitante all'espansione della borghesia. Non siamo di fronte ad una lenta trasformazione culturale, dice Pasolini, ma ad una vera e propria rivoluzione, una "rivoluzione antropologica". Il rifiuto della modernizzazione è assoluto e disperato. La cultura italiana è cambiata nel vissuto, nell'esistenziale, nel concreto. La tolleranza è l'aspetto più atroce della falsa democrazia . Quello messo in atto dall'edonismo interclassista è in realtà un subdolo razzismo che ha il volto della discriminazione per cui l'unico modello accettato è quello della normalità piccolo- borghese veicolato dalla pubblicità. Che viene dunque mimato di sana pianta, senza mediazioni, nel linguaggio fisico- mimico e nel linguaggio del comportamento nella realtà. […] Appunto perché perfettamente pragmatica, la propaganda televisiva rappresenta il momento qualunquistico della nuova ideologia edonistica del consumo: e quindi è enormemente efficace . Ecco allora cosa rimpiange Pasolini, non l' "Italietta" ma l'universo gaio dei contadini e degli operai prima dello Sviluppo. Io credo che non solo sia la salvezza della società: ma addirittura dell'Uomo. Una orrenda "Nuova Preistoria" sarà la condizione del neocapitalismo alla fine dell'antropologia classica, ora agonizzante. L'industrializzazione sulla linea neocapitalistica disseccherà il germe della Storia . È un marxista sui generis Pasolini, non possiede l'elemento principale dei marxisti: la fede nel progresso sociale. "Illuminismo culturale". Il sacro è l'elemento dell'esperienza sottratto alla materialità della vita quotidiana, alla sua relazione immediata con la sfera della vita biologica, e soprattutto con quella della vita raziocinante […] una "sospensione della ragione" che affida l'uomo ad una potenza spirituale più grande e da lui separata […] rappresenta qualcosa di diverso dalla religione, che è diffusa a livello di massa . La crisi della chiesa diventa crisi del sacro. L'ideologia illuministica del capitalismo fa vacillare una delle due uniche possibili resistenze al suo trionfo, l'atavico sentimento cattolico italiano. Richiamandosi al concetto di Engels (Antiduhring, 1878) per cui il socialismo è l'affermazione del passaggio dell'umanità dalla preistoria alla storia, Pasolini ribatte al giudizio espresso dal suo intervistatore Alberto Arbarsino che valuta la diffusione della ricchezza e l'accesso di larghi strati popolari al benessere mai conosciuto prima un fatto positivo perché segna la "liberazione dal bisogno, dalla paura, dal ricatto della fame", con queste parole: Sai cosa mi sembra l'Italia? Un tugurio i cui i proprietari sono riusciti a comprarsi la televisione, e i vicini, vedendo l'antenna, dicono, come pronunciando il capoverso di una legge "Sono ricchi! Stanno bene!". Alla domanda di Arbasino "Tu cosa vedi?", la risposta è illuminante: Due Preistorie: la Preistoria arcaica del Sud, e la Preistoria nuova nel Nord. La consistenza delle due Preistorie (e la lenta fine della Storia, che si identifica ormai soltanto nella razionalità marxista), mi rende un uomo solo, davanti ad una scelta egualmente disperata: perdermi nella preistoria meridionale, africana, nei reami di Bandung, o gettarmi a capofitto nella preistoria del neocapitalismo, nella meccanicità della vita delle popolazioni ad alto livello industriale, nei reami della Televisione. La marxista liberazione dell'uomo non avviene a seguito della serie di cambiamenti che l'avvento della tecnologia mette in atto, non si entra nella Storia ma in una nuova preistoria, quella del cupio dissolvi, dello stillicidio culturale ben rappresentato dalla televisione e voluto dal capitalismo "caro ai liberali", depositari di un'ideologia tipicamente borghese. Tutti i mali del mondo si identificano per me nella borghesia, intendendo naturalmente non il singolo individuo, ma la classe nel suo insieme e per quello che essa rappresenta . Questa borghesia per la prima volta nella storia della società italiana si pone non più come classe dominante, ma come classe egemonica. Per cui si forma una classe borghese avulsa dalle altre, contraddittoria in se stessa perché mentre dovrebbe essere protestante e liberale, nasce nel segno della Controriforma, in un mondo di contadini. Durante un intervento al congresso del partito liberale, delinea il profilo degli "sfruttatori" della seconda rivoluzione industriale, quella tecnologica, consumistica, che non sono più identificabili come coloro che semplicemente producono merci ma "nuova umanità", nuovi rapporti sociali. b) è un medium di massa […] è manipolata per ragioni extra- culturali, e la sua diffusione deve tenere anticipatamente conto del bassissimo livello medio della cultura dei destinatari, a cui si asserve per asservirli. Non può che dire, da intellettuale, "no" alla televisione (eccetto una collaborazione a Tv 7 che accetta perché la ritiene una forma di contestazione alla televisione fatta dall'interno) perché non individua in questo strumento un'autonomia propria, concreta tipica invece del giornalismo o del cinema o dell'insegnamento (in realtà Pasolini individua un momento autonomo della televisione, la "presa diretta", il cui linguaggio però stenta ad affermarsi). L'idiosincrasia di Pasolini è totale, viscerale. È per questo che Pasolini sente su di sé il dovere civico e intellettuale di proporre una radicale riforma al sistema televisivo e al suo "culturame": Bisogna rendere la televisione partitica e cioè, culturalmente, pluralistica. Ogni Partito avrebbe diritto alle sue trasmissioni […], al suo telegiornale […] e dovrebbe gestire anche altri programmi . La televisione inoltre mette in atto un altro cambiamento: avvia un processo di reificazione al ribasso della koinè linguistica. Pasolini si sofferma molto su questo aspetto perché nella sua analisi la lingua è un elemento imprescindibile dal momento che è dall'ordito del linguaggio che si studia la società nella sua immediatezza. L'ethos borghese tende ad essere introiettato dalla nuova società e ad informare di sé lavoro, disciplinamento sociale e selezione culturale. La cultura italiana è cambiata nel vissuto, nell'esistenziale, nel concreto. Il cambiamento consiste nel fatto che la vecchia cultura di classe (con le sue divisioni nette: cultura della classe dominata, o popolare, cultura della classe dominante, o borghese, cultura delle elites) è stata sostituita da una nuova cultura interclassista: che si esprime attraverso il modo di essere degli italiani, attraverso la loro nuova qualità di vita . Il consumismo altro non è che una nuova forma totalitaria- in quanto del tutto totalizzante, in quanto alienante fino al limite estremo della degradazione antropologica, o genocidio (Marx)- e che quindi la sua permissività è falsa: è la maschera della peggior repressione mai esercitata dal potere sulle masse dei cittadini . Afasia intellettuale, falsa tolleranza, interclassismo edonista: questo il risvolto drammatico della nuova società neocapitalistica che si presenta inerme, come un re nudo agli occhi di Pasolini. Il pessimismo storico di Pasolini è totale (" […] sono disperatamente pessimista"). Nei teppisti meridionali non c'è un'inconscia protesta moralistica, ma un'inconscia protesta sociale: essi non appartengono […] alla classe borghese […] ma al popolo o al sottoproletariato […] non commettono reati gratuiti, ma reati ben giustificati dalla necessità economica e dalla diseducazione ambientale . Il più emblematico cambiamento nelle abitudini degli italiani, il più lento ma al contempo più parossistico, riguarda la sessualità, fino ad allora il più forte tabù sociale. Non si può tornare indietro, la tradizione ha ceduto alla modernizzazione, all'edonè consumista: Pasolini è apocalittico. Un'analisi dettagliata e chiara ce la offre Sapelli che ci richiama alla memoria l'"economia delle aspettative" scoperta dai grandi classici dell'economia, tra cui spicca Keynes i cui studi sulla logica del consumo descrivono a livello teorico i mutamenti individuati da Pasolini. Oggi, la mancanza di determinati beni privati porta addirittura ad una sorta di isolamento all'interno della società" . Troppo manichea, la posizione di Pasolini a tratti si lascia andare forse troppo al catastrofismo, la sua visione apocalittica inficia l'oggettività dell'analisi. Turba il sistema produttivo, è di ostacolo all'affermazione del neocapitalismo nelle sue diverse accezioni, "anzitutto l'omosessualità è totalmente distaccata dalla produttività puramente umana, quella della specie, nel senso che influirebbe piuttosto negativamente sullo sviluppo demografico se si generalizzasse" . Questo fomenta il disprezzo di Pasolini verso la borghesia, lo assolutizza. Il borghese non subisce questa anomia, non partecipa della sofferenza della classe proletaria e contadina, del disagio dei borgatari ma al contrario "non hanno fatto altro che aggiornare i loro modelli culturali" per cui può affermare stentoreamente di non nutrire alcuna pena per una classe sociale che non ha fatto altro, come afferma Marx nel Manifesto del 1848, che mostrare la sua natura solipsistica tesa ad assimilare tutto a se stessa. L'assoluta (apparente) libertà sessuale, ossia il libero arbitrio sul nostro corpo, è alla base di un pensiero complesso, se vogliamo anche distorto, di Pasolini che parte dall'analisi della "nuova donna" calata all'interno della rivoluzione delle classi medie: l'essere-nel-mondo è esattamente questo, sperimentare le nuove realtà e "codificarle" per farne, conformisticamente, delle abitudini. Il meccanismo di codificazione normativa che un tempo era della matrona, della padrona di casa, ora è della "nuova donna", istruita e colta, borghese e libera nelle sue scelte politiche e sessuali. Ecco il cambiamento antropologicamente drammatico indicato da Pasolini: la piccola borghesia fa propri i comportamenti tipici della destra più gretta e intollerante. Nel corso di un dibattito con la redazione di "Roma giovani" del 1974 alla domanda sul ruolo del Sessantotto nella sua critica all'alienazione della società capitalistica e di conseguenza sulla costruzione di un nuovo discorso politico e culturale, Pasolini risponde con un secco "no". La scissione avvenuta, per opera della classe dominante, tra "progresso" e "sviluppo" viene imputata da Pasolini anche alla sinistra e alla cultura cattolica le quali avrebbero dovuto assumere su di loro la responsabilità del momento, avvertirne l'urgenza e impegnarsi al fine di tutelare i valori. Questa esortazione si collega ad uno degli interventi più dissacratori e oracolari di Pasolini, intitolato "Bologna, città consumista e comunista", contenuto nelle Lettere Luterane, una raccolta di articoli e saggi politici molto pugnaci e demistificatori del sistema di potere italiano, usciti di volta in volta sul "Corriere della Sera", su "Mondo" e su "Vie Nuove" nel corso del 1975. Nel saggio sopracitato descrive il suo strazio nel constatare come anche sull' Emilia, e sulla sua amata Bologna nello specifico, si sia diffuso lo spettro della modernizzazione capitalistica che con la sua furia distruttrice ha demolito alla base la possibilità (ai suoi occhi un tempo concreta) di realizza