Nell'elaborato è stata proposta un'analisi del processo militare internazionale per l'Estremo Oriente (IMTFE), che nel secondo dopoguerra ha portato alla condanna dei maggiori leader nipponici. Così come accaduto a Norimberga, anche la parte asiatica dell'Asse ha dovuto affrontare le conseguenze della propria condotta militare negli anni che vanno dal 1928 al 1945, comprendendo quindi un lasso di tempo discretamente ampio, che ha segnato profondamente la società giapponese. Proprio partendo dalla formazione dello stato moderno nipponico, è stato quindi tracciato un percorso in cui sono stati evidenziati i punti focali e le ragioni che hanno spinto il paese del Sol Levante all'allineamento con i fascismi europei e, conseguentemente, allo scatenamento di una guerra caratterizzata da violenze sistematiche e soprusi. Nella prospettiva dello sviluppo del diritto umanitario e della giustizia internazionali, gli eventi che sono occorsi a Tokyo tra il 1946 e il 1948 meritano di essere presi in esame e valutati nel suo complesso.
Negli anni del regime fascista l'ideale della donna come «angelo del focolare» si conciliava male con la partecipazione femminile alle attività sportive. Il fascismo, tuttavia, riservò una grande attenzione allo sport, servendosene sia come fattore di educazione e socializzazione delle masse, sia come veicolo di propaganda. La vicenda di Ondina Valla – vincitrice della corsa degli 80 metri a ostacoli alle Olimpiadi del 1936 – racchiude in sé questa contraddizione, giacché da un lato il regime intendeva utilizzare a livello propagandistico i successi dell'atleta, dall'altro si trovava di fronte a una figura che non rifletteva il modello di donna che si voleva imporre. La vicenda di Ondina Valla – vincitrice della corsa degli 80 metri a ostacoli alle Olimpiadi del 1936 – racchiude in sé questa contraddizione, giacché da un lato il regime voleva utilizzare a livello propagandistico i successi dell'atleta, dall'altro si trovava di fronte a una figura che non rifletteva l'ideale di donna che si voleva imporre. Il successo olimpico del 1936 contribuì, almeno in parte, a cambiare la percezione dello sport femminile e, più in generale, del ruolo della donna nella società da parte della pubblica opinione. ; During the fascist dictatorship, the women's participation in sport activities was in contrast with for the model of woman as "angelo del focoloare" and mother of soldiers. An evidence is given by the non-participation of Italian female athletes at the 1932 Olympic Games. Fascism, however, paid great attention to sport, exploiting it for both education of masses and propaganda. In such a way Mussolini's regime launched a model which later would have been used by a number of dictators (think to the Nazi Germany, to the communist regimes during the Cold War, to the Latin-American dictatorships). The story of Ondina Valla – winner of the 80 metres hurdles race at the 1936 Olympic Games - en-compasses this contradiction, because on the one hand the government wanted to use her successes for political purpose; on the other hand, she was a figure which did not reflect the conception of the ideal woman endorsed by fascist ideology. The 1936 Olympic victory contributed, at least in part, to change the perception of women's sport and, more in general, of the women's role in society by the public opinion.
National audience ; Dans un contexte régional où la position chinoise devient de plus en plus forte et inquiétante, les Jeux Olympiques de Tokyo auraient pu representer une occasion importante pour Tōkyō de se débarrasser de l'image de Pays en difficulté pour se (ré) attribuer ensuite à une nation économiquement et politiquement solide, avec une vision géopolitique claire à long terme.Cet article part de l'hypothèse que Tōkyō 2020 aurai pu se transformer dans un événement visant à faire comprendre aux gensau reste de la région dans quelle mesure le Japon est encore capable de jouer un rôle décisif en Asie, en tant que principal point de référence sur les plans politique, économique et technologique.
National audience ; Dans un contexte régional où la position chinoise devient de plus en plus forte et inquiétante, les Jeux Olympiques de Tokyo auraient pu representer une occasion importante pour Tōkyō de se débarrasser de l'image de Pays en difficulté pour se (ré) attribuer ensuite à une nation économiquement et politiquement solide, avec une vision géopolitique claire à long terme.Cet article part de l'hypothèse que Tōkyō 2020 aurai pu se transformer dans un événement visant à faire comprendre aux gensau reste de la région dans quelle mesure le Japon est encore capable de jouer un rôle décisif en Asie, en tant que principal point de référence sur les plans politique, économique et technologique.
National audience ; Dans un contexte régional où la position chinoise devient de plus en plus forte et inquiétante, les Jeux Olympiques de Tokyo auraient pu representer une occasion importante pour Tōkyō de se débarrasser de l'image de Pays en difficulté pour se (ré) attribuer ensuite à une nation économiquement et politiquement solide, avec une vision géopolitique claire à long terme.Cet article part de l'hypothèse que Tōkyō 2020 aurai pu se transformer dans un événement visant à faire comprendre aux gensau reste de la région dans quelle mesure le Japon est encore capable de jouer un rôle décisif en Asie, en tant que principal point de référence sur les plans politique, économique et technologique.
Entro il 2030, Tokyo ridurrà del 26% le proprie emissioni rispetto al livello del 2013. Un impegno che si è rinnovato con la pubblicazione di una strategia di lungo periodo che, se da un lato, punta ad una crescita sostenibile e a basse emissioni, dall'altro rimane ancora fortemente ancorata al nucleare e alle fonti fossili.
Il lavoro analizza con puntualità la decisione della Corte di Giustizia UE dell'11 giugno 2020, resa nella causa C-74/19. In tale direzione esso, dopo aver ricostruito il significato da attribuire alle cosiddette "circostanze eccezionali" basandosi sulle precedenti interpretazioni del reg. (CE) n. 261/2004 operate dalla Corte di giustizia, nel tratteggiare i profili di novità della decisione, opera un'approfondita disamina della normativa internazionale ed europea adottata per garantire la sicurezza a bordo degli aeromobili. ; The paper analyzes the decision of the EU Court of Justice of 11 June 2020, C-74/19. In this direction, it outlines the meaning of the so-called "extraordinary circumstances", based on the previous interpretations of the art. 5.3 of the reg. (EC) no. 261/2004 carried out by the Court of Justice. It, also, emphasizing the novelty profiles of the decision, carries out a detailed examination of the international and European legislation adopted to prevent and sanction the violent behavior of passengers, committed on board aircraft.
Dal 23 luglio all'8 agosto si sono celebrati i Giochi della XXXII Olimpiade, mentre il 24 agosto sono iniziati i XVI Giochi Paralimpici, destinati questi ultimi a chiudersi l'8 settembre. Poiché l'evento paralimpico nasce ufficialmente a Roma nel 1960, Tokyo è la prima città ad aver ospitato per due volte i Giochi Paralimpici, dopo l'edizione del 1964. Le eccezionali condizioni dettate dalla pandemia hanno da un lato esaltato la capacità organizzativa delle autorità pubbliche nipponiche, ma d'altro canto frustrato una serie di effetti positivi che il Paese organizzatore dei Giochi si attendeva legittimamente di registrare. Analogamente alla strategia italiana, il Governo giapponese prende in considerazione alcuni parametri-chiave per delineare, a livello sub-statale, le contromisure da adottare per arginare la diffusione del contagio da Covid-19.
The memoirs of Guglielmo Scalise and the origins of the entente between Italy and Japan leading to the Tripartite Pact Guglielmo Scalise (1883-1975) was a pioneer of Japanese Studies in Italy, especially in the literary field. Moreover, he served as a military attaché in Tokyo from October 1934 to June 1939. In his memoirs, which were published in 1972, the story is also told of his role in one of the phases of the process that ultimately led to the Tripartite Pact of 1940 between Germany, Japan and Italy. More precisely, he dealt with the negotiations on a bilateral military agreement between Italy and Japan only, which overlapped with those between the three countries. This paper discusses the difference between certain key points in Scalise's memoirs, including his criticism of Galeazzo Ciano, and the more usual historical reconstruction.
Tale lavoro indaga in una prospettiva diacronica lo sviluppo delle relazioni tra la Russia ed il Giappone durante l'età contemporanea, al fine di evidenziarne i caratteri di continuità e discontinuità ed analizzarne l'attuale stato, con la possibilità ultima di valutarne potenziali linee future d'evoluzione. L'elaborato è ripartito in tre capitoli. Il primo di questi descrive l'instaurazione e lo sviluppo delle relazioni tra l'Impero russo e l'Impero giapponese dalla metà del XIX secolo fino alla caduta dell'Impero zarista ed alla costituzione dell'Unione Sovietica. Il secondo capitolo analizza lo sviluppo delle relazioni tra il Giappone Showa e l'Unione Sovietica fino alla fine della Guerra fredda. Il terzo capitolo, infine, studia l'evoluzione delle relazioni tra la Federazione Russa ed il Giappone dal 1992 ad oggi. Le conclusioni a cui si giunge evidenziano la complessità del rapporto tra i due paesi negli ultimi centosessantacinque anni, per lo più conflittuale ma intervallato da periodi di cooperazione e perfino alleanza. Il perdurare della disputa sulle isole Curili meridionali non ha impedito ai due Stati di sviluppare strette relazioni politiche ed economiche, sebbene la prospettiva di un deciso e positivo sviluppo delle relazioni bilaterali sia oggi sfavorita dal diverso posizionamento di Mosca e Tokyo di fronte al confronto sino-americano nella regione dell'Asia-Pacifico, di cui entrambi i paesi continuano a rappresentare due dei principali attori geopolitici. This work investigates the development of relations between Russia and Japan during the contemporary age in a diachronic perspective, in order to highlight the characteristics of continuity and discontinuity and analyze their current state, with the ultimate possibility of evaluating their future lines of evolution. The work is divided into three chapters. The first one describes the establishment and development of relations between the Russian and Japanese Empires from the mid-19th century until the fall of the Tsarist Empire and the establishment of the Soviet Union. The second chapter analyzes the development of relations between Showa Japan and the Soviet Union until the end of the Cold War. Finally, the third one studies the evolution of relations between the Russian Federation and Japan from 1992 until today. The reached conclusions highlight the complexity of this relationship over the last one hundred and sixty-five years, mostly conflicting but interrupted by periods of cooperation and even alliance. The persistence of the dispute over the Southern Kuril Islands has not prevented the two States from developing close political and economic ties, although the prospect of a decisive and positive development of bilateral relations is hindered today by the different position of Moscow and Tokyo in the face of the Sino-American confrontation in the Asia-Pacific region, where both countries continue to represent two fundamental geopolitical players.
La presente tesi si propone di analizzare le fasi che hanno portato alla creazione della Corte Penale Internazionale. Il primo capitolo è dedicato all'istituzione di due Tribunali militari speciali: il Tribunale Internazionale Militare di Norimberga, stabilito nell'Accordo di Londra del 1945 e il Tribunale Militare per l'Estremo Oriente (tribunale di Tokyo) istituito, attraverso una decisione unilaterale, il 19 gennaio del 1946. Attraverso questi Tribunali si esplica un esercizio di un potere fondato sulla base della resa incondizionata delle potenze sconfitte. La trattazione prosegue, nel secondo capitolo, con la costituzione del Tribunale ad hoc per la ex Jugoslavia istituito dal Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite nel 1993 e chiamato a giudicare i colpevoli dei crimini commessi nei diversi conflitti di natura etnico-religiosa che si sono sviluppati sul territorio dell'ex Jugoslavia. Ulteriore Tribunale internazionale ad hoc venne istituito dal Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite nel 1994: il Tribunale internazionale per il Ruanda istituito per giudicare i responsabili delle gravi violazioni commesse in tale territorio. Attraverso la giurisprudenza di questi Tribunali si è costituito un importante laboratorio per la futura costituzione della Corte Penale Internazionale. Nel terzo capitolo ci si avvia verso la costituzione della Corte Penale Internazionale. Il punto di partenza è segnato dalla Conferenza tenutasi a Roma il 17 luglio del 1998 che si concluse con la firma di un Trattato da parte di centoventi Stati. Lo Statuto di Roma è entrato in vigore il primo luglio del 2002, e da allora è operante. Si analizzano le varie posizioni: quella degli Stati Uniti, dell'UE e quella dell'Italia. Nel quarto capitolo si procede con l'analisi della Corte Penale Internazionale, analizzando i profili fondamentali e più importanti. Infine nel quinto capitolo la trattazione si conclude con il processo.
Questo elaborato ha lo scopo di tracciare un'analisi del crimine di aggressione, il più recente crimine di competenza della Corte penale internazionale, che va ad aggiungersi ai c.d. core crimes, ossia i crimini di genocidio, i crimini contro l'umanità e i crimini di guerra, tutti e tre già da tempo rientranti nella giurisdizione della CPI. Rispetto a questi ultimi, la definizione del regime giuridico del crimine di aggressione è stata particolarmente lunga e travagliata tanto da essere tutt'oggi uno dei temi più controversi di Diritto Internazionale.Il presente lavoro inizia nel primo capitolo con un breve excursus storico riguardo quelli che furono i momenti chiave dell'evoluzione del concetto di aggressione a partire dalle storiche sentenze dei Tribunali militari di Norimberga e Tokyo che sancirono la possibilità di attribuire agli individui-organi dello Stato una responsabilità giuridica per la commissione di tale crimine. Passando poi per la Risoluzione 3314 dell'Onu riguardo l'aggressione e i Tribunali ad hoc per l'ex Jugoslavia e per il Ruanda, fino ai lavori preparatori che hanno portato all'approvazione dello Statuto di Roma, istitutivo della Corte penale internazionale, nel 1998. Nel secondo capitolo si evidenzia come lo Special Working Group on the Crime of Aggression, dopo un lavoro di ben 5 anni, arrivò nel 2009 a redigere un ampio progetto sul crimine di aggressione che comprendeva i punti di accordo raggiunti dalle diverse delegazioni partecipanti, ma anche quei punti in cui un consenso non si era potuto trovare, in particolare con riguardo al ruolo che avrebbe dovuto svolgere il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite nell'ambito della determinazione dell'esistenza di un atto di aggressione commesso da uno Stato.Infine, questa analisi si conclude con l'esame della ratifica da parte dell'Onu degli emendamenti di Kampala, ufficializzata a New York a fine 2017 dall'Assemblea plenaria degli Stati Parte dello Statuto di Roma, che ha comportato l'attivazione della giurisdizione della CPI sul crimine di aggressione rappresentando il punto di arrivo finale di questo lungo percorso evolutivo dell'istituto.
Il crimine di aggressione ha una storia complessa per quanto riguarda la formazione della sua fattispecie, a tal punto che la sua definizione è stata qualificata come uno dei temi più controversi nel diritto internazionale fin dal tempo della Società delle Nazioni. Le motivazioni si ricollegano al fatto che, nel diritto internazionale generale, fino alla Prima guerra mondiale, l'aggressione era considerata come uno strumento legittimo di risoluzione delle controversie tra gli Stati. Malgrado i cambiamenti storici, gli stermini del secondo conflitto mondiale e il conseguente ripudio della guerra e di ogni altro strumento di violenza da parte della comunità internazionale, la repressione del crimine di aggressione è rimasta in sospeso per un lungo periodo. Né la storica sentenza del Tribunale di Norimberga, che ha sancito la possibilità di attribuire all'individuo-organo una responsabilità per il crimine di aggressione, né la Risoluzione 3314 dell'ONU del 14 dicembre 1974 sull'aggressione degli Stati, hanno permesso di giungere ad una definizione generalmente condivisa del crimine che potesse permetterne la repressione. Le resistenze verso la codificazione di uno strumento che individuasse la fattispecie del crimine individuale di aggressione sono da individuare nel fatto che in questa maniera si andrebbe ad intaccare la sfera della sovranità degli Stati, che solo questi possono decidere di limitare mediante la stipulazione di trattati internazionali. Inoltre, la materia relativa all'aggressione ha la sua influenza anche nell'ambito delle competenze del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, attribuitegli dal capitolo VII della Carta relativo all'azione rispetto alle minacce alla pace, alle violazioni della pace ed agli atti di aggressione. Questo è oggettivamente il punto più problematico delle discussioni che riguardano l'inclusione dello stesso nella giurisdizione della CPI. Quest'analisi inizia con il delineare la distinzione tra atto di aggressione come illecito dello Stato e crimine di aggressione commesso dall'individuo visti come due volti della stessa medaglia, analizzando la risoluzione 3314 (XXIX) del 1974 dell'Assemblea generale delle Nazioni Unite, l'istituzione dei tribunali militari internazionali di Norimberga e di Tokyo e dei tribunali penali ad hoc per i crimini commessi nell'ex Jugoslavia e in Ruanda e l'art.16 del Progetto del codice dei crimini contro la pace e la sicurezza dell'umanità. All'interno dello stesso capitolo si tratterà dell'elaborazione della definizione del crimine di aggressione, prendendo in esame l'art.5 dello Statuto di Roma, in cui si stabiliva che la Corte penale potesse esercitare la sua giurisdizione sul crimine di aggressione soltanto dopo una futura decisione degli Stati Parti. A seguito della chiusura della Conferenza di Roma, gli sforzi nel cercare di trovare un accordo generalmente condiviso sulla definizione dell'aggressione e sulle condizioni di esercizio della giurisdizione sono stati compiuti, in un primo tempo, all'interno della Commissione preparatoria per l'attuazione dello Statuto di Roma. Questa, non riuscendo a pervenire a un risultato finale, decise di affidare i lavori ad una commissione tecnica specifica che aveva il solo scopo di vagliare le problematiche relative all'aggressione: lo Special Working Group on the Crime of Aggression. Tale gruppo, dopo un lavoro di ben cinque anni, è arrivato nel 2009 a redigere un ampio progetto sul crimine di aggressione che comprendeva i punti di accordo raggiunti dalle diverse delegazioni partecipanti, ma anche quei punti in cui un consenso non si era potuto trovare, in particolare con riguardo al ruolo che avrebbe dovuto svolgere il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite nell'ambito della determinazione dell'esistenza di un atto di aggressione commesso da uno Stato. Lo Special Working Group ha lasciato il compito di sciogliere i nodi più delicati agli stessi Stati Parti che, a otto anni dall'entrata in vigore dello Statuto di Roma, si sono riuniti per la prima Conferenza di revisione a Kampala, in Uganda, dal 31 maggio all'11 giugno 2010. Il secondo capitolo tratta, infatti, del cammino verso Kampala, di questa Conferenza nell'ambito della quale lo Statuto è stato emendato a maggioranza, approvando tre nuovi articoli: l'art.8 bis, par 1 e 2, l'art.15 bis e 15 ter. Nel primo articolo si pone la distinzione tra paragrafo 1 in cui viene definito il crimine di aggressione imputabile all'individuo, e paragrafo 2 in cui viene definito l'atto di aggressione da parte dello Stato. Viene così a istituirsi tra i due piani una relazione biunivoca molto complessa. Nel terzo capitolo vengono poi esaminate le condizioni per l'esercizio della giurisdizione da parte della Corte penale internazionale, analizzando gli artt. 15 bis e 15 ter. In particolare il primo articolo si riferisce al rinvio (referral) di un caso alla Corte penale internazionale da parte degli Stati Parti e del Procuratore della Corte; invece il secondo articolo si riferisce alla questione controversa del rinvio da parte del Consiglio di Sicurezza dell'ONU. All'interno del medesimo capitolo viene posta l'attenzione anche sulla relazione intercorrente tra il Consiglio di Sicurezza e la Corte penale internazionale, sul lavoro della commissione preparatoria della Corte Penale Internazionale e sulla distinzione tra responsabilità statale e responsabilità individuale. In questo modo, il crimine di aggressione, dopo numerose difficoltà, è entrato a far parte dei crimini rientranti sotto la giurisdizione della Corte. L'unica nota negativa introdotta dagli emendamenti alla Conferenza sono state le due condizioni che hanno limitato l'importante traguardo raggiunto: da una parte è necessario che gli Stati accettino la giurisdizione della Corte sull'aggressione per essere indagati e, d'altra parte , i tempi di attesa sono molto lunghi in quanto l'effettiva giurisdizione sarà attuata subordinatamente ad una decisione che sarà presa soltanto nel 2017 dall'Assemblea degli Stati Parti.
2008/2009 ; Le armi di distruzione di massa rappresentano uno degli aspetti più spaventosi degli sviluppi tecnologici che sono intercorsi nell'ultimo secolo. Sebbene alcuni effetti delle armi chimiche e biologiche fossero noti già da centinaia di anni, solamente nel ventesimo secolo si è assistito ad un vasto uso delle armi di distruzione di massa in diversi contesti bellici. La necessità di trovare armi "definitive", idonee a travalicare la forza ordinaria delle armi convenzionali ha spinto la scienza ad investigare sempre più nuovi strumenti in grado di annichilire l'avversario. Una parte di primissima rilevanza negli equilibri mondiali – e ancora oggi fonte di destabilizzazione in certi teatri regionali – è imputabile alle armi nucleari. La scoperta delle implicazioni belliche della fisica atomica ha semplicemente rivoluzionato il quadro militare mondiale, chiudendo la Seconda guerra mondiale e spalancando le porte della Guerra fredda. Basata in gran parte sull'equilibrio nucleare, questo tipo di guerra ha visto fronteggiarsi in primis due superpotenze dotate di arsenali nucleari tali da eliminare per sempre ogni tipo di forma vivente dalla faccia della Terra. Le armi di distruzione di massa sono oggi raggruppabili in diverse categorie: nonostante ogni nazione fornisca una propria definizione al riguardo, sostanzialmente questa tipologia di armi si articola su quattro tipologie diverse a seconda delle differenti sostanze di cui ognuna è composta. Esistono le armi nucleari, biologiche, chimiche e radiologiche: ognuna di esse presenta caratteristiche tattiche, strategiche e modi di funzionamento ben diverse. L'elemento che le accomuna è comunque la capacità, almeno potenziale, di arrecare una quantità di danni decisamente superiore a qualsiasi dispositivo militare convenzionale oggi presente negli arsenali. Seppure con modalità diverse, le armi di distruzione di massa hanno fatto la loro apparizione nei campi di battaglia soprattutto nel ventesimo secolo. Le prime ad essere utilizzate su vasta scala furono le armi chimiche, le quali apparvero come un mezzo per superare lo stallo della guerra di trincea. Durante la prima guerra mondiale la paura dei "gas" divenne un vero e proprio incubo per tutti i soldati, ed anche per i relativi stati maggiori, incapaci di provvedere contro questa nuova arma. Ma la vera svolta nel mondo delle armi di distruzione di massa arrivò nella Seconda guerra mondiale: dopo l'esplosione delle armi atomiche nei cieli giapponesi di Hiroshima e Nagasaki era chiaro che le superpotenze vincitrici della guerra non potevano prescindere dal possedere l'arma atomica. L'iniziale ritardo sovietico venne ben presto compensato, e nel 1949 Stalin poteva annunciare al mondo la parità militare con gli Stati Uniti. La bomba atomica venne poi seguita dalla bomba all'idrogeno, ultima frontiera degli sviluppi militari nucleari. Come noto, le ami atomiche ressero il confronto bipolare (e le sue certezze) fintantoché gli accordi SALT e START non cominciarono a ridurre il numero delle testate, ad oggi comunque presenti in molti arsenali. Le armi biologiche apparvero in seguito, soprattutto dopo gli sviluppi delle biotecnologie. La capacità militare di virus, batteri e tossine era già ben chiara ai giapponesi durante la seconda guerra mondiale: tuttavia i sovietici, grazie alla colossale impresa "Biopreparat" riuscirono a creare ed ad accumulare un'enorme quantità di agenti biologici. La fine del mondo bipolare poteva sembrare idonea a far diminuire i pericoli derivanti dalle armi di distruzione di massa: ma purtroppo eventi come gli attentati con il gas "sarin" nella metropolitana di Tokyo (1995) o l'uso di antrace negli Stati Uniti (2001) dimostrarono che inevitabilmente le armi di distruzione di massa rimanevano una minaccia costante per ogni Stato. Alle tre armi tradizionali si è affiancata una nuova categoria: le armi radiologiche, spesso indicate nel gergo giornalistico come "bombe sporche", consistenti nel diffondere elementi radioattivi mediante esplosioni convenzionali. Tale tipo di arma rischia di causare molti più danni grazie all'effetto mediatico che alla diffusione di materiali radioattivi: non tutti questi, infatti, hanno tempi di decadimento lunghi come l'uranio. La paura per quest'ultimo tipo di ordigni è cresciuta negli ultimi anni in quanto per un gruppo anche piccolo è relativamente semplice potersi procurare materiale radioattivo e farlo detonare in un centro urbano, contaminando tutta la zona. La preoccupazione per gli effetti delle armi di distruzione di massa si è concretata in una serie di trattati internazionali che progressivamente hanno disciplinato tutti i tipi di armi. La normativa in materia è costituita sia da trattati multilaterali che da trattati bilaterali: questi ultimi, pur essendo vincolanti solo per le due nazioni che li sottoscrivono, hanno comunque generato rilevanti effetti geopolitici nel pianeta. Subito dopo la seconda guerra mondiale l'Assemblea dell'Onu aveva cominciato a riflettere su un possibile contenimento delle armi nucleari, decisamente le più rilevanti a livello di effetti. Le ferite di Hiroshima e Nagasaki erano recenti, e l'Unione Sovietica stava sviluppando a tappe forzate il proprio programma nucleare. Nonostante le preoccupazioni della comunità internazionale, occorse aspettare la "Crisi dei missili" cubana del 1962 per poter vedere sviluppare delle prime forme di cooperazione internazionale per interdire, o quantomeno limitare, la minaccia dell'uso delle armi nucleari, sfiorata durante le tensioni cubane. A partire da quella data si succedettero diversi trattati internazionali e bilaterali in materia di armi nucleari, inizialmente legati alla limitazione del dispiegamento degli ordigni in determinati contesti, e, successivamente, rivolti alla riduzione del numero di vettori. Quest'ultimo ruolo fu particolarmente giocato dalla diplomazia americana e da quella sovietica, e conobbe un'autentica accelerata con l'arrivo delle presidenze Reagan-Gorbacev. È evidente che molte delle scelte compiute dalle due superpotenze influenzarono anche le rispettive coalizioni e le dottrine di impiego delle forze. Ma non tutte le iniziative regolamentari sortirono effetti positivi: ad oggi vi sono paesi, quali Israele, la Corea del Nord o il Pakistan che sono dotati di armamenti nucleari e non sono sottoscrittori del trattato NPT, cioè di non proliferazione nucleare. Questi stati sono inseriti in contesti regionali complessi e delicati, in cui spesso insistono interessi delle "potenze atomiche" legittimate in questo ruolo da una discutibile statuizione indicata nel trattato NPT. A fianco delle numerose iniziative svoltesi per disciplinare le armi nucleari sono state pure create delle Nuclear Weapons Free Zones, cioè aree del pianeta nelle quali gi stati membri si impegnano a non acquisire o usare armi nucleari. Tali iniziative hanno permesso di "liberare" dalla minaccia nucleare alcune aree (Antartide, Asia centrale, America del Sud, Asia del sud-est, Mongolia) e costituiscono un'iniziativa sinergica alle attività di contenimento e riduzione degli arsenali nucleari. Per le altre armi di distruzione di massa vi sono sicuramente stati meno trattati internazionali, ma non per questo essi sono stati meno importanti: è il caso delle armi chimiche, che possono vantare la prima proibizione in un protocollo del 1925. In tale settore è stata poi creata un'organizzazione internazionale idonea a verificare il rispetto della convenzione per la proibizione delle armi chimiche del 1993. Le armi biologiche presentano invece più difficoltà, ed al momento, secondo certa letteratura, sono identificate come un settore non ancora pienamente tutelato a livello internazionale. Se è vero che la convenzione sulle armi biologiche del 1972 vieta ogni tipo di arma biologica, la mancanza di una struttura internazionale di controllo e la velocità di sviluppo delle biotecnologie impauriscono gli stati, così come la mancata adesione di alcune importanti nazioni. In ogni modo, nonostante le critiche e le difficoltà, i trattati internazionali in materia di armi di distruzione di massa sono serviti per contenere e comunque evitare la diffusione di tali strumenti bellici attraverso le nazioni del pianeta: molto è ancora da fare, ma comunque le esperienze intraprese al momento sono tali da confermare questo cammino come valida via per limitare la diffusione di questa categoria di armamenti. Eppure il positivo processo di limitazione delle armi di distruzione di massa ha incontrato, soprattutto negli ultimi anni, alcuni limiti soprattutto in seguito alle azioni intraprese da alcune nazioni. In certi contesti regionali delicati alcuni stati vedono di buon occhio una propria capacità militare sostenuta da quella nucleare: il miraggio di entrare nel "club atomico", cioè nel ristretto numero di stati "armati" nuclearmente, è un miraggio che ha valenza sia di politica interna che di prestigio internazionale. I recenti casi della Corea del Nord e dell'Iran, ad esempio, indicano chiaramente come azioni di singoli paesi possano seriamente mettere a repentaglio anni di lavori e di incontri internazionali per limitare la diffusione di armi di distruzione di massa. Soprattutto l'arma nucleare rimane al centro del dibattito mondiale, in quanto i due paesi di cui sopra hanno deciso di dotarsene per questioni di prestigio e di politica interna. La Corea del Nord si è recentemente ritirata dal trattato NPT e ha fatto esplodere due ordigni nucleari, seppure di piccola capacità. Ciò che al momento preoccupa di più la comunità internazionale è l'isolamento dell'autocratica repubblica, le difficoltà nella transizione del potere ed infine il tentativo di acquisizione di capacità missilistica a lungo raggio. Negli ultimi mesi la Corea del nord ha ripetutamente condotto esperimenti missilistici che hanno notevolmente esacerbato la situazione regionale: in particolare destano la preoccupazione del Giappone, nel quale è in corso un dibattito sulla rivisitazione del ruolo delle forze armate, cosa decisamente avversata dalla Cina. Gli Stati Uniti, tradizionali difensori della Corea del Sud, potrebbero cogliere l'occasione per dispiegare i propri missili nucleari nel teatro, accrescendo così la militarizzazione dell'area e complicando il rapporto con le altre due potenze nucleari della regione, La Cina e la Russia. Allo stesso modo l'Iran sta attraversando una complessa fase di transizione a trenta'anni dalla rivoluzione del 1979. La granitica forma di governo teocratica è oggi minacciata da una fase economica non brillante e da difficoltà politiche interne: le recenti affermazioni del presidente iraniano Ahmadinejad hanno attirato l'attenzione del mondo sull'Iran, desideroso di accrescere il proprio peso nell'area. D'altra parte le affermazioni sulla scomparsa di Israele hanno notevolmente preoccupato il governo di Gerusalemme, il quale è in possesso di armi nucleari. Il rischio di un'escalation nucleare nella regione sarebbe un problema gravissimo, soprattutto considerando le difficoltà in cui si trovano diversi stati limitrofi, quali il Pakistan, l'Iraq o l'Afghanistan. Infine va considerato il problema del terrorismo internazionale. Non è detto che gruppi terroristi non possano essere ancora interessati all'acquisizione di armi di distruzione di massa: rispetto a quelle nucleari, più difficilmente acquisibili ed utilizzabili (occorre anche un vettore idoneo per trasportarle, stante il loro peso e le loro dimensioni) ipotesi come armi radiologiche, armi chimiche o armi biologiche rappresentano soluzioni ugualmente allettanti per spargere terrore e destabilizzazione nelle società da colpire. L'attenzione a tale riguardo si concentra soprattutto sul network di Al-Quaeda, in quanto struttura militare e militante più capace di possedere fondi tali da permettere l'acquisto di questo tipo di armi. Resta da chiedersi, in conclusione, quali risposte siano possibili a questo tipo di minaccia. La percezione della minaccia NBCR è differente a seconda dei paesi e dei contesti in cui gli stati sono inseriti: la riflessione più ampia sull'argomento è comunque quella americana, supportata da abbondante letteratura e servita addirittura come giustificazione ad un attacco preventivo (Iraq 2003). Allo stesso modo la Nato ha elaborato una propria posizione sulle armi di distruzione di massa, riconosciute dall'Alleanza come una minaccia concreta e tangibile, meritevole anche di risposte dal punto di vista operativo. Infine vi è il caso italiano, che concentra le competenze NBCR presso un'idonea struttura interforze, che opera in stretto raccordo con strutture civili dello Stato, a partire dei Vigili del Fuoco. Per terminare si può sostenere che le armi di distruzione di massa sono oggi una minaccia potenziale difficilmente eliminabile, ma tuttavia limitabile e controllabile tramite gli strumenti della diplomazia, della politica e del diritto internazionale, affiancata comunque da azioni delle attuali potenze dirette a limitare sempre più la diffusione e la proliferazione di questo tipo di armamenti. ; XXII Ciclo